La guerra, la pace, la forza delle donne

"Solo i deboli vogliono e fanno la guerra". Solo le donne sono capaci di costruire la pace perché sono forti. Perciò è necessaria una loro mobilitazione a tutti i livelli. La "virtuosa diversità" esemplificata in una scena: Putin e Macron seduti distanti ai lati opposti di un tavolo lunghissimo: "Due donne non si sarebbero mai sedute così".

È alle donne che spetta oggi il compito storico di proteggere la democrazia contro le derive illiberali, assicurando invece il rafforzamento nell’evoluzione compiuta verso la Democrazia Paritaria, garantendo la pace, costituendo il motore trainante del cambiamento necessario, curando il pianeta a garanzia della sopravvivenza e del benessere delle generazioni future. 

È proprio nell’intreccio tra pace, sviluppo della democrazia paritaria, contrasto all’illegalità, che le donne, come soggetto collettivo, possono assumersi il compito che oggettivamente la storia consegna a loro. 

La democrazia solo evolvendo in senso paritario, tra uomini e donne, può affermare la propria contemporaneità e inclusività e contrastare le tentazioni che sacrificano gli  individui alle priorità della sicurezza interna.

Per un insieme di sinergie, significative  come sempre e come sempre non riconducibili al caso, il mondo intero-schiacciato tra pandemia, guerre ed emergenze climatiche-urla impellenti cambiamenti e sollecita le donne perché se ne rendano responsabilmente interpreti. 

Il futuro irrompe sconvolgendo la serie storica degli avvenimenti, le rassicuranti e consolanti previsioni, le consolidate certezze. Le donne sono il punto di riferimento per uno sguardo consapevole e una corretta lettura degli avvenimenti per le soluzioni da percorrere.

Eppure, hanno pagato e stanno pagando i prezzi più alti della pandemia, delle guerre nel mondo e ora di questa sciagurata guerra in Europa. La via per uscirne va intrapresa e consolidata ,ma è tutta in salita. 

Emergono con virulenza le conseguenze nefaste della divisione sessuata e dicotomica del mondo, la tradizionale divisione dei ruoli si sta cementificando. La contrapposizione tra dimensione pubblica e privata ricalca ruoli tradizionali e interpretazioni stereotipate delle vicende. 

Invece, è proprio a fronte dei tumultuosi avvenimenti che sarebbero necessarie nuove ricomposizioni e rinnovati equilibri, scelte di libertà per gli individui  e l’abbandono di ruoli stantii.

Oggi l’obiettivo impellente e prioritario è quello irrinunciabile di sconfiggere l’invasore Putin, senza tentennamenti. Sarebbe, tuttavia, una  vittoria parziale se le donne non si rendessero contemporaneamente protagoniste per la costruzione di una pace adeguata ai tempi, se non perpetua-secondo la definizione di Kant-quantomeno duratura. 

Le narrazioni proposte sono invece maschili e  stereotipate, come abitualmente accade nelle situazioni di guerra. Abbiamo riletto tutte in questi giorni Virginia Woolf e Svetlana Aleksievich. Ci ricorda,  quest’ultima, che “tutto quello che sappiamo della guerra ce l’hanno trasmesso voci maschili. Siamo tutti prigionieri di una rappresentazione maschile della guerra, che nasce da percezioni prettamente maschili, rese con parole maschili. Nel silenzio delle donne”. 

E così anche oggi. Abbiamo visto uomini travestiti da donne per non prendere parte attiva alla guerra, passeggini vuoti portati da sole donne che drammaticamente testimoniano che tanti bambini sono stati uccisi in questa barbara guerra, donne fuggite dall’Ucraina con anziani, bambini, animali da affezione e altre pronte ad accoglierle, mentre gli uomini sono occupati nella guerra. 

Tutte immagini che consacrano e ipostatizzano la divisione dei ruoli tradizionali ,nella visione più vecchia e inchiodante. La guerra, come la pandemia, ci restituiscono vecchie divisione dei ruoli. Arrivano immagini dolorose e drammatiche che raccontano molto sia della brutalità inaccettabile della guerra sia della visione  stereotipata e sessuata della vita.

Non abbiamo davvero scelta. Le donne devono da subito operare tutte insieme per costruire la pace e un modello di società che la preservi. L’unità e la trasversalità delle donne  sono indispensabili  L’esempio migliore è fornito dalle donne russe che stanno rischiando molto e che hanno preso posizione contro il dittatore e la guerra.

E ricordiamo pure la magnifica esperienza delle donne israeliane e palestinesi dal 2014 al 2017, tutte insieme, ebree, musulmane e cristiane, nella marcia per la pace attraverso il deserto, per un futuro sicuro. La pace deve inverarsi  in un modello sociale che non la faccia traballare quotidianamente, in valori condivisi che nel clima di pace trovino coerenza e forniscano approdo.

Abbiamo una responsabilità storica nei confronti delle generazioni future, dalle quali dobbiamo farci perdonare le guerre e lo stato in cui versa il pianeta anche dal punto di vista ambientale. A questo riguardo un nuova responsabilità  è ora sancita dalla nostra Costituzione nei recenti articoli di nuova introduzione che riguardano la cura dell’ambiente. 

Anche il rifiuto della guerra deve essere letto in tale chiave, non solo come impegno contingente. Lavorare per la pace non è però facile, perché la pace va curata  e costruita: necessita della forza e della tenacia delle donne. 

Le donne sono per la pace in quanto forti e potenti. Al contrario di quello che banalmente ma erroneamente si pensa, la pace non è per “menti molli”,  anzi è la scelta più difficile da percorrere e da praticare. La guerra rivela l’incapacità di gestire i conflitti, che sono però inevitabili nelle relazioni , li genera e li esaspera in una visione rozza e semplicistica dell’esistere. 

La pace non è cedimento, non giunge mai automaticamente, è la scelta più complicata perché a volte va vissuta in solitudine, perché costringe a chiarimenti con le persone vicine, con i propri affetti, nella propria famiglia, nella propria comunità di appartenenza, persino con se stessi.  Nella guerra invece i conflitti si vivono con chi è già distante, lontano.

È la pace a costituire un obiettivo ambizioso, mentre la guerra è elementare, si dichiara, si vince o si perde. La pace si realizza con scelte sempre complicate e mai definitive, non si può dare per acquisita, occorre curarla, difenderla nel rinnovamento, nella gestione delle dinamiche.

La guerra è definitoria, pone confini non solo fisici, fa sempre riferimento a un’identità monca e parziale, è abitata da individui caratterizzati da un solo elemento identitario.  La guerra è dichiarata e vi si partecipa per un aspetto della propria identità, non è per individui dotati di un’identità contemporanea, plurale, multiforme e articolata. Parliamo dell’identità plurale contemporanea che caratterizza individui dotati di una personalità ricca e non riconducibile a un solo tassello.

Quell’identità alla quale ci hanno abituato Amartya Sen e Martha Nussbaum si dispiega e si realizza nella costruzione della pace  La guerra fornisce il credo illusorio di autosufficienti Identità uniche in cui sono contratte e impoverite le identità plurali e variegate. 

Ma sono queste ultime a contraddistinguere la contemporaneità, non le identità  separate.  Ancora una volta il pensiero va ad Amartya Sen, le identità separate generano violenza. 

La pace può essere costruita solo da individui maturi e forti, con un’identità plurale capace di dislocarsi confrontandosi e realizzando mediazioni. La pace attiva leadership autorevoli e non solo autoritarie. La pace, ribadiamo,  non è mai definitivamente acquisita, deve essere realizzata con politiche puntuali e dislocate a tutti livelli. 

Solo la forza delle donne può oggi originare e concimare tali politiche e l’autorevolezza femminile le può nutrire, non la virilità scioccamente esibita. Le scelte di pace germogliano dalla realistica consapevolezza della fragilità come condizione degli esseri umani: dovremmo aver appreso la lezione dalla pandemia che ci dovrebbe aver reso più consapevoli della necessità di costruire e rinsaldare legami, di accettare la fragilità sviluppando solidarietà, relazioni personali e politiche pubbliche adeguate.  

La paura va riconosciuta e affrontata, non rimossa.

L’invasore Putin è descritto come un personaggio attraversato dalla paura, addirittura ricorrerebbe alle assaggiatrice per il cibo! Dobbiamo attrezzarci per gestire collettivamente la giustificata paura che le emergenze generano e alimentano. 

L’obiettivo ambizioso di costruire politiche pubbliche di pace deve essere dislocato a tutti livelli, nel territorio, sul piano nazionale e internazionale, soprattutto nelle sedi multilaterali. E a tutti  i livelli,  non solo non è indifferente, ma è decisivo che siano le donne a decidere in modo paritario.

Non è una novità affermarlo, ma non dobbiamo stupire con gli effetti speciali quanto piuttosto dobbiamo contribuire ai risultati, lavorando sodo per raggiungere obiettivi ben delineati con percorsi strutturati. Il ruolo delle donne è riconosciuto nelle Risoluzioni  delle Nazioni Unite, (a partire da quella fondamentale del 2000) e nelle Risoluzioni del  Parlamento europeo.

Gli strumenti europei e internazionali devono essere divulgati come base per costruire piani d’azione da monitorare e valutare. Nessun Paese può farcela da solo. Si avverte il bisogno di più Europa, politicamente più forte e democratica e, aggiungiamo, caratterizzata da una democrazia realmente paritaria e da nuove regole che la garantiscano. 

Non possiamo e non dobbiamo essere timide, abbiamo il dovere di agire per la pace. Le foto di soli uomini che abbiamo visto anche in questi giorni nei tentativi di negoziati di pace generano sfiducia, perché sono gli stessi uomini-ovviamente con responsabilità diverse, nessuno sottovaluta o sminuisce quelle di Putin – ad aver generato la guerra. 

Sono foto tristi, che tolgono credibilità alle istituzioni. Tristi e inquietanti al tempo stesso, come lo è la foto dei due leader, Putin e Macron, seduti distanti l’uno contro l’altro attorno a un tavolo lunghissimo: due donne non si sarebbero mai sedute così.

 

 

Daniela Carlà – Dirigente generale della Pubblica Amministrazione. Co-promotrice di “Noi Rete Donne”

 

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