Chi ha paura di virginia Woolf?

Il bisogno di tornare a casa, alle letture del passato, all’interrogazione dei classici antichi e moderni

Cultura

Dopo molti anni ho ripreso in mano la Recherche. Non so neppure perché, ma in questa fase della mia vita personale e di quella collettiva sento il bisogno di tornare a casa, cioè alle letture del passato, all’interrogazione dei classici antichi e moderni. E mentre rileggo Proust mi tornano in mente le parole di Virginia Woolf: Mi chiedo se con La Signora Dalloway sono riuscita a realizzare qualcosa. Be’, niente comunque in confronto a Proust, nel quale sono immersa. Quel che riesce a Proust è l’unione dell’estrema sensibilità con l’estrema tenacia.

Tira fuori le sfumature di farfalla fino all’ultima venatura. È resistente come il filo per suture ed evanescente come la polvere d’oro di una farfalla. E immagino che mi influenzerà, e insieme mi farà disperare a ogni frase ( 8/04/1925 del Diario).

Qui Virginia ci regala una di quelle perle critiche che le sono solite ( la metafora della farfalla- in greco psyché- indica insieme il respiro, l’anima e la farfalla )per indicare lo straordinario tocco proustiano, venato, trasparente e colorato, forte e leggero; e poi indica nello scrittore francese un punto di riferimento imprescindibile, un oggetto ammaliante che  è anche una continua sfida per il lettore. Viene da dire: “Da che pulpito!”. Come se La Signora Dalloway o un altro qualunque romanzo della sua maturità non fossero prove altrettanto impegnative e altrettanto affascinanti! Modestia di una grande.

Devo confessare che, pur amando Proust, Virginia mi seduce letteralmente perché- come ella stessa ama definirsi- è una vera outsider, voce dell’alterità non solo di genere, ma anche di scrittura e di pensiero, di etica e di costume, di comportamento e di ideali. Proto-ecologista e proto-femminista della differenza, dell’estraneità al mondo degli uomini, curiosa flâneuse della vita  e della natura, Virginia amava camminare  per le vie di Londra, di cui il suo occhio, tanto scrupoloso nell’osservare quanto visionario nell’immaginare, restituisce pagine indimenticabili.

Ma l’attenzione e la delicatezza amorosa con cui descrive insetti, piante, esseri viventi di ogni specie , il brio scherzoso con cui attinge al suo particolare bestiario per attribuire  curiosi nomignoli  a sé stessa e ai suoi cari ( mandrillo, mangusta, rospo..) ne rivelano l’indole istintivamente animalista. Non poteva che essere una pacifista convinta. Se tu insisti a dire di voler combattere per proteggere me, o la nostra comune patria, mettiamo bene in chiaro che cosa significa patria per me. Analizziamo il “patriottismo” dal mio punto di vista, che per legge divento straniera se sposo uno straniero…È un fatto: io donna, io outsider, non comprendo l’istinto alla guerra, non ho patria.

 Questo passaggio tratto da Le tre ghinee  risuona oggi come potente antidoto allo strombazzato sovranismo dei nostri tempi: in particolare l’ultimo pensiero è costruito in modo tale da ricordare un recente trinomio forse incautamente pronunciato per siglare un femminismo di tipo nazional-popolare. Per trasformarsi nell’essere che porta il nome di Virginia, la Woolf dovette invece commettere prima il “matricidio”: Ho fatto di tutto per ucciderla. Se dovessi difendermi in tribunale, la mia difesa sarebbe che ho agito per autodifesa. Non l’avessi uccisa io, lei avrebbe ucciso me.[..] Ce n’è voluto perché morisse. La sua qualità fittizia l’ha aiutata in questo: è molto più duro uccidere un fantasma che la realtà.[..] Anche se alla fine mi lusingo di averla uccisa, la battaglia è stata seria…uccidere l’”angelo del focolare” fa parte del mestiere della donna che scrive. Ho volutamente usato il verbo trasformarsi, perché la femminilità rivendicata da Virginia non è solo un doveroso atto di liberazione dalle strettoie della società patriarcale vittoriana, non è banale androginia né costruzione di nuove barriere nei confronti del maschio: in modo davvero sorprendente, Virginia sembra anticipare l’idea attuale di fluidità di genere, di co-presenza di ogni differenza nell’unità del tutto.

Quando nel suo romanzo Orlando il protagonista da uomo si risveglia donna, la voce narrante- come per il Gregor Samsa kafkiano- non marca alcuna differenza. Nulla è cambiato tranne il sesso. Solo al ritorno in Inghilterra il/la protagonista dovrà indossare ingombranti abiti da donna, e rifletterà sull’impaccio, sull’ostacolo al FARE- ivi compresa l’azione politica-che tali abiti rappresentano. La dote precipua della femminilità per la Woolf consiste nel legare, nel far fluire e nel creare rapporti armonici. In Al faro la signora Ramsay , nella prima parte della famosa cena, assiste a conversazioni e sguardi che parlano di conflitti, di tensioni di genere e sociali, ma sotto il suo sguardo benevolo, compassionevole, instaura un clima di serena comunità.

Questo è il grande lascito della “femminista” Virginia: anche nei gesti più banali, la donna è naturalmente soterica, sa curare mentre indaga sul senso della vita. “Che ho fatto io della mia vita?”- si domanda infatti la protagonista. Il sentimento anima la grande scrittrice è di tipo panico, è qualcosa che invade ogni fibra del suo corpo solo al cadere di un petalo da una rosa, e che provoca  in lei “una slavina, una valanga di sensazioni”, la percezione profonda dell’appartenenza al tutto. Quel tutto che è l’acqua, in cui si immergerà in un suicidio tanto rimandato quanto simbolicamente realizzato. La sua straordinaria diversità, quella che lei stessa definisce “pazzia”, è alimentata da desiderio non di tipo oppositivo ma accogliente, di conoscenza e non di pregiudizio aggressivo.

Quando dice di parlare come un cacatoa vuole sottolineare la sua felicità nel comunicare, il gusto per la conversazione brillante tra persone amabili e stimate, come quelle del famoso Circolo di Bloomsbury. Anche per quest’aspetto sociale e culturale detesta la guerra, le fanfare e tutti i simboli (fallici?) che alla guerra si legano e che portano insegne squisitamente maschili. Virginia assistette  spaventata e incredula al sorgere del nazifascismo, perse anche un nipote nella guerra civile di Spagna, un lutto personale che commentò però in termini generali con un’esclamazione davvero “alternativa” e femminile, contraria alla retorica del martire e dell’eroe. What a wast!: un fiore di giovinezza così dissennatamente sprecato.

Nel suo feroce pamphlet Il libro contro la guerra le dichiara la sua guerra personale, sacrificando anche le sue scelte di scrittura per un vero impegno pacifista. “La guerra rende tutti schiavi della forza” che è, a suo avviso, “la più sordida delle esperienze”. Confessa di temerla, di odiare quella macchina di morte, che è tanto materiale quanto irreale, un fantasma, un’astrattezza irreparabile, che insulta l’essere umano. Ne Le tre ghinee rileva proprio questo paradosso  della storia scritta al maschile: uomini pre-potenti che non possono contrastare le loro stesse peculiarità, i loro attributi virili e trascinano tutti nella assurda spirale di violenza e morte.

Nel suo micro-saggio Pensieri di pace durante un raid aereo, composto per un simposio negli Stati Uniti del ’40, ma pubblicato postumo nel ’42, alla cultura dei pennacchi e delle medaglie ( che aveva già irriso nel saggio Una stanza tutta per sé ) Virginia oppone un’ALTRA cultura di pace e libertà, scommettendo sulla forza delle donne e sulla loro capacità di pensare altrimenti il mondo. Oggi sarebbe accanto, e non solo idealmente, alle donne iraniane.

Tuttavia, perché le idee raggiungano l’obiettivo, dobbiamo essere in grado di innescarle (queste sono le uniche bombe  ammissibili!), di metterle in atto..[…] I politici e gli strateghi che occupano posizioni da cui poter realizzare delle idee, sono tutti uomini.[..] Paura e odio sono emozioni sterili, infruttuose…[..] Gli attuali strateghi crederebbero davvero che la semplice parola “disarmo” scritta su un pezzo di carta a un tavolo di trattative basti a far cessare le guerre? Il mestiere sarà forse abolito, ma Otello continuerà a esistere.

Parola di Virginia Woolf, nostra sorella, nostra contemporanea.

 

Caterina ValcheraDocente, filologa

 

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