“Cattolicesimo e politica sono terreni filosofici fangosi, scoscesi, spesso tortuosi e dal complicato confronto, un po’ come il cielo e il mare, destinati ad incontrarsi solo all’orizzonte, nonostante l’uno sia il riflesso dell’altro”, ha sostenuto Claudia Mancina, già docente di Etica dei Diritti alla Sapienza e deputata nella XI e XIII legislatura per i Democratici di sinistra.
A prendere la palla al balzo Giuliano Amato, già presidente della Corte Costituzionale e presidente del Consiglio per ben due mandati (92-93/ 2000-2001) che si è riallacciato al discorso della Mancina sottolineando come l’incontro tra politica e cristianesimo abbia attraversato la storia senza mai arrivare ad una soluzione pacifica di fatto.
Il “dottor Sottile” è partito dalla Questione Romana, fortemente legata al completamento dell’Unità d’Italia, in cui emerge -tra gli altri- il Pontefice Pio IX (personaggio spigoloso e certamente avverso alla conciliazione) per arrivare ai giorni nostri ed in particolare alla questione del Divorzio del ‘70, momento di crisi tra la DC e i Radicali, tra destre e sinistre, dove il popolo sovrano si schierò favorevole a sciogliere “ciò che Dio aveva unito”.
A contribuire, secondo Gennaro Acquaviva (già senatore e socialista della prima ora) è stato il ‘68, crocevia di anni fatidici per “il rovescio dei poteri e delle istituzioni” che hanno sovvertito gli ordini e le autorità costituite.
“Ma allora, se i valori di base delle sinistre (come solidarietà, accoglienza ed integrazione) sono comuni alla Chiesa, com’è possibile una scissione così netta?”, ha rilevato Stefano Ceccanti, già senatore e deputato del Pd, sostenendo che la risposta è quanto mai ravvisabile nella frammentazione della sinistra, che affonda le sue radici già nello scisma tra socialisti e comunisti, per giungere al confronto tra Radicali e partiti emergenti che di fede politica di matrice stalinista hanno ben poco.
Claudia Mancina ha risposto che “il comunismo ha attratto i giovani perché innovativo e organizzato, affascinandoli con la libertà di pensiero e di azioni” che però ha avuto bisogno di una moderazione, attuata da Berlinguer, il quale “ha teso una mano verso gli altri partiti cercando di tollerare ed accogliere qualche spunto di democraticità di matrice cattolica”.
Nicola Antonetti, ordinario di Storia delle dottrine politiche all’ Università degli studi di Parma e presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, ha parlato invece di una sinistra insurrezionale, che ha provato ad equipararsi a quella francese ed a quella sovietica senza mai riuscirci davvero, perché sfociata in movimenti anarchici che, di fatto, si discostano dal focus originario.
Silvio Pons, docente di Storia contemporanea alla Normale di Pisa, ha imputato l’incontro mancato tra socialismo e cattolici all’ incompatibilità tra i leader di un’epoca fatta di distinzioni nette e poco diplomatiche.
Amato ha citato Pasolini e “la fine delle Lucciole”, attribuendo qualche colpa anche al capitalismo imperante, verso cui Chiesa e sinistra si sono sempre manifestate ostili, per poi avvalersene nelle retrovie.
Giuseppe De Rita, sociologo e già presidente del CNEL e del Censis, dopo un’approfondita analisi sociopolitica, è arrivato alla conclusione che senza un ritorno dei giovani ai valori fondanti la nostra Costituzione, nella quale rientrano anche e soprattutto quelli della sinistra illuminata dell’epoca, il compromesso storico è insostenibile ora come allora.
Ma la vera domanda è: “Le nuove generazioni sanno cos’è il compromesso storico?”. Meglio non darsi una risposta, forse.
Gennaro Maria Genovese