Il preteso “tramonto dell’Occidente”

Prendendo spunto da un articolo del giudice costituzionale Luigi Mazzella, pubblicato su beemagazine, ecco una riflessione del professor Mario Capasso su vere e false profezie formulate nel corso della Storia (i Maya, Nostradamus, Fatima, Fukuyama) e sul famoso libro di Spengler, spesso citato con la pretesa di una presunta “legge storica”. In realtà, “l’Occidente NON è al tramonto”, al contrario: occorre rivendicare i suoi valori perenni, che hanno in sé gli anticorpi che li rendono immuni dai veleni esterni

La storia dell’umanità è stata (ed è) anche storia di profezie, rivelatesi puntualmente e, spesso, clamorosamente errate.

Qualche esempio.

I Maya avevano previsto la fine del mondo nel 2012, dunque per adesso, per dir così, l’abbiamo sfangata.

 

 

L’astrologo e farmacista francese Nostradamus, vissuto nel XVI secolo, compose le sue famose, oscure quartine, nelle quali solo a posteriori ci si è sbizzarriti e ci si sbizzarrisce a individuare eventi verificatisi dopo di lui.

 

Nostradamus

 

Discussi (anche in ambito cristiano) sono i tre segreti di Fatima, comunicati a più riprese dalla Madonna ai tre pastorelli portoghesi nel 1917; di essi il terzo è stato rivelato nel 2000, ma non contiene nulla di preoccupante, come affermò Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI.

 

La Madonna di Fatima

 

Venendo ai nostri giorni, ricordo la profezia (ma sarebbe più giusto parlare di apodittica asseverazione) del giapponese Francis Fukuyama, il quale nel 1989 –con La fine della storia – sostenne che dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della guerra fredda la democrazia di ispirazione liberale si sarebbe via via imposta al mondo; gli avvenimenti successivi hanno dimostrato che si trattava di una profezia sballata, come nel 2017 lo stesso Fukuyama ha riconosciuto.

Vorrei in particolare soffermarmi sulla profezia affidata dal filosofo e storico Oswald Spengler (1880-1936) alla sua opera, dal titolo, innegabilmente dogmatico, Il tramonto dell’Occidente, pubblicata in due volumi rispettivamente nel 1918 e nel 1922 e in prima traduzione italiana nel 1957.

 

Oswald Spengler

 

In essa Spengler espresse la sua concezione della storia (che potremmo definire “biologica”), secondo la quale ci sarebbero state otto principali civiltà: babilonese, egiziana, indiana, cinese, ellenico-romana, araba, occidentale, centro-americana dei Maya, caratterizzate da diversi elementi comuni, tra cui la durata di circa un millennio, nel corso del quale esse sarebbero passate dalla energica e prospera floridezza giovanile alla piena coscienza di sé della maturità e, inevitabilmente, all’inaridimento di ogni capacità creativa proprio della vecchiaia; una volta che si è esaurito questo ciclo, ogni civiltà è destinata al massimo a sopravvivere stancamente.

Secondo Spengler sarebbe la volta della civiltà occidentale ad essere avviata al tramonto, mentre ne starebbe nascendo una decima, quella russa. È stato giustamente affermato che l’intento fondamentale di Spengler era quello di dare all’umanità una spiegazione dello scorrere della storia tale che si potessero intuire in anticipo i grandi eventi, e che la sua visione apocalittica abbia favorito, per reazione, il diffondersi in Germania del credo nazionalsocialista.

L’interpretazione che il filosofo tedesco ha della storia ebbe ai suoi tempi alterne fortune. Lo studioso più autorevole che ne rimase influenzato e che comunque ne prese le distanze fu lo storico inglese Arnold Joseph Toynbee (1889-1975), che, come Spengler, pone al centro dello sviluppo della storia l’dea della civiltà come qualcosa che nasce, si sviluppa e poi decade, ma rifiuta il ferreo determinismo secondo il quale questo ciclo  sarebbe retto da una sorta di legge naturale.

 

Arnold Toynbee

 

L’idea fondamentale dello storicismo di Toynbee (del quale ricordo almeno Il mondo e l’Occidente, pubblicato nel 1953 e in traduzione italiana nel 1956 e più recentemente nel 1992 ) è nel concetto di “sfida”: una civiltà si sviluppa e prospera quando riesce a rispondere con le sue energie più creative alle sfide che l’ambiente, il contesto sociale, religioso, economico, politico le pone. Nel momento in cui questa capacità di risposta creativa viene meno, una civiltà si inaridisce e muore, distrutta dal nazionalismo, dal militarismo e dalla tirannia di pochi.

Toynbee nel suo ricordato libro Il mondo e l’Occidente sostiene che quando le civiltà più deboli sono attaccate da civiltà più potenti reagiscono con ideologie eretiche rispetto alla cultura degli aggressori; gli esempi più lampanti sono rappresentati dall’Unione Sovietica e dalla Cina, che si difesero dall’Occidente adottando l’ideologia comunista. Toynbee non profetizza, ma spiega a posteriori.

Tornando a Spengler, osservo che la sua filosofia della storia è, in ultima analisi, al tempo stesso, troppo semplicistica, drastica e schematica: nella vita delle nazioni, come in quella dei singoli individui, si verificano avvenimenti che sfuggono ad ogni previsione.

Per Spengler i prodromi del tramonto della civiltà occidentale erano già nell’Ottocento, caratterizzato a suo avviso da sete di denaro e da un giornalismo asservito al potere, un tramonto che più distintamente egli vedeva nella Germania del suo tempo e al quale si contrapponeva l’alba della civiltà russa. Spengler non aveva certo previsto che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Germania sarebbe diventata sul piano economico la locomotiva d’Europa e la Russia comunista si sarebbe sfaldata.

Eppure le teorie di Spengler continuano ad esercitare un loro fascino. Sulle pagine di “BeeMagazine” il 3 aprile u.s. è apparso un articolo, dall’eloquente titolo Occidente in fiamme, di Luigi Mazzella, già giudice della Corte Costituzione e già Ministro sella Funzione Pubblica nel secondo governo Berlusconi. Scrive l’autorevole giudice: “Sono, in aggiunta a quelle della guerra russo-ucraina, le ‘fiammate’ popolari di Parigi e della Francia e di Tel Aviv e di Israele, a costituire il vero sintomo di un malessere che, se non compreso e analizzato a fondo, può diventare il prodromo di quel tramonto dell’Occidente preconizzato da Oswald Spengler”.

Per Mazzella l’Occidente starebbe vivendo una crisi “che non ha eventi di eguale gravità nel resto del mondo”, come dimostrerebbero in Francia le attuali agitazioni sindacali; negli Stati Uniti gli assalti a Capitol Hill, i processi giudiziari incrociati tra le massime cariche dello Stato, le stragi continue nelle scuole; nell’America centro-meridionale le organizzazioni criminali che hanno preso il posto dello Stato di diritto; nell’Unione Europea una incapacità di prendere decisioni realmente efficaci.

Dunque saremmo davanti a un “quadro desolante”, del quale bisognerebbe prendere lucidamente e al più presto atto, inducendo la gente a reagire e a liberarsi con l’uso della ragione di “credenze astratte, religiose o politiche” e a smascherare chi, essendo al potere, coltiva solo interessi personali.

Par di capire che secondo Mazzella l’origine del preteso tramonto occidentale starebbe, in ultima analisi, nel comportamento di “mediocri personaggi da dozzina” da restituire “a quell’anonimato periferico o provinciale da cui provengono”. Non credo di mancare di rispetto nei confronti dell’illustre giudice se osservo che la sua analisi pecca di semplicismo.

Agitazioni sindacali ci sono sempre state in Occidente e vanno considerate espressione non della sua fine, bensì della libertà e della democrazia che essa ha donate al mondo. Certe azioni criminali sono poi risultati di mali endemici irrisolti, presenti nel corpi sociale. Non è chiaro poi chi sarebbero i personaggi da dozzina cui allude Mazzella: coloro che governano i Paesi occidentali, gente che a suo avviso pensa solo ad arricchirsi?

Nel corso della sua lunga storia l’Occidente, a partire dall’antica Grecia, ha vissuto certo periodi di crisi, ma li ha sempre superati, trovando in sè la forza per farlo.

Vorrei ricordare a questo proposito la più complessa analisi contenuta nel lucido editoriale che Ezio Mauro il 4 settembre del 2014 pubblicò su “la Repubblica”, dal titolo L’Occidente da difendere. Era l’epoca nella quale con i suoi sconfinamenti ucraini Putin  dimostrava che “l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile” e che l’eterna sua ossessione resta, come per il sanguinario fanatismo islamico, l’Occidente.

Secondo Mauro la risposta della politica statunitense ed europea a questi suoi due potenzialmente letali nemici è “inconcludente”. Scrive il giornalista: “Quel pezzo di Occidente che si chiama Europa è sembrato a lungo incapace di avere un’idea di sè che non nascesse per differenza dal confronto con il comunismo orientale, e quando il sovietismo è caduto è parso in difficoltà  a [. . .] concepirsi come la terra dov’è nata la democrazia delle istituzioni e la democrazia dei diritti [. . .] Qui [. . .] stanno le ragioni” dell’intesa con gli Stati Uniti, vale a dire “il rispetto degli organismi internazionali di garanzia e delle regole di legalità internazionale che per un’alleanza democratica [. . .] valgono sempre [. . .] il bersaglio [. . .] è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita, fatto di libertà, di istituzioni, di controlli, di regole, di parlamenti, di diritti. E contemporaneamente, certo, di nostre inadeguatezze, miserie, abusi e violenze, perché siamo umani”.

Per Mauro è innegabile lo scollamento tra lo Stato e il cittadino, che non si sente adeguatamente rappresentato specie dalle istituzioni sovranazionali. “È come se stessimo testando il confine della democrazia, quasi non riuscisse più a produrre rappresentanza, governo e istituzioni capaci di rispondere alle esigenze dell’epoca [. . .] Non sarebbe la fine di un’ideologia, ma di tutto il fondamento dello Stato moderno, di una cultura politica, di un’identità. Per questo l’Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte”.

Una visione non crepuscolare dell’Occidente, ma orgogliosa rivendicazione dei suoi valori perenni, che hanno in se’ gli anticorpi che li rendono immuni dai veleni esterni. No, l’Occidente non è al tramonto.

 

Mario CapassoProfessore Ordinario di Papirologia. Direttore della Missione archeologica in Egitto. Autore di saggi scientifici e di romanzi ambientati nel mondo della papirologia. L’ultimo della serie con protagonista Mr Cavendish sarà tra pochi giorni nelle librerie

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