Maschio anzi, “mas-cu-lu”: niente più di questa parola, meglio se pronunciata sillabandola in dialetto siciliano, crediamo possa definire Lando Buzzanca. Che è stato certamente un grande personaggio dello spettacolo, un attore, un presentatore, un mattatore di scena, ma che -inutile negare- almeno nell’immaginario di quelle generazioni di siciliani che oggi viaggiano, più o meno consapevolmente, tra i 55 e i 75 si identifica nel prototipo del maschio alfa che fu, quello -per intenderci- che più maschio non si può.
Uno sciupafemmine sempre a caccia di prede, impenitente, irriverente, magari neppure troppo intelligente, ma sempre assetato e insistente, pronto a tutto per raggiungere lo scopo, peraltro, l’unico per cui spendersi e sacrificarsi. È così che la maschera indossata da questo palermitano ossuto, assai più alto della media dei suoi coetanei d’allora, entra rapidamente in ogni casa e, soprattutto, in ogni mente maschile. Siciliana, per inteso.
Bei tempi (andati?) quelli, in cui -non solo nell’Isola delle sirene- ma sull’intero territorio nazionale, l’homo italicus se ne impipava bellamente della censura (pur esistente), del politicamente corretto (di là da venire), delle classificazioni di generi (incerti e traballanti) o dei del tutto ignoti linguaggi “corsivi” con aggiunta di “asterischi” presenti nel profluvio socialmente orribile di questo presente, ma incarnava per l’appunto il cacciatore fiero e sfacciato di ogni gonna e di qualsiasi reggipetto che gli si parasse innanzi. Lando Buzzanca – interpretandone con metodo e professionalità la sfacciata supponenza o la furbastra sudditanza- è stato così l’eroe, l’esempio spessissimo inarrivabile, comunque invidiatissimo di masse di giovani uomini siculi, sognanti e dall’immaginazione superba. Ragazzi dalle lunghe basette e dai calzoni a zampa di elefante, pronti a tutto pur di scoprire e far proprio il prima possibile quel misterioso, intrigantissimo frutto per poi, quindi, raccontarne con surplus di dettagli e di verità agli amici in adorante contemplazione.
Sono i giovanotti con nazionale senza filtro (non ancora dannata) stretta tra le labbra, pasciuti dalle cosce non sempre “tornite e belle” di un avanspettacolo che sta cedendo lo scettro alla prorompenza della tv, che fanno la fortuna di Buzzanca. Perché in lui proiettano loro stessi e con lui sognano persino certi che possa divenire realtà quell’immaginazione galoppante scatenata nei banchi del liceo dalla “Pioggia nel Pineto” del Vate o ancora dalla sfacciata supponenza del guardacaccia per il quale ogni Lady Chatterley di questo mondo avrebbe, certissimamente, presto o tardi, perduto senno e pudore. Film dopo film, spettacolo dopo spettacolo, esibizione dopo esibizione Lando Buzzanca ha costruito, rafforzato e poi mantenuto questa sua aura. Che neppure alcune sue incursioni -pur di notevole fattura- nella “modernità” del terzo millennio hanno mai scalfito. Del resto, Rocco Siffredi era ancora in fasce quando, sull’onda dei film pecorecci di gran cassetta, prendeva possesso di edicole ancora debordanti del profumo di giornali e carta patinata, persino un fumetto col nome di battesimo dell’attore, “Il Lando”, quasi a cemento di una idea immaginifica di mascolinità cui tutto era concesso e nulla avrebbe mai dovuto giustificare. Altri tempi, altra vita. Altra Italia e tutt’altra Sicilia. Ma, ecco, al netto di postumi encomi ed oltraggi, ci piace ricordarlo così Lando Buzzanca, dal verso di una sicilianità prorompente seppur mai ostentata, senza i bailamme che ne hanno accompagnato a singhiozzo gli ultimi suoi anni in forza di miserie tanto squallide quanto comuni. Lui e quel suo sorriso birbante, tipico di una vitalità che sembra quasi estinta, ma che, a riconoscerla, si dimostra ancora più vera e reale di tutta la nauseante fuffa con cui oggi abbiamo a che fare.
Tano Canino |