Giorgia Meloni mette a repentaglio la “Conciliazione”

“Il premierato non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa” e “Non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una Repubblica parlamentare” sono due espressioni che la foga polemica ha tratto dalla bocca ma non dalla mente di Giorgia Meloni.

La presidente del Consiglio ha manganellato (absit iniuria verbis) la Conferenza episcopale italiana per aver osato blandamente criticare due dei tre capisaldi della politica governativa: il premierato e il regionalismo differenziato. Cosa può aver smosso la preziosa bile della premier? Due considerazioni pure banali (absit iniuria verbis) del cardinale Zuppi, che la Conferenza presiede. La prima: “Gli equilibri istituzionali vanno affrontati sempre con molta attenzione.” La seconda: “Il tema andrebbe affrontato con lo spirito della Costituzione; come qualcosa di non contingente, che non sia di parte.” Se un rispettoso appunto dovessimo muovere a Sua Eminenza, sarebbe in verità un’esortazione a capo chino, senza albagia. 

Eminenza, osi, osi di più! Nei modi curiali appropriati al galero cardinalizio, ma osi. Il tema è d’importanza capitale nella Sua diocesi e nell’Italia intera. Che una nazionalista, aspirante prima ministra, lasci che il leghismo sovranista scardini, con il piede di porco della legge (una legge!), l’unità nazionale che il Risorgimento conquistò con il genio politico di Cavour e il genio militare di Garibaldi dopo millequattrocento anni dalla caduta di Roma; che la Giorgia fremente di amor di Patria si presti a farne uno spezzatino, merita assai più della Sua pur “molta attenzione”.

 

Cardinale Matteo Maria Zuppi

 

La presidente del Consiglio va in aceto appena le si critichi il premierato. È comprensibile, trattandosi della “madre di tutte le (sue) riforme”. Il premierato, tiene ella a rimarcare, “Non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa”. Come a voler dire al mite cardinale Zuppi: “Fatevi gli affari vostri che io faccio i miei.” Sennonché, così dicendo, ha offerto la gola ai vescovi, che sanno infierire come gesuiti anche senza esserlo. Hanno reagito a mezzo stampa mediante un didascalico corsivo, meno da professori che, caso elementare, da maestrine (anche qui: absit iniuria verbis), sul quotidiano italiano di loro proprietà, stampato in Italia e non all’estero in Vaticano come l’Osservatore Romano. 

Parliamo dell’Avvenire del primo giugno, dove la ferula vescovile ha colpito Giorgia Meloni con due colpi ben assestati, chiosando le sue improvvide esternazioni: “Così la premier ha mancato il bersaglio due volte: ha infatti confuso la Santa Sede con la Chiesa italiana e i suoi vescovi; non ha riconosciuto a questi ultimi, in quanto espressione di una parte importante della società italiana (non vaticana), la facoltà di dire la loro circa materie che riguardano il Paese e tutti i cittadini”.

Non bastasse, l’Avvenire (i vescovi è da intendere) ha raggiunto il sublime canzonatorio con tagliente perfidia affermando che “la carenza di garbo istituzionale già esibita nei giorni scorsi ha tirato un brutto scherzo, l’altra sera in tv, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.” Insomma, cara Giorgia, non stuzzicare la Conciliazione, che chiuse la “questione romana”. E poi il cardinale Zuppi non è mica il governatore della Campania. Scherza con i fanti e lascia stare i santi, seppure in pectore.

 

Pietro Di Muccio de Quattro

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide