Curarsi con la musica

Ce ne parla un neurochirurgo – musicologo che operava facendo ascoltare Mozart

“In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto”.  (Antifonte V sec. A.C.) 

“Ogni malattia ha una soluzione musicale. Maggiore è il talento musicale del medico, tanto più breve e completa è la soluzione”. (Novalis 1791)

“I poeti fecero bene a unire la musica e la medicina in Apollo perché il compito della medicina non è altro che quello di intonare quella strana arpa che è il corpo umano e riportarla all’armonia”. (F. Bacon “The Advancement of Learning”)

La musica si è rivelata una risorsa straordinaria nel trattamento di numerose affezioni in cui la parola si rivela inutile o insufficiente allo scopo. Come sono solito fare ogni volta che introduco questo tema che mi è caro, mi piace ricordare i versi di Pontus de Tyard, sintesi meravigliosa dei poteri della musica:

“La musica è la signora che placa il dolore, mitiga l’ira, frena l’imprudenza, attenua il desiderio, guarisce il dispiacere, allevia la miseria della povertà, disperde la debolezza e lenisce le pene d’amore”. (Solitaire Second ou Prose de la musique, 1555) 

L’utilizzo del suono come energia positiva capace di alleviare sofferenze del corpo e dell’animo e di sconfiggere le malattie, affonda le sue radici nella notte dei tempi ed è probabilmente antica quanto la musica stessa. Nel mito di Orfeo, ad esempio, la musica è una potenza magica e oscura che sovverte le leggi naturali, in grado di riconciliare in un’unità i principi opposti su cui sembra reggersi la natura: vita e morte, male e bene, bello e brutto; queste antinomie vengono sciolte nel canto di Orfeo grazie alla potenza magico-religiosa della musica.

“Tale utilizzo era necessariamente empirico e spesso se ne valutavano gli effetti positivi mettendoli in relazione con situazioni di magia e con l’intervento di forze estranee all’uomo evocate, appunto, dal ritmo e dalla musica nei suoi diversi e vari elementi. Mancava ovviamente una riflessione scientifica sul fenomeno…”(Zucchini,1989)

Una lesione cerebrale di qualsiasi natura si traduce sempre in una alterazione dei sistemi ritmici che tengono sincronizzato il cervello, dove i neuroni possono attivarsi al momento sbagliato o instaurare connessioni errate o non attivarsi affatto. 

La musica, diffondendo fin negli angoli più remoti del cervello e del corpo, come nessun altro stimolo afferente riesce a fare, può far riemergere quanto appartiene al mondo dell’inconscio ed essere di valido aiuto per riportare in tono la musica neurologica. 

Credo che vada abbandonato qualsiasi tentativo di razionalizzazione del fenomeno musicale. Accettando invece una sua interpretazione simbolica più consona a quanto siamo in grado di percepire, e più appropriata a ciò che possiamo considerare la più straordinaria e potente creazione umana; ponte ideale – ma avvertito come reale – fra l’infinito sopra di noi e il quotidiano nostro sentire. Quell’infinito vagheggiato nel sogno e che solo la musica è in grado di tradurre in sentimento, passione, timore, sorriso, lacrime, strazio. Quell’infinito punto di incontro ineludibile fra soffio vitale e suggestione della fine.

Emil Cioran, filosofo e saggista rumeno, commenta: “La musica è il linguaggio della trascendenza. Il che spiega le complicità che crea tra gli esseri umani. Li immerge in un universo dove cadono le frontiere. Al mondo della musica si accede veramente solo quando si oltrepassa l’umano. La musica è un universo, estremamente reale seppure inafferrabile ed evanescente. Un individuo che non possa penetrarvi, perché insensibile alla sua magia, è privo della ragione stessa di esistere. Il supremo gli è inaccessibile”. 

La musica rappresenta da sempre un canale privilegiato di comunicazione e, infatti, è parte fondamentale dei riti che scandiscono la vita di quasi tutte le collettività umane, grazie alla sua capacità di aggregare emotivamente gli individui, favorendo la condivisione delle esperienze. 

Le attività di ascolto e produzione musicale sono potenti strumenti in grado di coinvolgere reti multisensoriali e motorie, e di indurre cambiamenti all’interno di queste reti favorendo collegamenti tra regioni cerebrali distanti ma funzionalmente correlate. 

Questi effetti multimodali della musica, insieme con la sua capacità di attingere al sistema di emozioni e ricompense, possono essere utilizzati per facilitare e migliorare gli approcci terapeutici orientati alla riabilitazione e al ripristino di disfunzioni neurologiche acquisite o congenite. 

La musica, mancando di riferimenti esterni, riesce a cogliere meglio del discorso verbale, il puro susseguirsi dei moti della coscienza, che le parole non possono definire, e rappresentare i contenuti del pensiero nel loro divenire. Per questo riesce a raggiungere in maniera immediata l’animo di chi ascolta: è un linguaggio universale comprensibile da tutti gli esseri viventi.

Nel libro di Samuele (1, 16-23) si narra: “Lo spirito del Signore si era allontanato da re Saul ed uno spirito malvagio di Dio lo aveva invaso; Davide prendeva la cetra e suonava con la sua mano, Saul trovava la calma”. Davide può essere quindi considerato il primo musicoterapeuta. 

Il rapporto tra Saul e Davide altro non è che il rapporto fra paziente e terapeuta, e la musica è il farmaco. L’utilizzazione della musica a scopo terapeutico risale dunque a tempi antichissimi, anche se solo negli ultimi 30 anni le neuroscienze hanno guardato ad essa come possibile presidio terapeutico. 

E tuttavia già nel 1811 Pietro Lichtenthal (Bratislava 1780 – Milano 1853) nel suo “Trattato dell’influenza della musica sul corpo umano e del suo uso in certe malattie” asseriva:

“Degno d’esperimento d’un medico è, a parer mio, il ricercare quanta sia la forza dell’arte musicale sull’uomo, e, condotto da ragionamento filosofico, trarne uso talora nella cura delle malattie. Questa idea non fu onorata finora secondo la sua eccellenza …Io cerco di spargere un po’ più di lume su di questo punto, ben avverso con tutto ciò dall’introdurre chimere nell’arte medica. Essa in vero non progredisce se non mediante profonde intuizioni, appoggiate a solide osservazioni, ed alla sperienza: cammino ch’io pure mi proposi, onde ottenere il mio scopo. Spero che questo trattato non sarà dìscaro ai medici dotti. Non ho la presunzione d’aver esausta la materia, e accoglierò anzi con gratitudine ogni sana critica che illumini il Pubblico e me. Prego bensì chi mi rinfacciasse qualche errore nella dottrina della musica antica, di non attribuirmelo a negligenza d’indagini, ma piuttosto all’oscurità di questa dottrina”.

Da una concezione dell’efficacia terapeutica di tipo “magico” fondata sulla convinzione che la musica potesse influire sulle malattie e sulla guarigione, si arriva in tempi piuttosto recenti alla definizione di “musicoterapia”, grazie all’acquisizione di maggiori conoscenze sulla struttura e sul funzionamento del cervello.

La moderna musicoterapia è nata negli Stati Uniti subito dopo le due guerre mondiali. 

Secondo il WFMT (World Federation of Music Therapy) e l’AMTA (American Music Therapy Association), la musicoterapia può essere definita come “l’uso clinico di musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia, armonia, dinamica, tempo) da un musicoterapeuta qualificato per raggiungere obiettivi individualizzati all’interno di una relazione terapeutica con un cliente o di un gruppo”. 

Una distinzione deve essere fatta tra musicoterapia, che comporta sempre la partecipazione di un musicoterapeuta qualificato, e il concetto di musica in medicina, in cui la musica viene impiegata come terapia accessoria da parte di coloro che non sono necessariamente specializzati nel settore. Lo scopo della musicoterapia è quello di sviluppare le potenzialità e/o ripristinare le funzioni dell’individuo per ottenere una migliore integrazione intrapersonale e interpersonale. 

La musicoterapia offre anche la possibilità di comunicazione a coloro che hanno difficoltà ad esprimersi con le parole. La musica infatti ha, in misura maggiore rispetto a tutte le altre arti, la funzione di renderci più sensibili all’alone espressivo della lingua. Difatti, mentre essa elìde il pensiero logico-verbale, riproducendo antiche situazioni percettive dello stato perinatale in cui le voci erano ascoltate come puri suoni, sottopone la psiche ad un esercizio di ascolto che ne amplia la sensibilità recettiva e la fa quindi progredire verso un sentire più ampio. 

La musica ha pertanto la capacità di far convergere nel medesimo punto un’esperienza regressiva di carattere sensoriale, che oltrepassa il linguaggio verbale esistente, ed una progressiva che lo arricchisce di potenzialità espressive. 

Tutto ciò è reso possibile solo e soltanto dall’emozione che la musica suscita nella mente e nell’animo umano anche semplicemente al primo e breve ascolto. Gli studi clinici in corso sugli effetti della musica dimostrano con sempre maggiore affidabilità come essa migliori la precisione dei movimenti fini, la deambulazione, il controllo della postura, ma anche lo stato di benessere affettivo e comportamentale nei malati affetti da alterazioni della sfera motoria.  

La musicoterapia ha inoltre dimostrato di poter “accendere” le aree cerebrali deputate anche al linguaggio e questo potrebbe spiegare l’utilità funzionale della stessa con pazienti che presentano disturbi dell’eloquio.

Le persone malate si sottopongono volentieri a incontri di attività motoria accompagnata dalla musica e da altri stimoli emotivamente coinvolgenti (danza, ritmi, giochi) in cui la musica svolge un ruolo fondamentale. 

Numerose le affezioni in cui la musica viene oggi utilizzata in ambito musicoterapico. Lo strumento musicale si è rivelato efficace soprattutto nel trattamento di: Ictus; Ipertensione arteriosa; Stress; Morbo di Parkinson; Alzheimer; Dislessia; Autismo; Epilessia. 

La musica viene inoltre utilizzata con riscontri positivi in Sala Operatoria; Hospice; Oncologia Pediatrica; Degenza di neonati prematuri; Riabilitazione neuromotoria.

 

 

Antonio Montinaro – Neurochirurgo, musicologo, saggista

 

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