Medio Oriente in fiamme, la galassia araba sunnita si riavvicina a Israele. Gli scenari

Lattacco dell’Iran a Israele era atteso, ma non per questo meno inquietante: mai, prima di oggi, lo Stato islamico aveva attaccato direttamente lo Stato ebraico, ricorrendo sempre dal 1979 ad oggi ai suoi alleati sciiti tra le milizie irachene, libanesi, siriane o yemenite.

Dopo quarantacinque anni di ostilità strisciante tra il regime degli Ayatollah e Gerusalemme, da un punto di vista simbolico la portata dell’attacco è enorme, bilanciata da quello sostanzialmente nullo sul piano militare grazie al potente scudo a difesa dei cieli israeliani e al sostegno degli alleati. Alcuni addirittura insperati.

Il tema che oggi si pongono tutte le cancellerie mondiali è se, ma soprattutto come risponderà Israele. Abbiamo tre scenari possibili.

Il primo è che lo Stato ebraico si faccia convincere dagli Stati Uniti, dichiarando vittoria e proclamando l’evidente successo nell’aver neutralizzato il 99% degli attacchi iraniani, ma senza reagire sul piano militare.

È uno scenario poco probabile, reso ancora più fragile dalle dichiarazioni di queste ore di Gerusalemme che annunciano una “rappresaglia imminente” e, addirittura, una “risposta dolorosa” agli attacchi subiti.

Da Washington si guarda, al contempo, con terrore alla possibile escalation in Medio Oriente, in un momento storico in cui gli Stati Uniti sono notoriamente e faticosamente già impegnati su altri fronti e, quel che è peggio, nel pieno dei una lunga campagna elettorale.

Le diplomazie sono al lavoro per evitare il caos, l’Iran mette intanto in stato di allerta le proprie difese aeree sperando senza troppa convinzione che le operazioni si concludano qui. Dovendo anche tener conto, inevitabilmente, delle reazioni decisamente fredde della Cina e della Russia al proprio attacco.

Il secondo scenario dipinge, in modo più preoccupante, la scelta israeliana di rispondere a Teheran, con un attacco limitato quanto significativo e simbolico al pari di quello ricevuto. Una scelta che è considerata la più probabile da parte degli analisti, anche se non immediata: gli indiziati di un attacco mirato sono per prime tutte le milizie alleate dell’Iran che agitano il Medio Oriente, dagli Hezbollah nel Libano, ai miliziani in Siria e Iraq, fino alle milizie Huthi nello Yemen.

Una scelta che, rispetto alla fine delle ostilità, non è certamente preferita da Washington, ma che al contempo può rappresentare un’opportunità per neutralizzare indirettamente proprio gli Huthi attraverso il fuoco israeliano. Risolvendo così alla radice un problema che continua a minacciare, dalle acque del Mar Rosso, la logistica di mezzo mondo.

Il terzo e più inquietante scenario richiamerebbe quanto avvenuto a Gaza dopo il 7 ottobre, quando la strage di Hamas spinse il gabinetto di guerra di Benjamin Netanyahu a decidere di farla finita una volta per tutte con Hamas.

Ora che Teheran è passata dalle minacce di distruzione dello stato ebraico ai fatti, Israele è dichiaratamente tentata di neutralizzare una volta per tutte la minaccia iraniana. Prima, peraltro, che l’Iran possa contare sull’arma atomica.

Non sono passate inosservate le parole del Ministro alla Cultura israeliano Miki Zohar: Lattacco dellIran ci fornisce legittimazione internazionale a una risposta più dura che mai”. Il riferimento alla minaccia nucleare iraniana è fin troppo evidente, peraltro considerata dalle intelligence nel mondo inevitabile nel giro di breve tempo.

La verità è che tanto Israele, quanto l’Iran, devono fare i conti prima di tutto con le propria opinioni pubbliche, scottate dalle recenti umiliazioni subite e con le rispettive classi dirigenti infiacchite da mesi complicati.

Teheran doveva rispondere in qualche modo alla recente rappresaglia israeliana a Damasco, e ha scelto il modo più rumoroso e scenografico che aveva a disposizione. I festeggiamenti della popolazione nelle piazze iraniane sono stati diffusi per prime dalle tv del regime degli Ayatollah, quindi ripresi all’estero.

LIran si è voluta così appuntare al petto la medaglia di nemico principale dello stato ebraico, lasciando a emirati, monarchie e regimi sunniti il ruolo ingrato di odiosi alleati dell’occidente. L’attacco di Teheran, prima che ad Israele, era un messaggio dichiaratamente rivolto all’opinione pubblica interna e al resto del mondo arabo.

Come sempre la storia è la migliore interprete del presente, e non è un caso che l’Iran nella sua storia millenaria abbia sempre interpretato il principale ruolo antioccidentale nell’area, dai tempi della Grecia antica allo Scià, non a caso scacciato dai suoi connazionali anche perché troppo vicino agli Stati Uniti.

Teheran con il suo attacco ha inevitabilmente scaldato i cuori della piazza araba, mettendo dichiaratamente in imbarazzo tutta la regione e in particolare gli stati sunniti, tradizionalmente ostili all’Iran sciita.

La Giordania durante l’attacco ha tolto la maschera, aperto il suo spazio aereo all’occidente e levato in volo i suoi caccia per abbattere i droni iraniani. LArabia Saudita ha condiviso le proprie informazioni di intelligence con l’occidente e riscoperto in Teheran il nemico di sempre. L’Egitto e gli Emirati che si sono rifugiati in un silenzio decisamente molto rumoroso.

La crisi di Gaza, con la conseguente spinta dell’opinione pubblica delle masse arabe del Medio Oriente, aveva decisamente complicato i rapporti tra i governi di Netanyahu e quelli di questi paesi.

Per molti analisti l’attacco suicida di Hamas del 7 ottobre aveva proprio questo scopo: rompere il riavvicinamento tra Israele e la galassia araba sunnita, in corso da tempo.

L’Iran potrebbe improvvisamente aver riaperto questo percorso, ricreando un fronte comune che lo vede come vera minaccia alla stabilità nell’area, riunendo stati arabi sunniti e Israele ben più di quanto li divida la violentissima azione israeliana su Gaza.

Scopriremo nei prossimi giorni lo scenario che andranno a dipingere le scelte di Israele, con le sue ricadute che si avvertiranno in ogni angolo del globo.

 

Giorgio Borrini – Giornalista

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