Il 3 febbraio scade il mandato dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Finora, tutti i Capi di Stato sono stati eletti prima della scadenza di quello precedente. Anche nel caso di Giovanni Leone, quando furono necessari 23 scrutini per proclamarlo il 24 dicembre del 1971, in quella che è stata l’elezione più lunga della storia della Repubblica italiana.
Un record, che potrebbe essere superato con il 13/mo Presidente, visto che le votazioni sono ridotte a una sola al giorno, le procedure allungate causa Covid, e le forze politiche sono in stallo nello scegliere un candidato.
Quale soluzione, allora, se le votazioni dovessero continuare dopo il 3 febbraio?
Rispondono Paolo Armaroli, professore ordinario di Diritto pubblico comparato, Stefano Ceccanti, deputato del Partito Democratico e ordinario di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato alla Università La Sapienza di Roma, e l’on. Giuseppe Lauricella, avvocato Cassazionista e professore universitario di Istituzioni di Diritto pubblico e diritto costituzionale, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo.
Nessun Capo dello Stato è rimasto in carica oltre la fine del settennato. Cosa succederebbe? Prorogatio Mattarella, supplenza Casellati? Come va interpretata la Costituzione?
Armaroli:
Potrebbe accadere. In questo caso la dottrina ha ipotizzato due strade: la prorogatio del Presidente della Repubblica in carica, finché non sarà eletto il successore, o la supplenza del presidente del Senato. Il problema, però, è chi decide. Non può deciderlo il presidente in carica, che ha concluso il mandato, né il presidente del Senato né, tantomeno, gli studiosi. Occorre un organo terzo: ovvero la Corte Costituzionale. Ma per attivarla è necessario sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato: potrebbe essere a farlo Mattarella o la Casellati.
C’è però un altro aspetto da considerare, perché a presiedere il giudizio della Corte sarebbe un candidato alla Presidenza della Repubblica, ovvero Giuliano Amato, che oggi è vicepresidente della Corte Costituzione ma, dal 28, ne sarà il presidente. Oltretutto la Consulta dovrebbe avere almeno due settimane per decidere. E allora cosa accadrebbe? Prorogatio o supplenza? Conoscendo Mattarella, con cui siamo stati colleghi alla giunta del regolamento in Montecitorio, la soluzione è che il giorno prima della scadenza, ovvero il 2 febbraio, si dovrebbe dimettere. Con questo atto certo si potrebbe quindi avere la supplenza della Casellati.
Prorogatio e supplenza, però, hanno delle controindicazioni interpretative. Per la prima, occorre ricordare che la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica dura 7 anni, qui si andrebbe oltre. Per la seconda, le norme dicono che supplisce il Capo dello Stato: ma, se non c’è più, che supplenza è?
Le dimissioni darebbero una soluzione.
Ceccanti:
Penso che sia preferibile una prorogatio perché il Presidente è comunque stato eletto per fare il Presidente, ha una legittimazione maggiore.
Lauricella:
Nel nostro sistema costituzionale si rilevano due ipotesi: la prima, la prorogatio, ex art 85 della Costituzione, che al comma 3 la prevede espressamente nel caso di scioglimento delle Camere o qualora manchino meno di tre mesi alla cessazione per fine legislatura, in modo da dare la possibilità al nuovo Parlamento di eleggere il Capo dello Stato; la seconda, la supplenza, in caso di impedimento.
Nel caso che mi sottopone non saremmo nell’ipotesi di impedimento. Dunque, ritengo che si applichi l’istituto della prorogatio, in quanto espressione di un principio generale del nostro ordinamento, d’altro canto, non espressamente negato dalla Costituzione nell’ipotesi che ci interessa.
Pertanto, dopo il 3 febbraio, alla scadenza del settennato, il Presidente Mattarella resterebbe in carica in regime di prorogatio.
Nel caso in cui, invece, il Presidente Mattarella decidesse di dimettersi entro il 3 febbraio la presidenza verrebbe assunta dalla Presidente del Senato Casellati, pur con poteri limitati che le impedirebbero di decidere di sciogliere anticipatamente le Camere.
Qualora l’elezione del Presidente della Repubblica dovesse presentare difficoltà oggettive dovute all’evolversi della pandemia, si potrebbe pensare a un rinvio richiesto dalle forze politiche?
Armaroli:
Un’ipotesi di rinvio, ma è un caso su un milione, si potrebbe verificare solo qualora il numero dei votanti sia meno di 505. Altrimenti le forze politiche devono far sì che il Presidente della Repubblica venga eletto entro il 3 febbraio.
Ceccanti:
C’è discussione sull’eventuale legittimità di un rinvio, ma la ritengo comunque inopportuna. Mi sembra che sia stato trovato un modo per far votare i positivi e questa era ed è la via maestra.
Lauricella:
Se la domanda sottende la difficoltà per i Parlamentari contagiati dal covid, l’unico problema è consentire la loro presenza a Roma. L’unica possibilità – a mio avviso – sarebbe quella di derogare alle disposizioni che generalmente impediscono gli spostamenti. Si tratterebbe di una deroga giustificata dall’importanza del diritto-dovere di esercitare il voto per l’elezione del Presidente della Repubblica, e limitata esclusivamente a tale atto.
Il tipo di votazione richiede, infatti, l’immunità di sede, la personalità, la segretezza, la libertà e la contestualità del voto.
Quindi, escluderei l’ipotesi di rinviare l’elezione, che creerebbe un grave precedente e un vulnus democratico.
Se dovesse venire eletto Draghi, chi andrebbe a capo dell’esecutivo?
Armaroli:
Supponiamo che Draghi venga eletto Presidente della Repubblica il 27 gennaio. In tal caso non accadrebbe nulla, perché Draghi continuerebbe a essere presidente del Consiglio fino al 3 febbraio, giorno del giuramento. A quel punto, automaticamente, Mattarella diventerebbe senatore a vita di diritto e Brunetta, come ministro più anziano, assumerebbe le funzioni di presidente del Consiglio. Ma, il 3 febbraio stesso, dovrebbe rassegnare le dimissioni al presidente della Repubblica che inviterebbe il Governo a restare in carica per il disbrigo degli affari correnti. Il giorno dopo, però, Draghi dovrebbe iniziare le consultazioni per formare un nuovo esecutivo.
Ceccanti:
Al momento non c’è una risposta chiara.
Lauricella:
Questo è il problema più rilevante.
Nell’ipotesi prospettata si determinerebbe una situazione inedita, senza precedenti, con effetti di non facile coerenza.
Ci troveremmo con un presidente della Repubblica in scadenza (o in prorogatio), un presidente del Consiglio eletto Presidente della Repubblica, ma non ancora in carica almeno fino al giuramento, e un Governo dimissionario.
Se Draghi fosse eletto, dovrebbe immediatamente recarsi dal presidente Mattarella e presentare le dimissioni da presidente del Consiglio, che comporterebbero le dimissioni dell’intero Governo.
Senza considerare che le dimissioni – contrariamente alla prassi – dovrebbero essere accettate contestualmente dal presidente della Repubblica, con decreto controfirmato dal presidente del Consiglio, cioè Draghi, lasciando il Governo in carica per gli affari correnti.
Ma anche questo sarebbe – almeno giuridicamente – un problema rilevante. Normalmente il presidente della Repubblica, una volta ricevute le dimissioni del Governo, temporeggia prima di firmare il decreto di accettazione, proprio per consentire al Governo dimissionario di rimanere in carica per gestire gli affari correnti.
Se, invece, le dimissioni vengono accettate immediatamente, il Governo non è più in carica e non ha più i poteri neanche per gli affari correnti.
Ma la politica, evidentemente, è più forte del diritto e può disattenderlo, nonostante i vari richiami alla correttezza istituzionale e al rispetto della Costituzione.
Ci sarà un motivo perché il Costituente non ha previsto né regolato l’ipotesi di cui discutiamo.
Ma in ogni caso, nel momento in cui venissero accettate le dimissioni del presidente del Consiglio e accogliendo l’idea che il Governo “residuale” rimanga in carica, a quel punto chi dovrebbe svolgere il ruolo di Capo del Governo?
La legge 400 del 1988 prevede la supplenza del presidente del Consiglio in caso di “assenza o impedimento temporaneo”: è un’ipotesi diversa da quella del presidente del Consiglio eletto Presidente della Repubblica.
Ma forse sarebbe l’unico appiglio normativo cui si riferirebbero le istituzioni per poter superare il problema di non poco conto.
E, in tal senso, sempre la legge 400 del 1988 dispone che la supplenza sia assunta dal Vicepresidente del Consiglio (figura non presente in questo governo) o in mancanza dal componente più anziano, che nel nostro caso è il ministro Brunetta.
Alessandro Rosi – Giornalista