C’è chi dice no alla guerra sia nella società israeliana costantemente sottoposta alla “propaganda messianica” sia nel mondo palestinese, dove Hamas sembra “qualcosa di condiviso” da tutti a Gaza e in Cisgiordania. Giovedì scorso tre testimoni di pace, Sofia Orr e Daniel Mizrahi da Israele assieme Tarteel Yasser Al Junaidi dalla Palestina, rappresentanti dei movimenti non violenti Mesarvot e Community Peacemaker Teams – Palestina (CPT) sono stati ospiti della Camera dei deputati. I tre obiettori di coscienza hanno raccontato la guerra in Medio Oriente attraverso i loro occhi. Il punto di vista di chi ha rigettato il fucile perché ritiene che esistano modi diversi di interagire con il prossimo. Gli attivisti – che in origine dovevano essere quattro ma l’esponente palestinese Aisha Amer era assente – hanno partecipato a un’audizione al Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo prima del loro intervento a Montecitorio.
Presenti all’evento gli esponenti dell’Intergruppo parlamentare per la Pace tra Israele e Palestina e gli attivisti della Rete Italiana Pace e Disarmo.
Nei prossimi giorni l’Intergruppo chiederà al governo italiano e all’’Ue di riconoscere lo status di rifugiati politici agli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva, difensori dei diritti umani, costruttori di pace che fuggono dalle guerre e chiedono asilo e protezione, come si legge in un comunicato. L’obiettivo è quello di fermare la guerra in Medio Oriente e giungere ad un cessate il fuoco per evitare che le vittime di questo conflitto non aumentino ulteriormente.
La scelta di Sofia
Sofia Orr è un’obiettrice di coscienza israeliana che fa parte di Mesarvot, una rete che rappresenta chi ha rifiutato di andare in guerra in Israele. Nel febbraio 2024 Sofia ha fatto la sua obiezione e per questa sua scelta ha scontato 85 giorni di prigionia militare. “Ho fatto questa scelta non soltanto perché non volevo prendere parte all’oppressione, all’occupazione e al genocidio che gli israeliani stanno compiendo ma anche perché volevo resistervi attivamente”, spiega l’attivista, “ed anche per questo l’ho fatto il più pubblicamente possibile, cercando di raggiungere i media nazionali ed internazionali e portando la voce dei palestinesi nella società israeliana”.
Con la sua scelta Sofia voleva portare la voce della pace e della giustizia nell’opinione pubblica. L’obiettrice di coscienza nel suo intervento spiega che il governo israeliano cerca di censurare l’azione di chi vi si oppone. “Le persone che come noi cercano di promuovere pace e giustizia sono censurate. Vorrei che tutti si facessero le mie stesse domande: a che causa avrei contribuito servendo l’esercito? In che modo avrei protetto le persone intorno a me? Mi sono fatta queste domande quando ero molto giovane e mi sono data le risposte…una di queste è che facendo il servizio militare il mio corpo sarebbe stato gettato in un ciclo di violenza senza fine che ora coinvolge tutte le nostre comunità dal fiume al mare”.
Contrastare la “deumanizzazione”
Qual è allora l’unico modo per evitare un conflitto? Ascoltare il prossimo al di là delle barriere imposte da una società sciovinista. “È fondamentale contrastare la deumanizzazione in atto”, spiega sempre Sofia. “Siamo una voce troppo minoritaria, vogliamo portare il cambiamento sul campo. Il primo passo è fermare la violenza per iniziare il processo di guarigione”.
La spinta di chi si fa voce della pace non basta da sola a compiere un obiettivo così grande. È necessario che anche la comunità internazionale dia il suo contributo fermando gli aiuti militari a Israele. “Bisogna far terminare l’apartheid e l’oppressione e creare una democrazia dove tutti siano uguali”, conclude Sofia.
Parlando poi a Beemagazine, Sofia Orr ha spiegato che la voce di chi cerca di portare avanti un’alternativa viene spesso silenziata dal governo di Tel Aviv: “Cerchiamo di portare nella nostra società la voce anche dei palestinesi e di mostrare che esistono alternative a tutto quello che succede. La pace è l’unica opzione e per attuarla è necessario ascoltare il prossimo”.
Alla domanda se la società israeliana sia razzista la giovane attivista risponde: “Si tratta di una società estremamente razzista. A partire dai media, che portano avanti una deumanizzazione dei palestinesi”.
“Il mio Paese non è democratico con gli oppositori”
Anche Daniel è un cittadino israeliano che ha rifiutato di prestare servizio nelle forze armate israeliane e lo scorso anno ha scontato 50 giorni nelle carceri militari. Il giovane ha spiegato che Israele – spesso dipinta come l’unica democrazia del Medio Oriente – non è affatto democratica con gli oppositori: “Ho preso questa decisione perché è importante che tutti capiscano che Israele non è una democrazia”, spiega Daniel. “Milioni di palestinesi non possono votare nonostante vivano sotto al governo israeliano”.
Anche la libertà di espressione israeliana sembra lasciare molto a desiderare, stando alla testimonianza del giovane obiettore di coscienza. “Ormai non c’è libertà di parola e di espressione”, spiega Daniel, che durante la conferenza indossa un cappello e una mascherina perché ha paura di subire ripercussioni per la sua scelta. “Ci sono persone, in particolare palestinesi con la cittadinanza israeliana, che sono stati arrestati dopo trenta minuti per aver postato sui social media contenuti contro la guerra o di empatia sull’uccisione di bambini a Gaza”.
Le proteste contro il governo israeliano non sono una novità. Già prima della guerra in corso in Medio Oriente i cittadini dello Stato ebraico sono scesi in piazza contro la riforma della giustizia. Ancora oggi le proteste proseguono e le forze dell’ordine sono spesso intervenute con eccessiva violenza contro chi ha affollato le piazza per chiedere la pace.
“Sono in corso numerose proteste pacifiche che vengono represse con l’utilizzo di detenzione di massa. Viene utilizzata la pratica della detenzione amministrativa, gli attivisti vengono messi in carcere per mesi – o anche per anni – senza processo”, racconta Daniel. “È una questione di umanità mettere fine alla guerra”, prosegue. “Solo quando israeliani e palestinesi avranno uguali diritti vedranno anche la pace”.
Tarteel Yasser: “Noi palestinesi nasciamo come attivisti”
L’attivista palestinese Tarteel Yasser Al Junaidi fa parte del gruppo per la pace Christian Peacemakers Teams di Hebron, nella Cisgiordania, e ha raccontato della difficile condizione della sua città che si trova in una terra di confine dove le violenze dei coloni estremisti sono all’ordine del giorno: “Questa mia realtà è quella di tutta quella palestinese, sappiamo che le nostre voci non sarebbero state ascoltate in nessun modo. Per questo noi palestinesi nasciamo come attivisti proprio per poter raccontare queste storie e testimoniare cosa succede ogni giorno”, spiega Tarteel.
“Quello che viviamo a Hebron è molto duro. Ogni giorno vediamo persone arrestate dai soldati o attacchi da parte dei coloni estremisti” racconta l’attivista spiegando che quello che si vive nella città della Cisgiordania è l’emblema di un’occupazione che giorno dopo giorno provoca nuove vittime fra i civili palestinesi.
Anche in questo caso Israele applica censure. “Siamo pacifici ma la nostra voce non viene ascoltata e siamo censurati”, spiega Tarteel. “Continuiamo a chiedere la pace ma è necessario che ci sia anche la giustizia come base. Per far chiudere il ciclo di violenza bisogna combattere le ingiustizie”.
La promessa di un’interrogazione parlamentare
L’intergruppo per la pace tra Israele e Palestina nei prossimi giorni alzerà la voce contro quello che accade in Medio Oriente. Negli ultimi mesi sono aumentati i fronti del conflitto e la repressione da parte del governo israeliano ha raggiunto livelli insostenibili. La deputata del Pd, ex presidente della Camera, Laura Boldrini ha ribadito che l’esecutivo di Giorgia Meloni ha tenuta bassa la testa per troppo tempo alzandola solamente quando c’è stato ad inizio mese l’attacco alla missione di pace delle Nazioni Unite Unifil: “Di fronte a 42mila persone uccise a Gaza non ho sentito parole di condanna, questo è molto grave”, ribadisce l’ex presidente della Camera. “Oggi l’Italia si trova dalla parte sbagliata: quella di chi si astiene dal voto sul cessate il fuoco, sul riconoscimento della Palestina e sul sollecitare Netanyahu dal lasciare i territori occupati”.
Boldrini ha ribadito che presto sarà organizzata una nuova visita della Cisgiordania e di Gerusalemme Est come è successo lo scorso marzo a Rafah quando una delegazione di esponenti di Pd, Avs e 5S si sono recati nei luoghi della guerra. Nei prossimi giorni sarà chiesto al governo, tramite un’interrogazione parlamentare, di riconoscere la protezione internazionale agli obiettori di coscienza.
La coordinatrice dell’Intergruppo per la Pace tra Israele e Palestina Stefania Ascari (M5S) ha ribadito che l’impegno per mantenere alta l’attenzione su quello che succede in Medio Oriente proseguirà e ribadisce che incontri come quello tenutosi giovedì con gli obiettori di coscienza è fondamentale per costruire la pace e fermare il genocidio in corso: “Tutte le istanze portate qui saranno trasformate in atti concreti: presenteremo un’interrogazione parlamentare per sollecitare il riconoscimento dello status di rifugiato politico per gli obiettori di coscienza e andremo in Cisgiordania perché è dovere delle istituzioni toccare con mano queste realtà per far capire a questo governo che non ci si astiene dal votare il cessare il fuoco e contro l’invio di armi”.
Boldrini e Ascari a Beemagazine: “Promuovere il dialogo”
Sia Laura Boldrini che Stefania Ascari hanno parlato a Beemagazine a margine della conferenza stampa. L’ex presidente della Camera ha spiegato che le testimonianze di oggi sono fondamentali per far capire cosa succede in Israele. Per quanto riguarda invece il conflitto in corso Boldrini ha commentato: “Penso che la situazione sia allarmante, l’attacco a Unifil è preoccupante, ma anche il massacro di 42mila persone a Gaza dovrebbe essere condannato. Il governo si è risentito per l’attacco alla missione di pace ma non abbiamo visto tanta assertività nel condannare il massacro del popolo palestinese in corso da circa un anno”.
Anche l’esponente dei 5S ha condannato la reazione tardiva del governo: “A oltre un anno sono morte 42mila persone, soprattutto bambini, il governo si è astenuto tre volte dal fermare le risoluzioni internazionali che prevedono il cessate il fuoco ed il riconoscimento dello Stato di Palestina. Una condotta inaccettabile perché continua a finanziare armi a Israele e a intrattenere relazioni con Netanyahu. Bisogna stimolare le coscienze e promuovere il dialogo per tornare a essere umani, perché ne abbiamo bisogno”.
“Nel momento in cui la Russia ha invaso l’Ucraina sono state applicate sanzioni a Mosca, quando è successo in Libano – che è uno Stato sovrano – non è scattato nessun atteggiamento simile ma sono state utilizzate parole giustificative di questo atto criminale. Un atteggiamento inaccettabile, noi questa ipocrisia la mettiamo in evidenza ogni volta nel Parlamento”, ha concluso Ascari.
Francesco Fatone – Giornalista