Nato sotto pressione. Se l’aumento delle spese divide l’Alleanza

Il 5% del PIL per la difesa entro il 2035: una decisione storica che sta però dividendo la Nato. Dalla resistenza spagnola al referendum sloveno sull’appartenenza all’Alleanza Atlantica, emergono fratture che riflettono percezioni diverse della minaccia russa e difficoltà nel gestire le pressioni americane. Un’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi, sulle sfide alla coesione dell’organizzazione fondata 76 anni fa

Il Summit Nato dell’Aia del giugno 2025 ha segnato un momento storico per l’Alleanza Atlantica, ma anche l’emergere di tensioni interne che mettono alla prova la coesione dell’organizzazione. La decisione di aumentare la spesa per la difesa al 5% del Pil entro il 2035, suddivisa in 3,5% per la difesa core e 1,5% per investimenti correlati, ha innescato reazioni contrastanti tra i 32 membri, evidenziando fratture che vanno oltre le mere questioni economiche.

Le resistenze nazionali

La Spagna è stata il caso più emblematico, con il governo Sánchez che ha sostenuto di poter raggiungere gli obiettivi di capacità militari spendendo solo il 2,1% del Pil, sfidando apertamente l’assessment Nato. Una posizione che ha creato imbarazzo diplomatico e ha richiesto l’intervento diretto del segretario generale Mark Rutte per chiarire che la “Nato è assolutamente convinta che la Spagna dovrà spendere il 3,5% per arrivarci”.

Ma è la Slovenia a rappresentare oggi il caso più preoccupante. Il premier Robert Golob, dopo la sconfitta parlamentare sulla risoluzione per aumentare gradualmente la spesa militare al 3% del Pil entro il 2030, ha annunciato un referendum consultivo sull’appartenenza alla Nato. Una mossa disperata che tradisce la profonda crisi interna della coalizione di governo e la difficoltà di giustificare all’opinione pubblica slovena un percorso decennale di incrementi militari in un paese i cui cittadini non percepiscono minacce dirette alla propria sicurezza.

La geografia della percezione della minaccia

Le tensioni riflettono una divisione geografica e percettiva fondamentale nell’Alleanza. Come ha sottolineato efficacemente la ministra lituana Dovilė Šakalienė: se non si agisce rapidamente “potremmo dover iniziare a imparare il russo”. Una dichiarazione che riflette l’urgenza percepita dai Paesi baltici e dell’Europa orientale, per i quali la minaccia russa è esistenziale e immediata. Per questi Paesi, avere “il confine bielorusso a meno di cento chilometri dalla capitale” cambia completamente la percezione del pericolo.

Al contrario, paesi come Slovenia, Spagna o Portogallo vivono la spesa militare come un peso economico piuttosto che come una necessità vitale. Questa asimmetria nella percezione della minaccia crea un paradosso: chi più ha bisogno di protezione spesso ha meno risorse per garantirsela, mentre chi potrebbe permettersi maggiori investimenti militari ne vede meno l’urgenza.

L’assertività americana e le sue conseguenze

L’amministrazione Trump ha esercitato una pressione senza precedenti per l’equalizzazione della spesa militare, richiedendo agli alleati europei di raggiungere il livello americano del 3,4% del Pil. Come ha ammesso candidamente Rutte: “se Trump non fosse stato eletto presidente, pensate davvero che i sette-otto Paesi che non raggiungevano il 2% a inizio anno lo avrebbero fatto?”.

Questa pressione, pur comprensibile da un punto di vista di burden-sharing, rischia di produrre effetti controproducenti. L’approccio muscolare americano può infatti alimentare sentimenti anti-atlantici in Paesi dove il sostegno alla Nato è già fragile, trasformando la questione militare in una battaglia sovranista.

Il paradosso dei Security consumers

Tuttavia, l’eventuale defezione di alcuni membri comporterebbe conseguenze drammatiche soprattutto per i Paesi Security consumers come la Slovenia. L’eventuale uscita dalla Nato lascerebbe la Slovenia praticamente senza difese e in balìa di vicini con i quali non sempre è andata d’accordo. È lo stesso paradosso della Brexit: Paesi che beneficiano enormemente dell’appartenenza a un’organizzazione rischiano di abbandonarla per miopi calcoli politici interni.

Prospettive e rischi

La crisi slovena rappresenta un caso emblematico di come questioni di politica estera vengano strumentalizzate per dinamiche interne. Il referendum Nato annunciato da Golob è un azzardo dai potenziali risultati catastrofici che utilizza la sicurezza nazionale come arma di battaglia politica in vista delle elezioni del 2026.

Nonostante queste tensioni, la Nato ha dimostrato una notevole capacità di tenuta. L’Alleanza ha già attraversato crisi più profonde, dal ritiro francese dal comando integrato negli anni Sessanta alla questione greca-turca, senza perdere la propria efficacia. La solidarietà atlantica, basata sull’Articolo 5 e su strutture di comando integrate, resta il centro di gravità dell’organizzazione.

Il vero test sarà la capacità di gestire questa transizione verso maggiori investimenti militari senza fratturare il consenso interno. Come ha osservato Rutte, “la deterrenza si conferma l’unica garanzia di pace”, ma questa deterrenza deve essere costruita su basi condivise e sostenibili, evitando che vengano imposte dall’alto.

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide