Ingrata Giorgia! Ha gettato via la “madre di tutte le riforme”. Sì, l’ha “snaturata”. Ma vi pare segno di callidità politica che una presidente del Consiglio, per di più aspirante a un cesarismo alla vaccinara, prospetti il dubbio che il suo progetto di premierato possa incagliarsi nei palazzi parlamentari o infrangersi contro il muro del referendum?
Il perentorio “o la va o la spacca” evoca indubbiamente, seppure in sedicesimo, “alea iacta est” di Cesare sul Rubicone. Prima di Giorgia, che almeno romana è, un altro aspirante al principato, ma troppo sfrontatamente fiorentino, lanciò il dado. Un uragano di voti referendari glielo restituì sulla fronte.
L’alternativa “aut reformatio aut abdicatio”, o approvate la mia riforma costituzionale o mi dimetto, gli portò male. Giurò che, sconfitto, sarebbe tornato alla vita civile. La sconfitta, invece, non gli fu fatale, come neppure alla sua ministra competente, pareva. Rimasero. E sono ancora lì, Renzi e Boschi.
Giorgia, che non tradisce le sue vantate origini popolari e popolane (“datemi tutti il tu!”) ha mostrato di possedere più “esprit florentin” del fiorentino d’adozione. “O la va o la spacca”, di per sé perentorio, risulta tuttavia meno apocalittico di quanto apparisse l’alternativa renziana. Giorgia infatti, contrariamente a Renzi, ha precisato ben bene che, passerà o non passerà il suo progetto, la cosa non la coinvolgerà del tutto. “Vorrà dire – ha rimarcato la Cesarina – che il popolo italiano non gradisce il menu. Tutto qui”. Niente dimissioni della presidente del Consiglio e niente nuovo Governo, che arriveranno in fondo alla legislatura, come se niente fosse stato. Insomma, mette le mani avanti e dietro per proteggersi dai colpi dell’elettorato e dei partiti, da qualsiasi parte provengano: badoglianamente, mi scappa di chiosare.
Insomma Giorgia, dapprima è partita in quarta sottobraccio alla “madre di tutte le riforme”, poi ha allentato la presa e cominciato a distaccarsene. Non si sa mai. Ricorda da vicino “Armiamoci e partite”, che, scrive Wikipedia, “è una frase proverbiale della lingua italiana, utilizzata per sottolineare e stigmatizzare, in maniera icastica ed aforistica, l’atteggiamento di chi si sottrae ai rischi di un’azione da lui stesso promossa e perorata, pur esortando gli altri ad intraprenderla.” Orbene, la presidente del Consiglio può girarci intorno e arzigogolare mille distinguo, resta che l’aver escluso le dimissioni in caso di bocciatura del suo progetto, in Parlamento o nel referendum, equivale a null’altro che sottrarsi “ai rischi dell’azione”, potenziale causa della disfatta. Non proprio una condotta cesariana, piuttosto renziana.
Tuttavia, c’è del buono in queste disapprovabili capriole della presidente del Consiglio ed è la positiva conseguenza inintenzionale in favore della bocciatura del progetto, vivaddio! Infatti, a parte gli elettori personali di Giorgia, gli elettori di maggioranza interessati a conservare il Governo saranno più liberi di votare contro il progetto secondo convinzione o meno costretti a votarlo per necessità politica, consapevoli che, bocciandolo, non respingono automaticamente e non pregiudicano irreparabilmente né la presidente del Consiglio né il suo Governo.
Tornando indietro nella storia, a Filippi i repubblicani furono sconfitti dai cesariani. Andando al futuro prossimo, con il referendum italico potrà accadere il contrario.
Pietro Di Muccio de Quattro