Le immagini ammalano e si chiama passione. Le immagini guariscono e si chiama contemplazione. Nel mezzo ci stanno, la neonata storia dell’arte e ogni forma di ermeneutica e di esegetica, che porta ai musei, alle collezioni, alle fondazioni e in ultimo alla comparsa di corsi universitari di arte terapia e di un molteplice pedagogia, anche ludica, dell’arte. Ormai, non si può parlare di arte al singolare, ma di arti al plurale, per comprendere e distinguere, nello stesso tempo, le belle arti storiche, dalle arti visive attuali. Avendo perduto le arti visive, il ruolo storico delle belle arti, che era tutto simbolico, apollineo, rituale, civile e avendone preso uno, emotivo, subliminale, psicologico, dove agiscono, fattori gestuali, individuali, basati su improvvisazione, delirio, enigmi della. notte, marchio della solitudine, anche stando in mezzo a folle vocianti, gridanti, piangenti, ma anche osannanti e preda di un post… religioso, civile, morale, etico. Immagini per tutto, per scarsa magia e scarso illuminismo, per tanto consumo ( sia anoressico che bulimico) che per tanta occultistica, che è, per tanti versi, totemica e alienata. Un’ altalena di ragionamento e di sentimento, in cui la ragione è sempre più, relativistica e ipotetica e il sentimento è sempre più delirante e sconnesso. L’Olimpo è sempre più piccolo. L’Infero si estende sempre più. Questo moltiplica le potenzialità e le effettualità, di penetrare a fondo nella psicologia individuale e in quella di massa, sia in senso negativo, così che in senso positivo; nel senso negativo si svolgono tragedie e drammi che coinvolgono patologie del comportamento ( esaminate dal versante collettivo da Ortega y Gasset e Canetti e da quello personale da Jaspers e Foucault, con Cooper su un versante intermedio); mentre nel senso positivo si innesta una possibilità non solo conoscitiva, ma anche terapeutica, assorbendo il rischio della civiltà, che può sottomettere e calpestare ogni faccia e ogni mente, ma anche diventare la leva di un nuovo rinascimento dell’uomo e del mondo, in una via tortuosa, contraddittoria, che può diventare via maestra. Stendhal, autore de Il rosso e il nero e de La Certosa di Parma, ha dato il nome ad una sindrome che prende il suo nome, analizzata in maniera mirabile da Graziella Magherini. Gli capitò, con un alternarsi di delirio e di depressione fobica, durante un suo incontro con l’arte italiana delle grandi cattedrali e da allora è stata riscontrata in tanti viaggiatori, viaggiatori che non hanno retto ( ma la vicenda continua) l’impatto con le pitture, le sculture, le architetture, capaci, enigmaticamente, di penetrare nel nostro sistema nervoso e condizionarlo, diventando una malattia. Quindi, non è uno scherzo. Il rapporto con le immagini, che prima era parziale e rapsodico, mentre oggi è diventato totalitario, dei media, della pubblicità, del tempo e dello spazio, in una società spettacolo, sia nelle strutture profonde, che nelle sovrastrutture effimere, diventando un fatto che deve farci riflettere sulla causalità ammaliante del bombardamento di immagini, che non danno tempo d’essere,che subito sono non essere, con una velocità, che piuttosto che essere foto di un film della realtà, finisce con l’essere, pura metafisica, seppure di significato capovolto, non dal basso in alto, ma in una statica morbosa. Il vento delle arti gonfia le vele del nostro cervello, ma è turbinoso andante in tutte le direzioni, contemporaneamente, che ha bisogno d’essere compreso, altrimenti diventa alienazione totale, sconvolgimento, sottomissione; per questo bisogna prenderne atto e creare una grande specularità critica, che accolga le immagini, le “civilizzi”, le faccia diventare armonia, conoscenza. Questa è la grande scommessa del presente/futuro, che non è né facile, né difficile, ma complessa e sempre nuova, sempre più bisognosa di avere una avanguardia ( e le immagini sono sempre un passo avanti, rispetto alle parole) con una adeguata capacità a fare seguire il pensiero, in orizzontale, in verticale, in trasversale; perché non vinca, da un lato, un incontrollato pensiero artificiale e dall’altro, un rumoroso folclore. Simboli sì. Idola no.!!!
Francesco Gallo Mazzeo – Docente emerito ABA di Roma, Docente di linguistica applicata ai nuovi linguaggi inventivi delle arti visive in Pantheon Institute Design & Technology di Roma e Milano