“Alla fine ne resterà uno solo, ma di elettore”. La battuta migliore l’ha fatta Davide Casaleggio strappando il primato della comicità cinquestelle a Beppe Grillo. Il primato della politica invece è ancora in palio: l’Highlander lo deciderà il 23 e 24 novembre l’assemblea costituente grillina votando sulla proposta di cambiare nome e logo del partito e superare il doppio mandato. I pronostici tra Beppe e Giuseppe danno per favorito Conte: ha con sé gli eletti M5S (che sperano di rimanere tali oltre la tagliola delle due legislature) e gli elettori (superstiti, appunto).
In parte è la cronaca di una fine annunciata: ma del rapporto personale e politico tra Fondatore e Avvocato del Popolo oppure dei Cinquestelle stessi, nel valzer delle giravolte? Col senno di poi è facile dire che la diarchia al vertice del movimento nato dal Vaffa-Day non aveva mai funzionato. Non che manchino le prove: l’Elevato che liquida il suo successore come uno senza “visione politica né capacità manageriali” epperò che “parlava e si capiva poco, dunque era perfetto per la politica”; l’ex premier che sibila “decida se vuole fare il genitore amorevole o il padre padrone” mentre spinge il Garante garbatamente ai margini.
Insomma, non siamo di fronte al colpo di scena: Grillo, anche per le vicende familiari, si è progressivamente allontanato dalla ribalta (non è andato a votare, clamorosamente, alle scorse Comunali di Genova). Si è limitato, tra battutine acide e silenzi, a incassare i 300mila euro di consulenza comunicativa che Conte gli garantiva per contratto. Una sorta di “reddito di militanza” utile a quest’ultimo per mantenere in campo la bandierina del glorioso passato, al percettore per pagare ingenti parcelle di avvocati nel processo al figlio mentre gli spettatori disertavano gli show ormai infiacchiti.
Nel frattempo, l’ex pupillo fattosi leader governava disinvoltamente con tutti i partiti salvo accusare gli altri di incoerenza, promuoveva il campo largo (in Sardegna, con la sua candidata Alessandra Todde) e lo affossava (in Puglia e Basilicata, con i candidati del Pd), si intestava da seconda forza del centrosinistra (10% contro il 24% Dem, ultime Europee) la battaglia contro l’”uomo nero” Matteo Renzi, e i risultati si vedranno nelle tre regioni al voto d’autunno.
Ora, anni di mugugni si sono trasformati nella Bacheca del Mugugno, dove Grillo invita i militanti a rimostrare contro il nuovo corso: “Riprendiamoci le nostre battaglie”. E la ripicca contiana colpisce l’ex amico negli affetti più cari: il portafoglio. Il contratto da 300mila euro a fine anno non sarà rinnovato, al che Beppe replica passivo-aggressivo-funereo: “Il Movimento è evaporato, ne rivendico l’estinzione”. Sulla contesa politica non si attendono colpi di scena: l’Avvocato, definito dall’Elevato “Mago di Oz”, otterrà l’investitura di un partito ormai personale a tutti gli effetti, non si rassegnerà al ruolo di junior partner del centrosinistra (Elly Schlein farà bene a non sottovalutarne il potenziale distruttivo) e il centrodestra ringrazia-
Sul piano giuridico-amministrativo in casa Cinquestelle è un’altra storia: ricorsi e controricorsi, carte bollate, codicilli, giudici chiamati a dirimere le controversie. È già nemesi: la forza di protesta che voleva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno è diventato il “Movimento Cinque Commi”. Da uno vale uno a 300mila vale tutto: pochi, maledetti e subito. Con un surplus di perfidia: Conte ha annunciato lo stop al contratto di Grillo nell’ennesimo puntuale libro di Bruno Vespa, la cui Porta a Porta è soprannominata la terza Camera.
La liturgia è completa, il cerchio si chiude: abbiamo scherzato, bentornata Prima Repubblica.
Federica Fantozzi – Giornalista