La prevalenza dello scoiattolo, e delle altre specie aliene che colonizzano il nostro ecosistema

Sono circa 3500 le specie alloctone in Italia, e sono in costante aumento: 1061 piante, 1852 invertebrati, 461 vertebrati, 141 microbi. Quali sono le principali e cosa possiamo fare per contenerle. La seconda parte

LEGGI QUI LA PRIMA PARTE

A proposito di specie aliene: chi ha l’età giusta potrebbe ricordare un surreale dibattito, negli anni ’70, su certi ‘ratti grandi come canguri’, così titolavano i giornali, avvistati nel delta del Po. Erano nutrie, appunto, ma ora che lo sappiamo, è troppo tardi: non possiamo più liberarcene. In Gran Bretagna, invece, sono intervenuti subito, e per questo, racconta Piero Genovesi, ricercatore senior dell’Ispra, ce l’hanno fatta. “Il programma di eradicazione, voluto contro tutti dalla Thatcher, era costato circa 5 milioni di sterline in 11 anni. Oggi in Italia spendiamo ogni anno molto di più per i danni e per abbattere centinaia di migliaia di nutrie, ma senza incidere sulla popolazione complessiva”. Il punto è che una volta socchiusa la porta della questione, si viene investiti da una valanga di casi e cause, soluzioni e obiezioni, da togliere il fiato a chi volesse andare oltre le righe, quasi sempre abborracciate e iperemotive, della cronaca generalista.

Qual è il numero delle specie aliene?

Eppure, per capirci qualcosa, occorre partire proprio da lì: dalle dimensioni complessive del problema, e dal numero delle specie estranee. Genovesi ne conta circa 3500, in costante aumento ed equamente distribuite su tutti i pioli della scala naturale: 1061 piante, 1852 invertebrati, 461 vertebrati, 141 microbi; non tutti ospiti della Penisola, certo, ma lesti ad approfittare di ogni occasione per diventarlo, se non prendiamo coscienza del rischio e dei fattori che, dal commercio al riscaldamento del clima, li assecondano. In cima alla lista, soprattutto perché esemplifica un certo tipo di ‘contributo umano’, l’autore mette lo Sciurus carolinensis, uno scoiattolo che al tempo in cui lo svedese Carl von Linnè stilava il catalogo a doppio nome della natura, viveva nei boschi temperati del Nuovo Mondo. Oggi è uno dei roditori più comuni del nord ovest italiano, dove basta un alberello e dargli casa e rifugio anche in piena città. L’Iucn, l’Unione Internazionale per la Conservazione della natura, lo considera uno dei cento alloctoni più dannosi.

A introdurlo, racconta Genovesi, fu un diplomatico subalpino. A metà ‘900, ignaro dei disastri già combinati dalla specie in Gran Bretagna, se n’era portati due esemplari da Washington, liberandoli nel Parco di Stupinigi..   Da qui, i loro discendenti hanno infestato Piemonte,Lombardia e Liguria e minacciano Francia e Svizzera, che a loro volta minacciano ritorsioni all’Italia per la sua inerzia. Nella conquista di nuovi territori, ‘l’americano’ è accompagnato da notizie spesso fantasiose, che lo dipingono come killer insaziabile dei piccoli di scoiattolo rosso, o di uova e nidiacei. Invece, si tratta di competizione alimentare, o meglio, di uno scippo. Il ‘rosso’ sotterra le proprie scorte di semi, aiutando anche la rigenerazione del bosco. Il grigio gliele sottrae, danneggiando, oltre al cugino, l’intero ecosistema, anche perché integra la propria dieta con la corteccia degli alberi, che diventano più vulnerabili all’attacco dei parassiti.  Il piano per eradicarlo era già pronto 20 anni fa, ma si era bloccato perché una parte dell’opinione pubblica trovava il roditore del Nuovo Mondo anche più carino e socievole del nostro e non vedeva il motivo di perseguitare una specie della cui presenza siamo noi i colpevoli. Aiutato dalle obiezioni animaliste, ‘il grigio’ non ha avuto bisogno di dazi per imporsi al ‘rosso’, ormai confinato sopra i 700 metri di quota. Nel frattempo, in provincia di Varese è comparso anche lo sciuro di Pallas, venuto chissà come, dall’Asia.   Dietro gli scoiattoli esotici, o meglio insieme a loro, nel catalogo degli ospiti più ingombranti, troviamo altri mammiferi, serpenti, anfibi, pesci alberi, tutti uniti dal fatto di non aver chiesto a nessuno di cambiare aria, ma di essersi trovati in paradiso dopo averla cambiata: pochi e fiacchi avversari diretti in un mondo di nuove possibilità alimentari e ambientali.

Gli habitat più sensibili, le isole

Non è un caso se proprio le isole, dove, come insegna Darwin, queste caratteristiche ecologiche sono espresse al livello più alto, siano anche gli habitat più sensibili: quelle che una sola specie estranea può trasformare in un deserto. Genovesi ce ne racconta di devastate da serpenti, da chiocciole giganti, da piante, formiche, ratti, coleotteri e conigli; di salvate e anche di ormai perdute, come le Hawaii, dove la malaria aviaria ha eliminato 56 delle 114 specie originarie di uccelli.   Poi ci sono i mari e tra questi ‘l’alienatissimo Mediterraneo’, esso stesso, in fondo isola d’acqua sempre più tiepida e invitante per le specie esotiche, portate a zonzo con le zavorre liquide dei mercantili: come il Callinectes sapidus, il granchio blu, del quale abbiamo già parlato nella prima parte di questo articolo, e il neurotossico e letale Lagocephalus scellerato, o pesce pallaargenteo, per citare due degli esempi più noti di una catastrofe ecologica rappresentata da circa 900 invasori.  Dove però la vicenda delle specie aliene rischia di ingarbugliarsi è quando rivela di essere cominciata molto tempo fa, e di aver prodotto anche cose buone, almeno per noi umani. La pecora, la gallina, la carpa, il cipresso, il castagno e la maggior parte degli alberi da frutta, così come i pomodori e le patate, furono introdotti in tempi antichi dal Medio Oriente. Tanto che ormai si possono considerare a tutti gli effetti ‘indigeni, se non veri e propri emblemi del Mediterraneo, come la mimosa (origine australiana) e il fico d’India (centro americano).

Lo stesso gatto soriano è un alieno, per non dire della trota fario: tutti la credono più alpina degli edelweiss, ma è un salmonide del Nordeuropa, liberato a scopo alimentare nei nostri fiumi secoli fa, così come d’altronde è avvenuto in tutto il mondo, fino alla Nuova Zelanda.  Oggi è considerata una sorta di Attila ecologico, per la sua capacità di far danno a un gran numero di insetti, anfibi e pesci autoctoni, che preda direttamente, o mette in difficoltà esistenziale. Nulla da invidiare, dunque, al Silurus glanis, gigantesco capofila di una serie di pesci orientali introdotti dai pescatori sportivi per aumentare il proprio divertimento a spese delle nostre acque dolci, dove la presenza di specie alloctone arriva ormai all’80 per cento. Gli effetti economici di un fenomeno dai confini così dilatati e sfumati sono difficili da indicare, ma secondo l’Ipbes, (‘Piattaforma Intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici), gli alieni generano ogni anno perditecomplessive per 423 miliardi di dollari, destinati a quadruplicare a ogni dieci anni. Uno dei comparti più colpiti è l’agricoltura. Se, ad esempio, frutta e verdura sono sempre più care è soprattutto per il costo della lotta ai parassiti che arrivano insieme ai prodotti esotici.

Un olivo copito dalla Xilella

Il disastro Xilella

Casi di scuola, la cimice asiatica e la Xylella fastidiosa dell’ulivo. La prima, ha provocato, per ora, più di 500 milioni di danni in Val Padana e interferisce con la produzione biologica perché, in attesa di soluzioni ‘pulite’, costringe a usare il contrasto chimico. Quanto a Xylella, il suo sbarco in Salento, probabilmente dal Sudamerica attraverso il mercato delle piante ornamentali diAmsterdam, si ritiene accidentale. Sarebbe opportuno, però,chiedersi se il ruolo principale, nell’epidemia che finora ha ucciso venti milioni di ulivi, non l’abbiano avuto i complottisti e i magistrati che, dando credito ai loro vaneggiamentiantiscientifici, avevano bloccato per oltre un anno il taglio degli alberi infetti.  Quando si parla di specie aliene, si corre in modo particolare il rischio di piangere sul latte versato, trascurando nuove emergenze. L’ultima della serie, per l’Italia, è Solenopsis invicta, o formica di fuoco. “Colpisce moltissime piante da frutto – spiega Genovesi – e ha un morso molto doloroso.  Originaria del Brasile, ormai ha infestato tutto il mondo.

La si può controllare solo nelle fasi iniziali, poi diventa quasi impossibile. In Sicilia, il suo primo approdo europeo, è passato troppo tempo prima che venisse segnalata, infatti nonsappiamo che fare e tra l’altro siamo in procedura d’infrazionecon Bruxelles.   In Nuova Zelanda, non appena compare,intervengono subito con un progetto di disinfestazione localee uno sforzo economico limitato: così, finora, sono riusciti a fermarla”.   Alla fine, di fronte a un numero crescente di specie nuove che arrivano da tutti i possibili canali di un mondo sempre più interconnesso, le soluzioni dettate dall’esperienza consistono semplicemente nel prevenire, eradicare, controllare. “Nella regione dei Grandi Laghi, in Nord America, la gestione delle acque di zavorra ha ridotto del 95% l’ingresso di specie estranee.   Anche l’eradicazione, quando sono ancora molto localizzate, è efficace. Nelle nostre piccole isole, l’intervento mirato contro i ratti (con mangimi contraccettivi, o tossici, Ndr) ha portato a recuperare numerose specie autoctone, anche se non è stato facile farlo accettare al pubblico.

Poi, c’è il controllo, che però va meditato bene, perché a volte si investono grandi cifre con effetti quasi nulli, oppure si rischia di introdurre una specie nemica, che poi si rivela ancora più dannosa. In ogni caso, a forza di sbagliare, qualche lezione l’abbiamo imparata.   Così come sono riusciti a fermare la Salvinia molesta, la pianta acquatica brasiliana che stava invadendo l’Africa, potremmo farlo in tanti altri casi. Abbiamo mezzi e conoscenze adeguati. Certo, occorrerebbe un salto di qualità nelle risorse e nell’informazione, ma ci sono battaglie molto più complicate, come quella al cambiamento climatico, o all’estinzione. Tutto sommato, tra salvare un milione di specie che stanno per scomparire, o controllarne 3500, non avrei dubbi su quale sia l’obiettivo più realistico”. A questo punto, se non altro per completezza e obiettività, diventa inevitabile osservare che alla lista degli alieni mancherebbe proprio la specie principe: l’’Homo sapiens, la cui unica differenza dalle altre, come spiegano gli antropologi, è di essere stato, lui medesimo, il veicolo della propria globalizzazione. E di essere ormai avviato a aeradicarsi da solo.  

Maurizio Menicucci

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