Il quoziente intellettivo medio della popolazione mondiale sta registrando un progressivo declino, e tra i principali fattori di questo fenomeno c’è l’impoverimento del linguaggio.
Questo processo non riguarda solo la riduzione del vocabolario, ma anche la progressiva semplificazione delle strutture grammaticali, con conseguenze significative sulla capacità di pensare in modo articolato e complesso. Studi sociolinguistici hanno da tempo evidenziato una correlazione stretta tra la varietà lessicale e la capacità di formulare pensieri complessi: meno parole conosciamo, più limitata sarà la nostra capacità di pensare criticamente e di comprendere la complessità del mondo.
Uno degli effetti più evidenti di questo processo è la progressiva scomparsa di tempi verbali come il congiuntivo, l’imperfetto e il participio passato, che permettono di collocare le azioni e i pensieri in una dimensione temporale più ricca. Con la prevalenza di un linguaggio che privilegia il presente, come dimostrano molte analisi sociolinguistiche, si limita anche la nostra capacità di proiettarci nel futuro o riflettere criticamente sul passato. In termini sociologici, questa riduzione temporale corrisponde a una diminuzione della capacità della società di pensare in prospettiva, con conseguenze sulla partecipazione democratica e sulla costruzione di visioni a lungo termine.
L’impatto della semplificazione del linguaggio
Sul piano delle emozioni e delle relazioni sociali, la semplificazione del linguaggio ha un impatto diretto. L’antropologo e sociologo Basil Bernstein aveva già sottolineato come le differenze linguistiche tra classi sociali possano influenzare non solo il rendimento scolastico, ma anche la capacità di elaborare e comunicare emozioni.
L’impoverimento linguistico di oggi, amplificato dall’uso sempre più ridotto della lingua scritta complessa a favore di forme brevi e immediate, compromette la nostra capacità di introspezione e di esprimere le emozioni in modo sfumato e articolato. Meno parole si conoscono e si usano, meno profonde saranno le riflessioni su di sé e sugli altri, e meno efficace sarà la nostra capacità di comprendere e costruire relazioni sociali significative.
La sociologia della comunicazione ha esplorato come la riduzione delle possibilità espressive si accompagni spesso a una riduzione della capacità critica. Romanzi distopici come 1984 di George Orwell e Fahrenheit 451 di Ray Bradbury hanno immaginato società in cui la manipolazione del linguaggio diventa uno strumento di controllo sociale, limitando la capacità degli individui di concepire pensieri alternativi o di criticare l’ordine costituito. Questa visione, sebbene letteraria, è stata approfondita da studiosi come Pierre Bourdieu, che ha analizzato il legame tra il potere linguistico e il potere sociale, evidenziando come chi detiene il controllo della lingua possa anche controllare il pensiero.
La crisi delle librerie
Un ulteriore segnale di questa tendenza è visibile nella crescente crisi delle librerie, luoghi tradizionali di cultura e di confronto intellettuale. La chiusura di molte librerie indipendenti, sostituite da spazi ibridi dedicati più al consumo che alla cultura, riflette una società che tende a dare meno valore alla lettura e al confronto intellettuale. La scomparsa di questi spazi non è solo una perdita culturale, ma anche un segno della riduzione delle opportunità di scambio critico e riflessione collettiva, processi essenziali per il funzionamento di una democrazia partecipativa.
Vincenzo Candido Renna – Avvocato