Quando penso a Sanremo lì per lì mi viene in mente una parola: fantasia. Ci vuole molta, troppa, fantasia per spremere notizie e opinioni su un oggetto così uguale a se stesso da 70 anni. La prima messa in onda Rai del festival è del 1955, e Sanremo 2025 vive nei soliti estenuati-estenuanti ghirigori di interpretazione: è un’edizione “normalizzata” per colpa di Meloni, Conti è “de destra”; Benigni è di sinistra ma nella serata di sinistra concessa dalla destra; è un Sanremo “rondista”, no è un Sanremo surrealista; ah la sala stampa, il voto della sala stampa, ah il voto del pubblico. Ah quando c’era Amadeus, ah quando c’era Baglioni, ah Volare di Modugno, che grande innovazione l’arrangiamento swing.
Ci vuole troppa fantasia e straordinaria sensibilità medianica (non mediatica, medianica), da parte degli addetti al commento -i giornalisti- per percepire queste vibrazioni, e per creare infinite mantelline rococò, spremute di cuore e cervello e nostalgia (poco cervello, tanto cuore, tanta nostalgia, tantissime spremute) intorno a Sanremo.
I veri vincitori di Sanremo, il Papa e Fedez
Perché penso che il migliore slogan sanremese fosse quello dell’era Baudo: Sanremo è Sanremo. L’ essenza ne postula l’esistenza, tipo prova ontologica di Anselmo d’Aosta. Poi ci sono oscillazioni, ma che sempre lì ritornano, agli eterni ritornelli. Nella mia testa non c’è nessuna, proprio nessuna, differenza tra Balorda nostalgia di Olly, Maledetta Primavera della Goggi (1980), Non lo faccio più di Peppino di Capri (1976), Al di là di Betty Curtis (1961), e via andando e tornando. È la stessa struttura di Sanremo che impedisce ogni differenza, tutto unifica in una infinita e un poco terrorizzante, sanremità. Ha fatto bene il Papa a mandare un filmato pre-datato, Bergoglio è stato il miglior interprete dell’acronia del festival. Il filmato sarebbe da riproporre ad ogni nuova edizione, ad infinitum, e anche in quelle vecchie (appunto il tempo per Sanremo non esiste). A sostituzione delle mantelline rococò, incluse quelle sulle fondamentali implicazioni linguistico-culturali della variazione a Bella stronza di Masini o sulle lenti a contatto di Fedez, che poi trattandosi di acronia sanremese servono a rallentare il tempo. Sono lenti.
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L’eterno ritorno di un non-premio senza radicamento
Appunto niente esiste realmente nell’eterno ritorno di Sanremo, a parte una “cosa” che tutti gli anni arriva, come un treno in orario (in certi casi i treni arrivano in orario) e finisce in preannunciato ritardo, con molti fiocchetti e ormai con pochi autori che scrivono le canzoni (lo spiega bene Michele Monina qui) e poche vere hit (lo spiega bene questo articolo del sole 24 ore, valido anche oggi); con un sound, quello del ritornello sanremese, che è l’emblema della presunta rassicurazione musicale. E dell’orrore per gli infiniti, reale.
Che poi Sanremo sia nato alla televisione 70 anni fa ammazzando la musica popolare italiana, vale a dire la vera musica italiana, e che sia l’apoteosi di un songwriting provinciale, che sia nato e cresciuto (?) in una amena cittadina ligure senza nessun vero radicamento musicale, ho cercato di spiegarlo bene qui, su Domino. Che Sanremo sia un non-premio musicale lo sanno tutti. E che gli ascolti di quest’anno non siano confrontabili a quelli di prima perché il sistema di rilevazione è cambiato, includendo anche tablet e Pc lo sanno tutti (ma nessuno lo scrive).
Bisogna davvero discuterne perché ne discutono tutti?
Ma questi sono fatti. E su Sanremo, ontologicamente immobile, i fatti sono già dati in partenza, e contano zero rispetto alle interpretazioni. E quindi si ascolta perché banalmente non c’è altro, e si interpreta e si sovrainterpreta fino alla mantellina rococò dato che “Sanremo è qualcosa su cui bisogna confrontarsi perché è qualcosa su cui discutono tutti” come dichiara la scrittrice Chiara Valerio. Rivelando, si spera involontariamente, che gli “intellettuali” non sanno vedere altro fuori da quello di cui “discutono tutti” proprio in quanto ne discutono tutti. Che insomma la resa al dato è un fatto etico (complimenti e auguri!), e quindi via libera al contorno, alla troppa fantasia, ad opinioni e sovra-interpretazioni, alle spremute di cuore e di cervello sul risaputo. Non mi viene in mente niente di più ingessato, conservativo, legittimista, di un pensiero del genere.
E intanto se dio vuole Sanremo è finito. L’espressione “finalmente ce lo siamo levati dalle palle” non nasce a Natale, nasce a Sanremo. Ma, con grande fantasia, ritornerà. Uguale a prima.
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