Sergio Pizzolante: L’Europa si sottovaluta, ma ha solo bisogno di meno populismo e più politica

La ricetta per uscire dalla Sindrome d’Amleto per l’Europa c’è: meno disintermediazione alla Trump e Musk, meno populismo da cortile all’italiana, e più cultura politica. E finalmente azione, e anche riarmo

In un’Europa colta da sindromi amletiche, mossa da spasmi nazionalisti da una parte, e dall’altra universalisti, ma più “sentimentali” che legati all’azione, esiste chi una road map per uscire dall’immobilismo ce l’ha. E si parla non solo di istituzioni europee, con la mossa della presidente della Commissione Ursula von Der Leyen che ha varato un ambizioso piano di difesa dell’Europa, ma anche di attori che, in coerenza con la propria cultura e la propria storia, trovano direttrici per un ruolo europeo finalmente concreto. Vedi Sergio Pizzolante, socialista e riformista per storia (“craxiano” si definisce), antipopulista per vocazione, con un passato recente da parlamentare (dal 2006 al 2018) e un presente di imprenditore ed editorialista politico, con analisi non banali e sintesi non soltanto intellettuali.
In breve, con una proposta. A proposito della polemica in seguito alle critiche di Giorgia Meloni al Manifesto di Ventotene commenta: «Sono sicuro che Spinelli, Colorni e Rossi non sarebbero d’accordo con loro stessi, oggi, sulle parti del Manifesto lette dalla Meloni. E sono sicuro anche che a differenza della sinistra che agita Ventotene oggi, fuori dal contesto di allora, questi eroi italiani sarebbero per il Rearm, per difendere chi in Ucraina si trova nelle stesse loro condizioni di allora. E noi stessi. E l’Europa che è nata grazie a loro. Questa polemica, da una parte e dall’altra, dimostra l’impazzimento del dibattito politico e culturale del nostro tempo. La destra – continua Pizzolante- che utilizza la parte lontana nel tempo di Ventotene, quella morta, scritta in un carcere fascista, nell’Europa delle dittature, per togliere valore alla parte viva. Attuale. La sinistra che mischia tutto in un frullatore Woke, ideologico, come ha scritto Giuliano Ferrara. Con uso improvvido del passato resistente e combattente ed eroico, girato però al contrario. Stando cioè, in buona parte, dalla parte opposta di chi combatte e resiste oggi. Vogliono la resa e la chiamano pace, tradendo la parte viva di Ventotene.». 

Giorgia Meloni alla Camera, mentre attacca il Manifesto di Ventotene

A fronte di una situazione internazionale di appartenenze che esplodono e forse di un cambio epocale di paradigma, cosa pensa delle posizioni politiche italiane?

È una piccola Italia, tutta impegnata in scaramucce di cortile, che non ha alcuna consapevolezza di quello che sta succedendo, che si divide fra putinisti e trumpisti: dopo lo spettacolo del voto in Europa c’è stato il triste spettacolo del dibattito dell’altro giorno, in cui il Governo si è preoccupato di stare contemporaneamente con Trump e con Zelensky, nei minuti in cui Trump stava svendendo Zelensky a Putin.

E sul lato dell’opposizione?

L’opposizione ha presentato sei mozioni diverse, perché è divisa su tutto, e soprattutto insegue i sondaggi di un popolo italiano che in maggioranza vuole togliere la possibilità agli Ucraini di difendersi di fronte ad un aggressore.

Non ci sarà un problema culturale nel tirare le fila della situazione? Pensiamo alla manifestazione di Repubblica in Piazza del Popolo. Alla fine è stato un buon momento di marketing, ma nei fatti le posizioni, anche in quella piazza, erano inconciliabili…

È un’Italia che abbiamo già visto altre volte nella storia: un misto di inconsapevolezza, furbizia, codardìa. È l’Italia…

Sergio Pizzolante

Specifichi

È l’Italia che ha iniziato l’ultima guerra salendo in fretta sul carro di un presunto vincitore anche se criminale e poi a un certo punto si è girata dall’altra parte. Un pezzo consistente d’Italia ha trasferito la sua fiducia dal criminale di Berlino al criminale di Mosca.

Riportiamo tutto alla storia politica più recente. Lei si identifica come “antipopulista”, e ritiene che la politica sia da tempo divisa tra populismi e suggestioni comuniste/massimaliste, mentre nel resto d’Europa non è così. Giusto?

Questo è un gap solo italiano. Puoi imbrogliare per anni, per decenni, fino a quando non ti trovi di fronte alle grandi svolte della storia. In Italia le famiglie politiche e culturali sono state rase al suolo con Tangentopoli. A inizio anni ’90 il muro, in Italia, è crollato dalla parte sbagliata della Storia. I perdenti, i post comunisti e i post fascisti, hanno vinto, e hanno perso i liberali, i socialisti e i democristiani. Ricordo sempre che nel ’92 i cinque partiti che costituivano il Pentapartito avevano preso il 55 per cento dei voti, percentuali mai viste dopo per una maggioranza, e solo due anni dopo non esistevano più. Né come partiti, né come culture. E quindi abbiamo avuto l’Italia bi-populista, bi-giustizialista, bi-polare. 

Bi-polare anche nel senso di ciclotimica?

Diciamo così: il peggio sempre moltiplicato per due. Questa, almeno in gran parte, è la storia d’Italia di questi ultimi 30 anni. Però il mondo non è questo, l’Europa non è questa. Perché in Europa, invece, le famiglie politico-culturali esistono eccome. In Europa per fortuna noi siamo governati dai democristiani, dai socialisti e dai liberali. Il piano ReArm Europe della Von rer Leyen è sostenuto dalle famiglie politico culturali storiche. Ecco perché l’Italia è tiepida sull’iniziativa europea, perché non fa parte di quelle famiglie.

Ecco, la posizione europea. Ma qual è lo spazio di autonomia quanto il principale alleato e mentore (vedi alla voce Trump) si mette di traverso? 

Non si mette di traverso, si mette contro

Ecco, si mette contro. E allora che fare?

Qui c’è bisogno di un’analisi articolata

Un murale di Harry Grab dal titolo Optimus e ventriloquo; che ritrae Donald Trump, Elon Musk, Emanuel Macron e Giorgia Meloni (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)

Facciamola

Trump è un mercante e ragiona come un mercante: cosa compro, cosa vendo, cosa mi conviene fare. Questa è la sub-cultura politica di Trump: misura tutto sul piano del business. Dopodiché in America ci sono più fattori che hanno portato al successo di Trump. C’è un pensiero dietro una parte del trumpismo che accomuna da Vance ai magnati delle big tech, della Silicon Valley: è il pensiero della disintermediazione della politica, della disintermediazione della democrazia, della disintermediazione degli Stati. In Italia ci siamo passati, Caseleggio era figlio di questa storia, di questa cultura della disintermediazione. Si teorizza la nascita di comunità tecnologiche, digitali, apparentemente democratiche, dove c’è una sorta di libertà assoluta.  Al contrario l’Europa è l’ultimo testimone di una democrazia vera, dove ci sono gli Stati, i Parlamenti, i partiti, i corpi intermedi, le regole, le controregole 

A cui il populismo alla Trump e le aziende del Big Tech si contrappongono. E la sinistra?

Naviga nell’idiozia woke. È una sinistra che si è allontanata dalle fabbriche, dagli operai, si è rintanata (e rintronata) in un Aventino di salotti, ha trasformato ogni desiderio in diritto

Torniamo ai populismi. Lei è quindi per una funzione di mediazione della politica, per i corpi intermedi, per il medium che serve a razionalizzare le cose?

Serve come strumento di governo, soprattutto. Credo che il mercato, come la forza, senza la politica porti inevitabilmente alle guerre. Il mercato senza politica porta alle guerre, l’uso della forza senza politica porta alle guerre. E infatti siamo arrivati indovini dove? Alle guerre. Tutto parte dopo il crollo del muro di Berlino, la teoria della fine della storia di Fukuyama. L’idea che della politica si può fare a meno perché il mercato è virtuoso in sé. Ma non c’è niente di virtuoso in sé, senza la mediazione della cultura politica

Che grado di autonomia secondo lei è realisticamente possibile in Europa, rispetto ad alleati “fool” (Trump) e a dirimpettai (vedi alla voce Russia) invadenti?

L’Europa si sottovaluta. L’Europa è il più grande mercato del mondo ed una potenza economica: l’Europa dal punto di vista economico vale la Cina. L’Europa deve solo credere in se stessa e non rifare gli errori dei decenni passati, quando ha pensato, come dire, di andare nei salotti e dal parrucchiere con le guardie giurate fuori pagate dagli americani. Questo non può più succedere. Bisogna che ci paghiamo noi le guardie giurate che stanno a presidio della nostra sicurezza. L’Europa ha una grande potenza economica ma è stato un nano politico. Deve crescere politicamente e questa, paradossalmente, è la grande occasione della Storia. L’Europa che si riarma, l’Europa che si dà una difesa comune, compie un fatto non guerresco, come dicono gli idioti, ma compie un atto politico altissimo. Il riarmo è un fatto politico, perché il riarmo significa, in buona parte, debito comune. Ti obbliga all’interdipendenza e nello stesso tempo ti obbliga ad un coordinamento, a una condivisione di strategie, di conoscenze, di informazioni, di visioni. Non è che tu ti riarmi per sparare, non è che ti armi per fare la guerra, ti armi per evitare che ti facciano la guerra.

Esempi storici?

Quando abbiamo installato i missili Pershing e Cruise negli anni 80 l’abbiamo mica installati per spararli su Mosca, l’abbiamo installati per dire a Mosca “attenzione a quello che fai” e questo lo può dire soltanto un’Europa unita politicamente. Che dice: “tu Putin hai una piccola economia che non vale nemmeno il Pil dell’Italia e sei tecnicamente un mezzo fallito, e tu, America, non puoi fare a meno del mercato europeo perché altrimenti noialtri siamo in grado di fare a meno del mercato americano”. Diventi un soggetto in campo che pesa quanto la Cina. Ma dipende da noi. 

La Cina. Visto che con gli Stati Uniti ci possono essere problemi: dazi, eccetera, è legittimo che l’Europa si vada a prendere altri mercati? Per esempio che convochi la Cina?

L’Europa come prima cosa deve convocare se stessa,  come ho cercato di spiegare prima. Dopodiché l’Europa deve essere consapevole della propria forza economica, industriale, storica, culturale. Se questa forza diventa politica, è in grado di interloquire con chiunque e di non prendere ordini da nessuno, nemmeno dall’America.

Bruno Giurato

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