Non possiamo considerare Riccardo Lombardi come un esperienza compiuta: può esserlo sul piano della vitalità individuale e naturale; non lo è per quello che veramente segna la caratteristica incancellabile del politico, che non potrà mai essere cancellata: quella di contribuire a vivere, perché continuano ad essere punti di riferimento, elementi dialettici, positivi o negativi, contestati o accettati, attraverso l’esperienza di chi viene dopo di loro, mai definitivamente valutati al di fuori.
Non riesco perciò a fare un ragionamento su Lombardi dal di fuori. E questo non è un fatto sentimentale: è un fatto vitale, che fonda le sue radici nell’esperienza politica compiuta e in quella da compiere.
Ricordo il 1956, quella drammatica settimana di ottobre, me stesso ragazzo, già con qualche esperienza nel lavoro delle cooperative sociali e dei movimenti contadini, allora, nel Mezzogiorno, con l’angoscia di chi sente crollare intorno a se il mondo in cui credeva.
Per chi come me aveva ancora l’idea culturale, non politica, di una sinistra che nella differenza delle voci mantenesse un suo strato comune, veniva meno una certezza, si apriva una strada completamente diversa, una condizione che i fatti avrebbero confermato: una crisi irreversibile nella stessa concezione della sinistra, nello stesso rapporto fra i partiti della sinistra, nello stesso rapporto fra i partiti della sinistra in Italia e in Europa.
A partire da quel momento Lombardi rappresentò l’espressione di una possibile continuità con la scelta militante nel partito socialista, fu il rappresentante di chi riteneva possibile coniugare l’autonomia di una forza politica e il permanere di una speranza, di una strategia, di una possibile visione politica comune di una sinistra in un paese occidentale.
Esisteva insomma, nell’esperienza di quei giorni, anche una radice unitaria, che voglio ribadire, che fu parte della cultura politica di Lombardi, e che fa parte della cultura politica di coloro che poi sono stati chiamati i “lombardiani”.
Il linguaggio della sinistra di governo
C’è un punto sul quale l’originalità e l’insostituibilità di Lombardi non è contestabile, e sul quale ancora oggi molti di noi lavorano. Nel 1958, quando la sinistra italiana si divideva sul problema dello stalinismo, quando i disegni strategici e lo spessore programmatico della sinistra italiana non andava molto al di là del Piano del Lavoro di Di Vittorio; quando sostanzialmente si identificava la gestione del governo con la presa del potere, sia pure non nelle forme rivoluzionarie, ma in quelle di una democrazia parlamentare, che giustamente era diventata il terreno comune della sinistra; quando il discorso del potere, dell’ideologia, delle caratteristiche di movimento dal basso era prevalente anche nel linguaggio della sinistra del tempo, Lombardi fu l’uomo della sinistra che, non come socialista, parlò il linguaggio di una sinistra di governo, della strategia delle riforme di struttura, individuando l’atto riformatore laddove più direttamente poteva manifestare la sua qualità rinnovatrice: nei processi produttivi, nell’assetto dei grandi poteri, che affrontò la questione del rapporto tra stato e mercato; che parlò dello Stato come del terreno sul quale doveva avviarsi l’iniziativa dei partiti di massa, anche della sinistra, individuando lo Stato, non come neutralità istituzionale, ma (come poi tutti avremmo imparato, attraverso la lezione del welfare state) come terreno sul quale si manifestava direttamente lo scontro economico, anche di interessi conflittuali.
Governare una democrazia
Questi discorsi, in quegli anni, nessun altro leader della sinistra faceva. La possibilità di una sinistra, non che “prendesse il potere”, ma che governasse una democrazia, è il passaggio della visione post-leninista che identifica il governo con il potere, alla visione del socialismo riformatore che identifica il governo con l’esercizio pieno e reversibile delle maggioranze, del consenso, degli strumenti parlamentari e istituzionali, con il governo degli istituti economici che una democrazia industriale moderna esprime pienamente.
Questo linguaggio identifica una sinistra di governo come l’obiettivo di una sinistra europea, quale si manifesta in concreto, cioè come una forza che si identifica e si giustifica con la capacità di governare un grande processo di razionalizzazione prima, di cambiamento e miglioramento poi.
Questo approccio di sinistra di governo, è uno dei momenti più alti della elaborazione politica e strategica della sinistra. E si collega ad un’altra fase della milizia di Lombardi: le sue riflessioni sul quadro internazionale.
L’europeismo di Lombardi
Oggi siamo tutti convinti che la pace non è più soltanto un valore coscienziale; il problema del disarmo assume caratteristiche diverse, perché affonda le sue radici in quei processi economici che segnano l’evoluzione dei rapporti di forza a livello internazionale. Lombardi era un anti-bipolarista ma sapeva bene che difficilmente poteva essere cancellato il bipolarismo militare, che tuttavia non necessariamente doveva giustificare l’accettazione succuba di un bipolarismo economico, strategico e politico.
La possibilità di spazi crescenti per iniziative economiche e politiche di tipo multipolare, l’europeismo di Lombardi, in un momento storico in cui la sinistra era anti-europeista; la crescente importanza della componente mediterranea; la crescente attenzione ai cosiddetti paesi terzi, correttamente individuati come un momento, in positivo o in negativo, destabilizzante di uno schema bipolare stabilito; il rifiuto erasminiano di identificarsi con Lutero o con il Papa; l’amore per la ragione, che lo portava ad individuare , all’interno dei rapporti di forza, gli elementi di movimento: sono tanti passaggi che hanno arricchito il patrimonio della sinistra.
Una moratoria per i paesi in via di sviluppo
Questa apertura allo scenario internazionale, con la scelta di leggere l’insieme delle interrelazioni che scandiscono l’evoluzione del mondo, rappresenta un dato di metodo che oggi possiamo apprezzare ancora di più. Per esempio, la sua attenzione per il grande tema del debito dei paesi in via di sviluppo e l’ipotesi moratoria, che Lombardi avanzò diversi anni fa, oggi comincia a diventare una delle carte economiche da giocare per crescenti settori del mondo economico americano; non una moratoria per amore dello sviluppo, ma per amore del mercato, per ricreare le condizioni di liquidità sui mercati oggi sostanzialmente immobili.
Questo ragionamento intrecciato su una sinistra di governo, che legge non soltanto la bilancia dei pagamenti in termini autarchici, ma uno scenario più complesso dal quale dipendono anche i suoi stessi destini, ripropone con forza la componente internazionalista, dalla quale emerge che i valori di pace e di indipendenza dei popoli diventano valori intrinseci ad una strategia di sviluppo.
Ricostruire la compatibilità fra sviluppo economico. equilibrio ambientale e progresso sociale, ricostruire l’equilibrio fra l’individuo e comunità: sembrano due parole d’ordine. Ma in realtà, la crisi della compatibilità fra sviluppo economico, progresso sociale e difesa ambientale ha determinato processi distorcenti nelle democrazie industriali, rispetto ai quali sta finalmente levandosi la coscienza di ampi settori popolari, e l’equilibrio fra individuo e collettività, la riconquista politica da parte delle comunità, è uno dei punti attraverso i quali la sinistra non è più legata a meccanismi ideologici che non consentono una lettura adeguata della realtà in cui viviamo, ma di questa realtà diventa parte completa e attiva.
Sul programma comune
Si pone con grande attualità il programma del soggetto politico capace, negli anni prossimi di riproporsi in Italia, come già sta avvenendo in altri paesi; quale garante della ricostruzione delle compatibilità fra sviluppo economico e difesa ambientale e progresso sociale, della riconquista della politica da parte della comunità; come il garante della crisi di questo “lieviathan” assoluto che è lo stato totalizzante, dietro il quale troppe volte la sinistra si è nascosta, ritenendosi troppo debole per poter vincere sul terreno del conflitto sociale, cioè del governo delle risorse, mentre abbiamo imparato a capire che la sinistra è forte nella società e debole nelle alleanze, proprio perché non è ancora riuscita a tradurre e a trasformare questa forza sociale in progetto politico.
La parola d’ordine di Lombardi nell’ultima fase della sua vita politica, fu il programma comune; allora io lo ritenevo prematuro, perché i rapporti a sinistra , la situazione del sindacato, la coscienza approfondita dei problemi che dovevano essere parte di un programma comune, erano tali, a mio parere, da far diventare l’esigenza del programma comune piuttosto uno scavalcamento delle difficoltà in cui la sinistra viveva che non una strada da percorrere con fiducia.
Oggi le condizioni sono cambiate, e anche questa espressione lombardiana è entrata in un linguaggio largamente comune. Ma nessuno può dimenticare che l’attuale parlare sul terreno dei programmi di governo e delle prospettive strategiche, è per buona parte il risultato del travaglio socialista.
Oggi, gran parte dell’elaborazione di cui la sinistra, complessivamente e con le diversità assolutamente legittime e naturali, si fa carico, nasce dalla travagliata elaborazione socialista che, attraverso alti e bassi, ha segnato la vita politica di questo paese.
Vecchie e nuove conflittualità
Io non credo alle battaglie di opinione. Ma c’è anche una presa di coscienza che le grandi conflittualità generali (sfruttatori-sfruttati, portatori di capitali-portatori di lavoro) sono più sullo sfondo , e che le conflittualità che emergono come materia politica, sono quelle più direttamente legate a più coscienti condizioni di esistenza: dalla ribellione allo sfruttamento diretto, alla prevaricazione e alla ingiustizia; al rapporto distorto fra stato e cittadini; così come alla coscienza di crescita, di opportunità, di autonomia da realizzare. È una conflittualità presente nella società, che non può essere più semplificata secondo le grandi organizzazioni ideologiche di un tempo.
L’Italia è uno degli ultimi paesi in cui opera il cosiddetto Partito-Stato, per cui ogni partito è portatore di una idea integrale dello stato e della società: circostanza che non è temperata in una cultura più articolata del paese, porta a chiedersi, che cosa voglio gli ambientalisti. Quando costoro si esprimono, testimoniano una condizione di esistenza vera, che si tocca con mano. Se a questa domanda non diamo risposte adeguate, questo tipo di spinta. di desiderio, di impegno, va altrove.
E allora non vale lamentarsi sul disimpegno della politica: la verità è che c’è un disimpegno dalla nostra politica, cioè da quella che chiamo la componente “leviathanica” presente nei partiti, figli del “leviathan” in quanto portatore dei poteri delle istituzioni, e al tempo stesso di esso negatori, in quanto portatori della democrazia reale. Non è un difficile gioco di equilibro, ma il compito storico di un politico: operare una sintesi tra le energie reali di un paese, di una comunità, di un territorio, perché possano esprimersi compiutamente.
La politica che assorbe tutto
Quella che all’inizio chiamavo la sinistra come soggetto storico, e quindi come soggetto politico nel senso più ampio e complesso che al termine possiamo dare, è la domanda dei prossimi anni. A dare le risposte potremo anche non essere noi, per errori politici o per carenza intellettuale e strategica.
Ma ci sono tutti i segnali di questa domanda: dalla instabilità della situazione politica, alle ricerche, anche affannose e ansiose, di modi di espressione diversa, alla spinta al cambiamento. L’esperienza ci insegna che la politica assorbe tutto: e anche ciò che si può manifestare in termini di persona o di gruppo, se esprime un processo più generale di esso diventa fattore dinamico, e da essere generale, assume lo spessore e il significato politico e strategico opportuni.
Sono convinto che stiamo entrando nella nuova fase. Lo dico con convinzione, ma anche con responsabilità.
Perché quando le cose sono lontane, si può dichiarare quel che si vuole, ma non c’è la verifica della prova dei fatti, quando invece si vivono i fatti, allora le parole pesano, diventano politica, non è possibile tornare indietro da esse, e attraverso esse o si costruisce o si distrugge.
Claudio Signorile – Professore di Storia contemporanea, già deputato, ministro, vice segretario del Psi