Il professor Pasini è l’autore della “lettera aperta” degli scienziati del clima alla classe politica italiana, con questo appello: mettete la crisi climatica in testa all’agenda politica e di governo. L’appello è stato sottoscritto da numerosi scienziati e ha avuto centinaia di migliaia di adesioni. Il premio Nobel Giorgio Parisi ha sostenuto la lettera aperta con un suo articolo. Abbiamo intervistato il professor Pasini su questi temi.
Professor Pasini, una domanda banale per cominciare: come Le è venuta l’idea della “lettera aperta” ai partiti politici? Aveva visto i programmi elettorali, i discorsi e si è allarmato per l’assenza quasi totale dei temi che la lettera aperta agita?
Noi abbiamo scritto questa lettera prima che i partiti facessero uscire i loro programmi. Abbiamo pensato che fosse meglio prevenire che curare. Sapevamo che questa campagna elettorale si sarebbe sviluppata in maniera molto incentrata sulle emergenze attuali: la ripresa post-pandemia, la guerra in Ucraina e i problemi ad essa connessi, l’emergenza gas. In questo contesto abbiamo voluto far sapere che la crisi climatica sta sullo sfondo di tutto questo panorama e non affrontarla seriamente vorrebbe dire rincorrere le emergenze sempre maggiori che anche il cambiamento climatico ci riserverà, senza risolvere i problemi che vi stanno alla base.
Ha avuto finora qualche riscontro, cenno di risposta ,o ha notato nei discorsi elettorali qualche accento, qualche concetto nuovo dopo la pubblicazione dell’allarme lanciato al mondo della politica?
Innanzi tutto abbiamo avuto un grande riscontro dalla gente comune (oltre 220mila firme alla nostra petizione), poi qualche tiepido contatto con alcuni politici. Chissà: forse in questo paese la società civile è più avanti della politica.
Nel documento, sottoscritto da importanti personalità del mondo della scienza, è messo con forza l’accento su questo concetto: il fortissimo rapporto tra le questioni legate al clima e lo sviluppo economico, e lo stesso futuro delle condizioni di vita, e si paventano rischi che possono diventare ingestibili. Si è quindi ancora in tempo per rimediare. Cominciando da dove?
Certamente. Dobbiamo considerare che sono possibili in sostanza due linee di azione. Da un lato dobbiamo adattarci ai fenomeni climatici che già oggi vediamo, perché dai cambiamenti climatici che abbiamo innescato con le nostre azioni ed emissioni di gas serra non si torna indietro: il clima ha un’inerzia che rende molto difficile invertire la rotta, ma possiamo fermarne la sua deriva. Quindi occorre porre in essere azioni strutturali contro la siccità, adattare i nostri territori fragili agli eventi estremi, tutelare la salute delle persone più fragili durante le ondate di calore, ecc..
Ma nel contempo dobbiamo evitare che la deriva climatica raggiunga valori che non sarebbero più gestibili con il solo adattamento, e dobbiamo quindi ridurre drasticamente le nostre emissioni di gas serra, nei modi che tutti conosciamo. Un solo esempio: nello scenario business as usual, che vedrebbe un aumento di 4-5 gradi della temperatura globale rispetto all’epoca preindustriale, i nostri ghiacciai alpini perderebbero probabilmente il 90% della loro superficie e del loro volume attuali. In quelle condizioni, come si riuscirebbero a gestire le allora scarsissime risorse idriche per la Pianura Padana?
Voi scienziati chiedete che il mondo politico, e di conseguenza il futuro governo, di quale colore esso sia, metta la questione clima in testa all’agenda politica, il che, riferendosi al significato etimologico della parola agenda, significa mettersi subito a fare le cose. Se lei ha scritto la lettera aperta vuol dire che nutre qualche speranza che ciò accada. È così?
Io mi auguro che nel futuro governo ci sia qualche vero statista che guardi realmente alla “costruzione” di un futuro per il nostro paese e non sia impegnato solo a rincorrere le emergenze.
Nel documento è illustrato il concetto che il clima è fattore decisivo e determinante, con le sue manifestazioni in vari campi, dello stato di salute del pianeta. Ci può fare due tre esempi tra i più significativi e preoccupanti?
Con uno sguardo antropocentrico, il primo esempio viene dagli impatti estremamente negativi dei cambiamenti climatici sull’agricoltura, che, ricordiamolo, è il nostro settore primario. Poi si deve pensare agli impatti sulla salute, sia per le ondate di calore sia per l’estensione di malattie portate da vettori, come la malaria. Inoltre, molte nostre strutture sono a rischio: penso a tutte quelle che saranno influenzate dall’innalzamento del livello del mare. Infine, di solito si è portati a pensare che i rischi per la biodiversità siano un problema per il pianeta ma non per noi: non è così. La distruzione di interi ecosistemi ci farebbe mancare una enormità di servizi ecosistemici sui quali ci basiamo nella nostra vita.
Nella lettera aperta si parla del Pnrr: quali e quante risorse secondo Lei si potrebbero destinare alle gravi e urgenti questioni che ponete?
Certamente, in entrambi i settori dell’adattamento e della mitigazione i soldi del PNRR ci sono e vanno usati rapidamente e in maniera efficiente: i numeri sono già scritti.
Transizione ecologica, transizione energetica: formule solenni e piene di significato, ma non Le pare che si parli di più di quanto in realtà si faccia, riducendo quelle formule a slogan propagandistici o, peggio, elettorali?
Purtroppo sì. Il consenso a breve termine si fa anche con gli slogan. È un modo più rapido di convincere la gente e non induce a pensare. Purtroppo, parafrasando una frase del celebre film “Per un pugno di dollari”, si potrebbe dire: “Quando un uomo con un ragionamento incontra un uomo con uno slogan, l’uomo col ragionamento è un uomo morto!”.
Anche il Premio Nobel Giorgio Parisi è intervenuto per dare una mano a rafforzare questo allarme lanciato. Come scienziati del clima, vi dichiarate pronti a fornire il vostro contributo per elaborare soluzioni e azioni concrete che siano scientificamente fondate. In particolare, voi mettete in guardia contro un pericolo: che si intervenga con provvedimenti emergenziali, mentre voi chiedete interventi strutturali e di lungo periodo. Il pericolo che ci si muova secondo una logica di corto respiro, quindi la mettete nel conto
Ovviamente sì. È per questo che chiediamo che si ascolti la scienza, in particolare la scienza del clima, che studia un sistema complesso che ha bisogno di interventi sistemici, perché con gli interventi emergenziali rischiamo di mettere una toppa ad un problema ma aprirne uno diverso e magari più grave.
La coperta è corta. Bisogna farne una più lunga e non spostare quella corta da una parte all’altra: se si coprono le spalle si scoprono i piedi. Pensi solo alla presunta soluzione del problema della siccità facendo invasi a monte dei fiumi.
Certo, potremmo avere più acqua a disposizione ma il livello dei fiumi si abbasserebbe ancora e l’acqua salata risalirebbe dalle foci più di oggi, rendendo sterile ancora più terreno. Occorrono soluzioni strutturali che considerino i vari aspetti tutti insieme.
La vostra petizione, il vostro appello ha avuto molte adesioni. Pensate di chiedere, dopo le elezioni, un incontro al Governo e ai ministri che si dovrebbero occupare di questi temi?
In realtà, questa volta come comitato scientifico “La Scienza al Voto” – di cui sono il coordinatore – composto da scienziati del clima e dell’ambiente, abbiamo invitato i partiti ad un incontro il prossimo 19 settembre a Roma, alla sede del CNEL, per discutere di tutto questo.
Avete messo nel conto l’ipotesi che il la politica e i governanti non diano risposte all’altezza della gravità della situazione climatica?
Certamente, ma aspettiamo a vedere cosa accadrà prima di decidere come agire se così fosse.
L’affidamento di un ministero che si dovrà occupare di questi problemi a uno scienziato crede che possa facilitare e accelerare una maggiore presa di coscienza di questi enormi problemi per poi contribuire ad affrontarli nel modo migliore?
Come comitato “La Scienza al Voto” pensiamo che la soluzione non sia che i partiti al governo cooptino uno scienziato come ministro o come consulente, perché abbiamo visto bene cosa può succedere. Trump, per esempio, ha messo a capo dell’EPA, l’agenzia ambientale degli Stati Uniti, un negazionista climatico che non rappresentava sicuramente la migliore scienza disponibile al momento. Per questo proponiamo che si istituisca un organismo fatto da scienziati di punta, magari eletti dalla comunità scientifica e che la rappresenti veramente, che interagisca con i decisori politici in una maniera strutturale all’interno delle nostre istituzioni democratiche. Ma non svelo di più e rimando all’incontro del 19, in cui presenteremo questa proposta.
Mario Nanni – Direttore editoriale