Dopo “whatever it takes” del luglio 2012 a difesa dell’euro, proprio ieri Mario Draghi ci ha regalato una nuova perla, con il “non potete dire di no a tutto” rivolto ai parlamentari europei. Si parla di competività dell’economia europea, di mercato dei capitali, ma sullo sfondo è facile capire che c’è l’imminente guerra commerciale con gli Stati Uniti di Donald Trump, la necessità di fare da soli per quanto riguarda la nostra difesa, di fare come Europa le nostre scelte di politica estera, e di difendere e sviluppare le nostre economie. Sfide da far tremare i polsi, e che non necessariamente sono destinate a vedere il Vecchio Continente soccombere. Sì, perché anche se le fragilità dell’edificio politico e istituzionale dell’Unione europea sono evidenti, nella sostanza dei fatti l’economia europea è un colosso possente, con un sistema industriale e finanziario che (chissà perché) noi vediamo come precario quando invece i numeri ci dicono che gioca un ruolo dominante sul Pianeta. E anche per quanto riguarda le tecnologie più innovative.
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L’Unione Europea leader dell’industria verde e del biogas
È il caso delle industrie per la transizione ecologica ed energetica. L’opinione pubblica (e quel che è peggio, la parte prevalente della classe dirigente italiana) è convinta, o è stata convinta, che l’Europa sia in difficoltà su questo versante. Che la Cina abbia conquistato i mercati, che il ritardo tecnologico e industriale sia incolmabile. Ebbene, così non è. Lo dimostra un recentissimo studio pubblicato in gennaio dalla Commissione Europea dal titolo The Net-Zero manufacturing industry landscape across Member States, dedicato al panorama industriale delle tecnologie pulite (a zero emissioni) nei 27 Stati membri. E i risultati sono sorprendenti. L’Unione Europea si è ritagliata un ruolo da protagonista nella corsa alle tecnologie green, dimostrando di essere una forza competitiva in diversi settori chiave per l’obiettivo Net-Zero. Nell’energia eolica, ad esempio, le aziende europee continuano a dettare legge sul mercato globale, nonostante la crescente concorrenza della Cina. Anche nel settore delle pompe di calore, l’UE mantiene la sua leadership: i produttori europei coprono oltre il 20% del mercato mondiale, e l’Europa è anche il punto di riferimento nella produzione di cavi ad alta tensione (HVAC e HVDC), componenti essenziali per trasportare l’energia rinnovabile, dall’eolico al solare, fino alle nostre case. Intanto, cresce anche la produzione di biogas, confermando l’impegno europeo verso un futuro più sostenibile. Al contrario, siamo troppo dipendenti nel settore del fotovoltaico, un tempo presidiato dalle imprese europee, ha visto ridursi la propria impronta a favore di competitor asiatici, in primis la Cina. Stesso discorso per le batterie agli ioni di litio, dove la tecnologia e le importazioni dall’estero restano fondamentali per alimentare la transizione elettrica.
I dati di un successo
Vediamo più in dettaglio i numeri. Abbiamo una chiara leadership tecnologica e produttiva a livello mondiale nel settore delle infrastrutture di rete, in particolare nella produzione di cavi ad alta tensione a corrente alternata e continua. L’Italia è al primo posto in questo segmento, seguita da Svezia e Germania, con contributi significativi da parte di Francia, Polonia e Danimarca. Gli sforzi di modernizzazione delle reti globali, molti dei quali finalizzati ad accogliere sempre più potenza da fonti rinnovabili, stanno guidando la domanda e sono ben supportati da un solido ecosistema industriale europeo. Per il solare fotovoltaico l’Ue ha visto calare la sua produzione di componenti: oggi la capacità produttiva è di 14,1 GW per quanto riguarda i moduli, 2 GW per le celle, con la Germania Paese leader, seguita da Italia, Francia, Austria e Spagna. In questo campo è la Cina a dominare, grazie alle economie di scala, ai minori costi dei materiali e dell’energia e ai maggiori sussidi governativi. L’analisi della Commissione riporta che i costi di produzione in Cina sono inferiori del 35-65% rispetto a quelli dell’Ue. Al contrario, la produzione industriale di componenti per il solare termico rimane “relativamente solida”, con la Germania leader negli scaldacqua e una quota industriale significativa anche in Italia, Francia e Polonia. La produzione di turbine eoliche nei Paesi Ue riesce a soddisfare l’85% della domanda interna: l’Europa è anche affidabile esportatore netto, ma la sua quota di mercato globale è diminuita negli ultimi anni a vantaggio della Cina. I principali produttori sono in Germania e Danimarca, con un contributo anche della Spagna, soprattutto per quanto riguarda le torri. Anche Francia, Portogallo, Italia e Polonia svolgono, in misura minore, un ruolo chiave nella catena del valore dell’Ue. Il mercato europeo delle batterie è in rapida espansione. Per ora l’Ue detiene una piccola quota nella produzione globale (5% nel 2023, secondo stime Iea). La Commissione prevede che gli investimenti in corso faranno aumentare l’attuale capacità fino al 15% entro il 2030. Polonia, Germania e Ungheria sono i Paesi leader, ma la produzione su larga scala è presente anche in Francia e Svezia. Anche qui la forte concorrenza cinese è un problema, insieme alla forte dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche.
Italia al primo posto nel geotermico
L’Ue produce e assembla una parte significativa delle pompe di calore necessarie a soddisfare la domanda interna (60-70%). In Germania, Svezia e Danimarca sorgono i principali stabilimenti. Nel settore geotermico, invece, è l’Italia ad essere all’avanguardia sia nella diffusione che nella produzione industriale, seguita da Germania e Francia. Per l’idrogeno, l’Europa è destinata a una crescita significativa della sua base produttiva, con una capacità che dovrebbe raddoppiare entro il 2030, grazie ai forti investimenti. Più della metà dell’attuale produzione di elettrolizzatori dell’Ue è concentrata in Germania, che rappresenta oltre il 60% della capacità comunitaria in questa tecnologia, diffusa ampiamente anche in Danimarca, Portogallo, Italia, Spagna e, in misura minore, in Belgio e in Francia. Il Vecchio Continente conta anche su capacità significative per la produzione di apparecchiature per il biogas, come digestori anaerobici. Germania e l’Italia sono centri chiave, con valori di produzione industriale rispettivamente di circa 5,8 e 2,5 miliardi di euro.
Un nuovo piano per il green
Come fare a rafforzare il nostro sistema? La soluzione dovrebbe essere contenuta nel Clean Industrial Act, un piano pluriennale per dare impulso alle industrie europee ad alta intensità energetica come acciaio, alluminio e cemento e nelle tecnologie «pulite». Il piano sarà presentato ufficialmente il 26 febbraio, ma sulla base delle anticipazioni l’Unione Europea punta ad aumentare gli investimenti annuali in energia, industria e trasporti di circa 480 miliardi di euro rispetto al decennio precedente facendo leva sui capitali privati sul 38% del bilancio comune che sosterrà la transizione ecologica anche tra il 2028 e il 2034. Nella bozza si parla di rafforzare gli strumenti di difesa commerciale esistenti”, della creazione di un mercato del gas più trasparente e competitivo, con la possibilità di ridurre le imposte e i prelievi nazionali nella bolletta dell’energia elettrica. E soprattutto di semplificare le norme sugli aiuti di Stato per accelerare la transizione e sostenere la capacità manifatturiera per produrre “tecnologie verdi”.