Dalle Bunker buster al jamming. Il generale Caruso analizza il nuovo modo di fare la guerra

La ricostruzione tecnica dell’operazione Midnight Hammer del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi e già comandante delle Forze speciali dell’Esercito italiano, basata su fonti ufficiali del Pentagono, briefing militari e analisi di intelligence per offrire una panoramica dettagliata di come la tecnologia Usa abbia ridefinito il modo di fare la guerra

Alle 00:01 del 21 giugno 2025, nella quiete delle pianure del Missouri, tredici ombre metalliche di guerra si sono alzate silenziosamente nel cielo notturno di Whiteman Air Force Base. È stato l’inizio dell’operazione più audace dell’aviazione americana da decenni: Operation Midnight Hammer, il primo attacco diretto degli Stati Uniti alle strutture nucleari iraniane.

Il grande inganno

Quello che il mondo ha visto quel sabato mattina è stata solo la superficie di un elaborato schema di inganno militare. Due formazioni distinte di B-2 Spirit hanno preso il volo simultaneamente da Whiteman: i voli MYTEE 11 e MYTEE 21, ciascuno composto da diversi bombardieri stealth del valore di 2,1 miliardi di dollari l’uno.

Sei B-2 hanno puntato verso ovest, attraversando il Pacifico in direzione della base di Andersen a Guam. Il loro decollo è stato immediatamente rilevato dai sistemi di tracking pubblici e dai media internazionali, creando l’illusione di una dimostrazione di forza o di un dispiegamento difensivo. Durante il volo, uno dei bombardieri – il MYTEE 14 (numero di coda 88-0332) – ha dichiarato emergenza e ha dirottato su Honolulu, Hawaii, dove è atterrato in sicurezza.

I restanti sette B-2 hanno virato silenziosamente verso est, iniziando la rotta più lunga: 11.200 chilometri attraverso l’Atlantico e il Mediterraneo fino agli obiettivi iraniani. Per 18 ore consecutive, questi fantasmi d’acciaio hanno volato con comunicazioni radio ridotte al minimo, quasi invisibili anche ai sistemi alleati.

La macchina da guerra in movimento

L’Operazione Midnight Hammer ha mobilitato una forza aerea senza precedenti: oltre 125 velivoli hanno partecipato alla missione in quello che il generale Dan Caine, Chairman of the Joint Chiefs of Staff, ha definito “il più grande attacco operativo B-2 nella storia americana”.

I rifornimenti in volo sono stati l’elemento critico del successo. I sette B-2 dell’attacco hanno effettuato rifornimenti multipli durante le 18 ore di volo, supportati da aerei cisterna KC-135 Stratotanker e KC-46 Pegasus che si sono alternati lungo la rotta atlantica e mediterranea. Le operazioni di rifornimento hanno richiesto una sincronizzazione millimetrica che non ha lasciato margine d’errore.

Arrivati sul Mediterraneo orientale, i B-2 si sono collegati con le forze del Central Command e con i caccia israeliani che stavano già operando nello spazio aereo iraniano: caccia di 4ª e 5ª generazione (F-35, F-22 e F-16 americani, F-35I e F-16I israeliani), velivoli per guerra elettronica EA-18G Growler, piattaforme ISR per intelligence e sorveglianza, in quella che Caine ha descritto come “una manovra complessa e perfettamente sincronizzata in uno spazio aereo ristretto”.

L’armamento devastante

Ogni B-2 ha trasportato il suo carico mortale: due bombe GBU-57 Massive Ordnance Penetrator, per un totale di 14 ordigni da 13.600 kg ciascuno. Queste “bunker buster” rappresentano l’arma convenzionale più potente al mondo, progettate specificamente per penetrare strutture come Fordow: 6,2 metri di lunghezza, involucro in acciaio Eglin ad alta densità, 2.400 kg di esplosivo AFX-757 e una capacità di penetrazione fino a 60 metri di terra o 18 metri di cemento armato.

Contemporaneamente, dalle profondità dell’Oceano Indiano, il sottomarino nucleare USS Georgia (SSGN-729) – uno dei quattro Ohio-class convertiti per missioni convenzionali – ha lanciato oltre 30 missili Tomahawk verso il sito di Isfahan. Questi missili da crociera, lunghi 5,56 metri e pesanti 1.600 kg, hanno viaggiato per oltre 1.500 chilometri a velocità subsonica, guidati da GPS e navigazione inerziale.

Il momento dell’attacco

Alle 17:00 EST del 21 giugno (23:00 ora locale iraniana), i Tomahawk sono stati lanciati dal sottomarino, iniziando il loro volo verso Isfahan. Alle 18:40 EST (02:10 del 22 giugno in Iran), il bombardiere di testa ha sganciato le prime due GBU-57 su Fordow, la “montagna sacra” del programma nucleare iraniano, scavata 80-100 metri sotto la roccia.

Nei successivi 25 minuti, gli altri B-2 hanno completato le loro missioni: dodici bombe su Fordow e due su Natanz. Le GBU-57 non hanno colpito a caso: ogni impatto è stato calcolato con precisione millimetrica sui pozzi di ventilazione del complesso sotterraneo di Fordow, completati nel 2009 secondo le immagini satellitari dell’intelligence americana. Inizialmente i crateri sono apparsi casuali, ma un’analisi più attenta delle immagini post-attacco ha rivelato che ogni bomba ha centrato esattamente i condotti quadrati di ventilazione.

L’obiettivo era duplice: le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio devono operare in un ambiente controllato con temperatura e pressione specifiche. Senza ventilazione, le migliaia di centrifughe che ruotano a 90mila giri al minuto si surriscaldano rapidamente e si distruggono. Ma soprattutto, i condotti di ventilazione hanno fornito alle GBU-57 un percorso diretto verso il cuore del bunker. Penetrando attraverso questi “tunnel” di ventilazione, le bombe da 13.600 kg hanno potuto raggiungere le sale delle centrifughe sepolte a 80-100 metri di profondità, bypassando gli strati più resistenti di roccia e cemento armato che proteggevano l’accesso principale.

I sistemi iraniani, già decimati dalle settimane di attacchi israeliani, non sono riusciti a reagire. “I caccia iraniani non hanno volato e i loro sistemi di difesa aerea non ci hanno visto”, ha dichiarato Caine. “Abbiamo mantenuto l’elemento sorpresa per tutta la missione”.

Le armi dell’inganno e il coordinamento israelo-americano

L’attacco ha impiegato sofisticate contromisure elettroniche in perfetta coordinazione tra forze americane e israeliane. I caccia di scorta hanno lanciato missili anti-radar AGM-88 HARM contro le postazioni radar superstiti, mentre sistemi di jamming hanno disturbato le comunicazioni e il GPS iraniano. Gli F-35I israeliani avevano già condotto nelle settimane precedenti una sistematica campagna SEAD (Suppression of Enemy Air Defenses), degradando le difese aeree iraniane e aprendo corridoi sicuri per i bombardieri americani.

Israele ha fornito supporto cruciale attraverso intelligence in tempo reale sui bersagli, coordinamento tattico per evitare conflitti nello spazio aereo, e soprattutto la soppressione preliminare delle difese aeree iraniane condotta durante le settimane di Operazione Rising Lion. Netanyahu aveva specificamente richiesto l’intervento americano per Fordow, target irraggiungibile per l’aviazione israeliana, e aveva preparato il terreno rendendo possibile l’ingresso non rilevato dei B-2. Probabilmente sono stati impiegati anche decoy MALD (Miniature Air-Launched Decoy), esche aeree programmabili che imitano le firme radar degli aerei veri per confondere le difese nemiche e costringerle a sprecare missili contro bersagli falsi.

Il ritorno a casa

Dopo 36 ore di volo totali, i sette B-2 dell’attacco sono atterrati uno dopo l’altro a Whiteman Air Force Base nel pomeriggio di domenica 22 giugno. Un giornalista dell’Associated Press li ha visti arrivare: prima un gruppo di quattro bombardieri che hanno fatto un giro della base prima di atterrare da nord, poi i restanti tre entro dieci minuti.

I sei B-2 del diversivo, invece, sono atterrati alla base di Andersen a Guam, completando la loro parte nell’inganno strategico che ha permesso al vero attacco di passare inosservato fino all’ultimo momento.

L’Operazione Midnight Hammer ha riscritto le regole del gioco in Medio Oriente. Per la prima volta dal 1979, gli Stati Uniti hanno colpito direttamente il suolo iraniano, distruggendo il cuore del programma nucleare della Repubblica Islamica con una precisione e una potenza di fuoco mai viste prima, in perfetta sinergia operativa con Israele. La notte del 21 giugno 2025 è destinata a rimanere nella storia come il momento in cui la diplomazia ha lasciato il posto alla forza bruta della tecnologia militare americana, supportata dall’intelligence e dal coordinamento tattico israeliano.

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