Il silenzio è d’oro, la parola non sempre lo è.
Ma Dario Nardella, ancora per poco sindaco di Firenze perché in scadenza come uno yogurt, non lo sa. E incautamente se n’è uscito, dopo il raduno fiorentino dei sovranisti invitati da Matteo Salvini, con questi memorabili detti: “Nella città di Sassoli, La Pira e Calamandrei il raduno è una provocazione. Io ho invitato i cittadini a manifestare senza cadere in posizioni intolleranti”. E se al sullodato terzetto non ha aggiunto anche Dante è solo perché il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha affermato – assumendosene tutta la responsabilità – che l’Alighieri era un uomo di destra.
E bravo Nardella! Recita due parti in commedia come meglio non si potrebbe. Da una parte scaglia il sasso, dall’altra nasconde la mano. Da una parte fa il piromane, dall’altra fa il pompiere. Perché? Forse per mantenersi in equilibrio. Come che sia, la dice grossa. Vergogna! Ma come gli viene in mente di definire “provocazione” il fatto che un gruppo di persone riunite alla Fortezza da Basso ha il torto di non pensarla come lui? Si dà il caso che il Nostro sia un cultore del diritto costituzionale a tal punto da averlo professato, e forse di professarlo ancora, all’Università di Firenze. E dove sennò?
Sono sicuro che lui consideri la nostra Costituzione repubblicana – al pari di tanti esponenti di sinistra – la più bella del mondo. Ma dopo questa premessa, non va oltre. Strano, molto strano. Perché la Legge fondamentale della Repubblica, tra i tanti articoli degni di particolare menzione, c’è – vedi caso – l’articolo 21. Il cui primo comma recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Tutti, avete capito bene: cittadini, stranieri e apolidi. Mentre il primo comma dell’articolo 17 prevede che “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”. Come legittimamente hanno fatto il segretario della Lega Salvini e i suoi cari.
Di grazia, dove sta la provocazione? E allora il signor sindaco va psicanalizzato ben bene. Ha forse nostalgia di una foresta pietrificata come quella comunista andata a ramengo a causa delle dure repliche della storia? Diremmo di no. Perché dopo la Bolognina di Occhetto, prima o poi (Giorgio Napolitano, per dire, poi) i compagni si sono allineati e coperti. Forse, gratta gratta, per lui il tempo non è passato? Stento a crederlo. Perché Nardella è cresciuto alla scuola di Vannino Chiti e di Matteo Renzi, dei quali tutto si potrà dire tranne che non abbiano sale in zucca. Forse ha commesso la sciocchezza di usare la parola “provocazione” per compiacere una base che non ha più neppure gli occhi per piangere? Ma no, perché i trinariciuti di una volta, sbeffeggiati da Giovanni Guareschi, sono tutti passati – si fa per dire – a miglior vita.
No, l’incauto ricorso alla parola “provocazione” si spiega altrimenti.
Alle primarie del Pd, Nardella puntò sul cavallo considerato vincente. Tant’è da divenirne il braccio destro. Sennonché il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha ottenuto la maggioranza degli iscritti al partito. Ma poi è stato sconfitto da Elly Schlein perché premiata dai passanti. Solo a un Pd senza babbo né mamma poteva capitare una disgrazia del genere.
Ora, mettiamoci nei panni di Nardella, che si è visto dall’oggi al domani tremare la terra sotto i piedi. Per ingraziarsi una come la Schlein – una e trina come la Santissima Trinità perché al tempo stesso cittadina degli Stati Uniti, svizzera e italiana – ha ritenuto di fare l’estremista per prudenza. Per dirla con Leo Longanesi.
Ecco, per un seggio al Parlamento europeo si può delirare. Non è forse vero?
Paolo Armaroli – Professore di Diritto pubblico comparato, già parlamentare, e Docente di Diritto parlamentare