Meglio l’Italia del silenzio che quella del cicaleccio

“L’Italia è il paese che amo” diceva Silvio Berlusconi alla scrivania nel discorso della discesa in campo. Anche per me, già prima che giungesse a dirlo Berlusconi, l’Italia è sempre stata il paese che amo. Cossiga mi avrebbe definito certamente un patriota anche per questo, pure perché io i patrioti li ho studiati fin da piccolo, a cominciare da quelli mazziniani e garibaldini, e li ho sempre amati.
Però, con un contraltare. Non ho mai dimenticato la formula di Giovanni Amendola, al momento della formazione dell’Unione Democratica Nazionale nel 1925; una formula che era anche uno slogan: “Questa Italia non ci piace”.

 

 

 

 

E se guardo all’Italia di oggi, specie vista la Roma dei ministeri e dei palazzi del potere, tendo a propendere più per lo slogan di Amendola che per quello di Berlusconi.
Non mi piace assolutamente il cicaleccio continuo e ripetitivo di cui si nutre la nostra politica. Un cicaleccio fatto di troppe dichiarazioni, troppi illusori talk show, troppi tweet, quasi nessuno orientato a risolvere i veri problemi del paese.
L’ho scritto anche nel mio libro, da pochi giorni in libreria, “I segreti del potere – Le voci del silenzio” (Rai Libri).
Preferisco di gran lunga gli uomini e le donne, non bagnati dalla benedizione (Ma sarà poi tale?) del consenso popolare, che operano ai livelli appena sottostanti rispetto ai livelli politici di governo. Personalità che sono abituate a riconoscere, cogliere, affrontare i problemi, senza offrire alcun contributo al cicaleccio e quasi sempre operando nel silenzio.
Quel silenzio in cui hanno sempre operato i grandi servitori dello Stato, come erano ad esempio Falcone e Borsellino, che, come l’altro esponente del pool antimafia Giuseppe Ayala evidenzia nel mio libro, per tutti i lunghi anni di attività del pool antimafia non hanno mai fatto una conferenza stampa o una dichiarazione.

Quel pieno silenzio in cui operava Giampiero Massolo, un altro dei protagonisti del libro, quando era segretario generale del Ministero degli Esteri o direttore del D.I.S. (Dipartimento delle informazioni per la Sicurezza) e guidava con sobrietà, stile e sempre nel silenzio il sistema dei servizi segreti. Quel silenzio con cui operano donne come Gabriella Palmieri Sandulli, prima donna a capo dell’Avvocatura Generale dello Stato.

Non mi piace l’Italia in cui ogni tanto scatta l’urlo di qualche esponente politico, come ad esempio il Donzelli di turno. Urli spesso finalizzati a trovare un posto nelle televisioni e nelle rassegne stampa. Amo molto l’Italia operosa e silenziosa del volontariato, diffuso in tanti ambiti senza che gli addetti si mettano a suonare le trombe.
Non mi piace l’Italia in cui il Parlamento ha un peso ridotto ai minimi termini, oppresso dal peso dei troppi decreti-legge. Perché è giusto e legittimo che ci sia, come avviene ora, un governo forte e un Presidente del Consiglio forte, ma in una democrazia parlamentare serve anche un Parlamento forte. Non vado matto per l’Italia di Atreju, dove troppi corrono a farsi vedere o a cercare di farsi “ingaggiare” dai nuovi potenti.

Mi piace, invece, l’Italia di Mattarella, di un presidente della Repubblica, vero custode della Costituzione, che spesso opera e agisce tramite il silenzio, con vero senso di imparzialità ed unico soggetto istituzionale al di sopra delle parti.

 

 

 

 

Non mi piace, invece, l’idea che potremmo avere un premier ad investitura popolare, specie perché questo spunterebbe le unghie proprio al presidente della Repubblica. E non so che fine potrebbe fare il nostro paese senza una figura davvero al di sopra delle parti, come tale riconosciuta da più dei due terzi dei cittadini, e la cui autorevolezza sarebbe indubbiamente erosa dall’elezione diretta del premier.

Non mi piace e mi preoccupa quel “malessere” della democrazia italiana che da tempo mi sembra di avvertire e per il quale trovo conferma dall’ultima indagine IPSOS sul Corriere della Sera di domenica scorsa. Se in Svezia, infatti, il 44% dei cittadini si reputa soddisfatto del funzionamento della democrazia, in Italia lo è il 22%, meno che in Francia e nel Regno Unito che pur non attraversano certo fasi tranquille.

È questo un “Non mi piace” teso a far risuonare l’allarme. Probabilmente molto deriva dal fatto che, pensando a questa fase della vita politica, forse aveva ragione Paul Valery quando scriveva che “La politica è l’arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda”.

 

Luigi TivelliGià capo di Gabinetto, funzionario parlamentare, scrittore, presidente dell’ACademy di politica e cultura Giovanni Spadolini

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