L’odissea dei padri separati e dei figli e dei diritti negati, sentiamo l’altra campana

Pubblichiamo, sotto forma di lettera, l’opinione di un “sindacalista dissidente”

Caro direttore,

intervengo sul tema trattato giorni fa da Beemagazine, coppie che si separano e figli senza diritti, spesso inascoltati.

Albert Einstein diceva: «Non si risolve un problema con il modo di pensare che l’ha generato».

Intanto non è una colpa se è più frequente che siano le donne a chiedere di separarsi dal proprio marito o compagno, evidentemente ci sono più uomini violenti che adottano metodi aggressivi tra le mura domestiche. Maschi che preferiscono mettere in atto sistemi violenti, non solo fisici ma anche psicologici, con la propria compagna e gli stessi figli.

Credo che oggi in Italia, statisticamente, in tema di separazioni nella coppia, le vittime siano le madri, quelle che sono maltrattate e bistrattate. Donne che vengono poste sotto accusa, diffamate e crocifisse dai mariti, compagni e dalle stesse istituzioni. Accade questo in quanto persiste una arcaica mentalità patriarcale, nonché misogina.

Nonostante le molteplici sentenze favorevoli a tante donne. Cito il caso di Laura Massaro, dove la Corte di Cassazione con ordinanza n. 286/2022 le ha riconosciuto che “…il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.

L’amara vicenda di Laura Massaro e di suo figlio è la storia di una madre che ha sofferto brutalità inenarrabili, da parte dell’ex compagno e dalle istituzioni. Quando invece proprio queste ultime avrebbero dovuto tutelare, garantire lei e il suo bambino. A questo proposito vorrei esporre il caso di mia figlia e mio nipote, iniziato dieci anni fa. Ovverosia di un bambino che si rifiuta, ormai da tre anni e mezzo, di frequentare suo padre. Costretto a colloqui e audizioni con la Consulente Tecnica d’Ufficio (Ctu) e, su richiesta di quest’ultima, a incontrare il padre. Una Ctu che persevera sulla richiesta del perché mio nipote non vuole vedere il genitore. Che nel periodo in cui ha subito queste tensioni, soffriva di stati d’ansia, stress e il suo equilibro psico-fisico era messo a dura prova.

Purtroppo, dice la madre, “spero di sbagliarmi, ma mio figlio era cambiato, in quella fase della sua crescita, non aveva voglia di fare i compiti, che gli vengono assegnati a scuola, e il suo profitto scolastico è stato insufficiente”. “L’insegnante di matematica mi convocò…”, continua la madre, “… perché era sorpresa che un bambino intelligente, che da più di tre anni aveva conseguito alti profitti a scuola, da qualche mese sembrasse disattento e non studiasse”.

Un bimbo che aveva ripreso (da marzo 2021, quando si è rifiutato di avere incontri col padre e la famiglia paterna) ad avere interesse per lo studio, relazioni scolastiche con i compagni, ed era positivamente coinvolto nella didattica. È deprimente che un bambino, di una coppia separata, non venga creduto né tanto meno preso nella giusta considerazione quando nelle audizioni manifesta, in modo lapalissiano (ci sono i video registrati degli incontri) che non vuole incontrare né frequentare il padre e dice, “di lui ho paura perché è violento”.

Ha paura perché quando lo frequentava lo lasciava da solo, fino a tarda notte; perché si metteva delle cose nel naso e aveva dei tremori; litigava ed aveva violente discussioni con i nonni paterni. Vale la pena aggiungere che il minore che ha assistito a violenza è considerato dal Codice Civile parte offesa. Un padre che nel primo incontro fissato dalla Ctu, con suo figlio, non si è nemmeno presentato. Sottolineo, questo accadeva dopo due anni e mezzo che questo padre non vedeva il figlio. Siamo di fronte, oppure no, a comportamenti da parte di tecnici e specialisti che applicano l’Alienazione Parentale e dunque incoraggiano e aiutano i padri violenti?

È come se la Consulente volesse esercitare una costrizione, reiterata nel tempo, per imporre a tutti i costi il diritto di visita. Tuttavia, in linea generale, il consulente non è delegato a valutazioni di comportamenti inappropriati al ruolo genitoriale, che invece sono di competenza del mondo giudiziario.

La Ctu non può sostituirsi all’attività investigativa del giudicante con la conseguenza che le rituali procedure giuridiche (ascolto del minore, prove e testimonianze) vengano sostituite dalle procedure di una scienza psicologica che non fornisce conoscenze attraverso la raccolta e l’interpretazione dei fatti rispondenti a criteri non giuridici e quindi non improntati ai principi di un processo equo.

Va rilevato che la stessa Legge n.54 del 2006, che ha recepito la normativa come diritto fondamentale del minore (e non dell’adulto), già sancito dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e successivamente dalla Carta di Nizza del 2000, si esplica attraverso una serie di doveri dei genitori che comprendono i compiti di cura, educazione, di attenzione, di mantenimento.

A buon diritto, dunque, la Procura Generale della Corte di Cassazione ribadisce che il fanciullo, nelle procedure che lo riguardano, deve essere considerato soggetto di diritti e non oggetto di diritti. E poi come tossico riferimento c’è sempre questa, “tristemente famosa”, teoria dell’Alienazione Parentale di Richard Gardner. Di questo ufficiale medico americano, morto suicida nel 2003, che nientemeno riusciva a giustificare anche la pedofilia nelle sue relazioni tecniche. Relazioni contrastate da tutto il mondo scientifico.

Negli ultimi decenni alcuni assistenti sociali, psicologi, Ctu e giudici nelle loro relazioni, e poi nelle sentenze, hanno imposto questa bizzarra, e misogina, teoria ascientifica. Psicologi “scalzacani” che Sigmund Freud lo hanno letto a fumetti sulle riviste patinate. Assistenti sociali che hanno usato, e continuano indisturbati a farlo, metodi illiberali, fuori dalle regole della democrazia. Tanto che ho sempre sospettato che la loro formazione professionale fosse tenuta nelle scuole votate a quel, tristemente noto, nazista di Paul Joseph Goebbels.

Assistenti e psicologi (con le dovute eccezioni) che descrivono, nelle loro relazioni, le madri dei figli separati, che rifiutano le visite con il padre, come in uno schema preordinato: “madri malevole e simbiotiche, che intralciano il rapporto padre-figlio”.

Sono le stesse esperte che ai giudici riferiscono il falso. Così come è falsa, e priva di fondamento scientifico, la teoria di Gardner. Se, al contrario, psicologi e operatori sociali svolgessero sul serio, ed in modo autorevole, il loro mestiere scoprirebbero che ci sono padri malvagi e vendicativi, che si nascondono dietro ad una montagna di menzogne e così facendo coprono le proprie insicurezze e precarietà psichiche.

È più comodo, e torna utile, per alcuni padri dichiarare e sbandierare ai quattro venti, e coprirsi dietro un: “non mi fa vedere mio figlio”. Insinuare, dare colpe ad altri, ammantarsi di cattiveria dietro una marea, infinita, di pregiudizi reconditi quando invece bisognerebbe affrontare la realtà “de visu”, ammettendo i propri fallimenti. Se una madre è necessaria per nascere, e un padre è indispensabile per vivere, allora un padre dev’essere guida, riferimento, sicurezza.

Fare il padre vuol dire essere uomo che vuole aiutare un altro a diventare uomo. Un padre è autorevole, è colui che sa condurre. Un padre dev’essere credibile e deve avere carisma. E se non ce l’ha non può inventarselo. Amare un figlio non è come avere un legame per gli oggetti, come per il denaro (San Basilio Magno ma anche altri, tra cui Freud, lo definiva “lo sterco del diavolo”).

Nel film Il Monello, Chaplin sente fortemente il bisogno di essere padre. Analogamente, nella favola di Pinocchio, Geppetto lavora un pezzo di legno per farne un burattino. Perché Geppetto vuole essere padre e desidera, più di sé stesso, amare un figlio. Pertanto, in questo nostro paese i bambini dei genitori che si separano, insieme alle loro madri, non hanno diritti! Concludo, come ho iniziato, con le parole di Albert Einstein, ribadendo ai padri rancorosi, agli assistenti sociali, psicologi e Ctu «Non si risolve un problema con il modo di pensare che l’ha generato».

 

Maurizio Maccagnano – sindacalista dissidente

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