Fontana: vi parlo delle eccellenze della Regione Lombardia

Viaggio tra le istituzioni territoriali del Paese #1

Con l’intervista al presidente della Regione Lombardia Avvocato Attilio Fontana, Beemagazine avvia un giro di interviste a presidenti di Regione e a sindaci delle principali città italiane. Per registrare le idee, le proposte, i motivi di orgoglio e di preoccupazione dei protagonisti delle amministrazioni  regionali e comunali. Al termine di questo giro, che avrà insieme il valore di una inchiesta e di un sondaggio, Beemagazine farà una sintesi dei motivi comuni e delle eventuali differenziazioni. Potrà essere un materiale utile allo sviluppo del dibattito politico sulle autonomie e sulle varie criticità dei territori, e una diretta informazione ai cittadini…

 

Cominciamo da una domanda birichina: qualcuno vi chiama Governatori. La cosa vi lusinga, vi infastidisce o vi fa pensare: quanto sono ignoranti questi giornalisti?!

In effetti la definizione non esiste nel panorama istituzionale italiano. È una sintesi giornalistica entrata a far parte del lessico popolare ed ha un’accezione molto dirigista, come se ci fosse un uomo solo al comando di ogni Regione. Non è così. Per questo preferisco essere il Presidente della Lombardia. Il Governatore, tra l’altro, deriva il suo potere non dal popolo, ma da qualcuno sovraordinato che glielo cede. Noi siamo eletti direttamente dai cittadini.

La pandemia ha dato ai presidenti di Regione una nuova centralità, momenti anche di protagonismo. Quanto avete sentito il peso di dover gestire la situazione sempre in movimento?

Un protagonismo non cercato, e una centralità spiegata dalla vicinanza e riconoscibilità dei presidenti sui territori. Ognuno di noi – io prima e più di tutti – si è trovato a combattere una battaglia durissima e improvvisa, senza indicazioni precise specie all’inizio. Sono stati mesi di enorme impegno, in prima linea, per contrastare il virus, per dare ai cittadini risposte efficaci.

Sempre durante la pandemia, si è accentuata la difformità di decisioni e di posizioni tra le Regioni e il governo centrale e tra le Regioni fra loro. Si è sfiorata in qualche caso la torre di Babele. In casi così drammatici come una pandemia, riterrebbe necessario un unico centro decisionale a livello centrale?

Mi permetta di dissentire. La Conferenza delle Regioni è stato il luogo della sintesi di proposte assunte praticamente sempre all’unanimità e con senso di responsabilità verso il Paese. Basta ricordare che le riaperture del maggio 2020 sono state rese possibili dal lavoro delle Regioni, anche forzando le timidezze del Governo. Con il Governo abbiamo discusso, anche aspramente, per raggiungere obiettivi comuni e, almeno da parte nostra, non per calcoli politici o di convenienza. Noi siamo le antenne sui territori, conosciamo le esigenze delle comunità, ci assumiamo responsabilità. Le Regioni hanno dato prova di coesione ed efficacia, ciascuna con le proprie specificità. Le faccio un altro esempio: la campagna vaccinale. Senza le Regioni non sarebbe stata possibile. Se poi vogliamo parlare del necessario coordinamento del Governo, tutti hanno visto il cambio di passo operato dal commissario Figliuolo. Lui ha dato certezze su approvvigionamento e distribuzione, consentendo a tutti noi di programmare con precisione il lavoro. Insisto, la pandemia ha mostrato la capacità delle Regioni di saper affrontare efficacemente una situazione straordinaria alla quale da Roma in giù nessuno era preparato.

L’istituto regionale, a livello di sentimento popolare, non gode e non da oggi di buona stampa. Quali sono i motivi secondo Lei? La percezione che si tratti di carrozzoni, di duplicazioni a livello territoriale del modello burocratico statale? Di costi eccessivi tra organismi pletorici e stipendi?

In questo Paese, ahimè, non vedo molti esempi di grande efficienza nelle filiere burocratiche e amministrative. La sua domanda generalizza e accomuna tutti nello stesso giudizio. Nella mia Regione i bilanci sono a posto e sempre “bollinati” dalla Corte dei Conti, gli esercizi finanziari si chiudono con avanzi di gestione, la cassa è attiva, abbiamo un rating superiore allo Stato che ci consente l’accesso ai mutui in tranquillità, i fondi comunitari vengono spesi nei tempi della programmazione voluta da Bruxelles, in un quadro di efficienza nella erogazione dei servizi al cittadino. 

Sono risultati di cui può andare giustamente orgoglioso.

Infatti, di cosa parliamo?! Io rilancio con il tema dell’autonomia: noi saremmo in grado di fare di più e meglio – senza sottrarre nulla agli altri – se ci venissero date maggiori competenze, come richiesto nel nostro Referendum popolare, e a parità di costi per il sistema Paese. Chiediamo più competenze e le stesse risorse che oggi lo Stato impiega per svolgerle. Sono certo che potremmo dare servizi migliori con meno sprechi. Io credo che si debba consentire alle Regioni, cosi come è scritto nella Costituzione, di percorrere la strada della responsabilità e dell’autonomia che si sentono in grado di assumere. Avremmo un Paese più semplice e “amico” dei cittadini.

 

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E delle polemiche contro le Regioni e della richiesta di interventi dal Centro cosa pensa?

Non ignoro, naturalmente, che nei due anni della pandemia si sia orchestrata una campagna contro le Regioni a vantaggio di pulsioni neo-centraliste mai sopite. Lo considero un rischio per tutti. E non credo che i cittadini vogliano tornare ai tempi delle vecchie Enpas rinunciando, ad esempio qui in Lombardia, alla libertà di scelta nelle cure in qualsiasi centro di eccellenza essi vogliano.

Cosa pensa dell’ipotesi di fare macroregioni e di ripristinare la provincia come ente intermedio e territorialmente più vicino ai cittadini?

La legge Delrio è stata un errore. Abolire le province senza pensare a chi avrebbe riempito quel vuoto è stata una pessima scelta, miope. Il livello intermedio è indispensabile, specie in Regioni come la nostra con 12 province, 1500 comuni e 10 milioni di abitanti. Se si aprisse un dibattito serio sulle macroregioni, non mi sottrarrei. È un ragionamento che il mio partito già dagli anni ’90 mise sui tavoli della politica.

A che punto è lo stato dell’arte a proposito della cosiddetta legislazione concorrente, un non risolto conflitto tra la Regione e il Governo?

Quello della legislazione concorrente, con le centinaia di conflitti davanti alla Corte Costituzionale degli ultimi anni, è uno dei motivi principali che spingono a chiarire, con la definizione dell’autonomia, i campi di intervento di ciascuno, offrendo certezze alle istituzioni e ai cittadini.

Nella Conferenza Stato-Regioni, che è il luogo istituzionale del confronto tra Governo e amministrazioni regionali, i presidenti riescono più a fare squadra in nome di esigenze comuni, o prevalgono di più i problemi di schieramento politico?

Lo dicevo anche prima ed è sotto gli occhi di tutti, le Regioni sanno fare sintesi e deliberano praticamente sempre all’unanimità. Si discute certo, ma lo spirito del nostro lavoro è tenere il sistema unito e offrire una leale collaborazione al Governo. La Conferenza è una squadra.

Secondo Lei sarebbe giusto che nei Consigli dei Ministri che decidono cose importanti per una specifica Regione, fosse presente anche il suo presidente, come avviene per la Regione Sicilia?

Sì, assolutamente.

Può indicare, tra le altre, una eccellenza della sua Regione? E una criticità che ancora non si è riusciti a risolvere?

Parto dalla seconda. Dal primo giorno ho chiesto alle mie strutture di lavorare per semplificare il rapporto fra istituzione, imprese e cittadini. Nelle procedure, nei bandi, con la digitalizzazione. È un percorso avviato che ha dato già dei risultati, ma bisogna fare di più. Dobbiamo rendere sempre più facile la vita ai lombardi che si rivolgono a noi. Le eccellenze della Lombardia sono consolidate. In primis, la capacità di mettere in relazione le energie pubbliche e private al servizio della comunità.

Si riferisce naturalmente alla sanità, ad esempio.

Non mi riferisco solo alla sanità che, a dispetto di polemiche strumentali, primeggia in Italia e in Europa. In queste settimane abbiamo fatto un tagliando al sistema della medicina e assistenza territoriale (che durante la pandemia ha sofferto qui, come ovunque) per renderla sempre più aderente ai bisogni di salute che mutano rapidamente. Il dialogo e la sinergia fra pubblico e privato hanno dato ottima prova di sé anche nel settore della ricerca e dell’innovazione, nel rapporto con le Università e con le associazioni imprenditoriali, così come durante la straordinaria campagna vaccinale.

C’è una ricetta per fare bene il presidente di Regione? La sua qual è?

Ho sempre accettato i ruoli istituzionali per spirito di servizio sia come Sindaco sia come Presidente di Regione. Credo sia l’unica ricetta che possa aiutare a sostenere il peso di responsabilità che sono davvero molto gravose. Tre cose ancora, in sintesi: dare risposte sempre, anche quando possono non piacere, per onestà verso gli interlocutori e per non rinviare ciò che è necessario fare; non nascondere i problemi dietro semplificazioni di comodo, ma affrontarli con determinazione e approfondendoli; avere dei collaboratori leali che ti facciano sentire sicuro nelle decisioni. 

Qual è la cosa – un provvedimento, una decisione, ecc. – di cui va più fiero?

I dati economici evidenziano la tenuta del sistema Lombardia, sia sul fronte produttivo sia occupazionale. Su questo abbiamo attivato molte iniziative di cui sono orgoglioso. Durante la fase emergenziale, l’adozione di politiche di sostegno al credito e l’erogazione di forme di ristoro integrative rispetto a quelle governative, hanno consentito alle imprese di sopravvivere a chiusure e drastiche riduzioni dei rapporti commerciali con l’estero. 

E poi?

Nella successiva fase di ripresa, abbiamo scelto – con i miei assessori – di sostenere le imprese attraverso misure dedicate e innovative: penso, tra le più recenti, alla promozione degli Accordi di rilancio Economico Sociale e Territoriale, un’iniziativa finanziata con 75 milioni di euro per favorire gli insediamenti produttivi sul territorio e sostenere l’occupazione. Non posso non citare, infine, la messa in campo – già dal maggio 2020 – di uno straordinario piano di investimenti da 4,5 miliardi di euro -“il Piano Lombardia” – per accelerare il rilancio della Locomotiva d’Italia, anticipando il PNRR nazionale. Sono state scelte che hanno dato fiducia ai lombardi, assecondando la loro capacità di reagire alle difficoltà e la loro assoluta dedizione al lavoro. 

 

Mario Nanni – direttore editoriale

 

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