Pasqua, la ricorrenza tra parole e gesti
C’è un brano, tra i più significativi del Vangelo, in cui la ‘parola’ del Signore si fa “gesto” carico di un contenuto nuovo e che ci aiuta ad entrare nella Pasqua del Signore. Il gesto, sappiamo, è sempre un linguaggio che rafforza la parola, anzi la rende non di rado più suggestiva. Veniamo al brano nella narrazione che ce ne dà l’evangelista Luca: il Maestro è a Gerusalemme in occasione di quella che sarà la sua ultima Pasqua; egli aveva ampiamente parlato della vigilanza, mettendo in guardia dall’ipocrisia e dagli inganni; stando poi nell’Atrio del Tempio, volle commentare un gesto quasi insignificante e nascosto, l’obolo di una povera vedova che entrando nella Casa di Dio donava il proprio contributo di due soldi, tutto ciò che aveva; fu un gesto di amore molto bello per quel Luogo che era lo spazio della presenza gloriosa dell’Altissimo in mezzo al suo Popolo: la Shekinah di Dio; su Gerusalemme Gesù aveva anche preannunciato il giorno in cui la Città santa sarebbe stata umiliata, distrutta e privata della propria nobiltà spirituale. Era stata una giornata faticosa e allora di sera se ne andò sul costale del Monte degli Ulivi per pregare avendo a fronte la Città di Davide. Chi ha visitato Gerusalemme conosce bene questo suggestivo luogo che guarda ancora oggi le mura imponenti e la spianata del Tempio. Il giorno dopo, desiderando celebrare la cena Pasquale, Gesù mandò Pietro e Giovanni a preparare il necessario: luogo, pane, vino, erbe amare, dicendo: «Andate a preparare per noi la Pasqua» (Lc 22, 8). La Pasqua ebraica, così ricca di simboli per Israele, è per Gesù l’ultima, ma anche l’occasione per un ‘evento’ nuovo che egli ha nel cuore: l’istituzione di quella che per la Chiesa diverrà la Pasqua sacramentale, l’Eucaristia: «Quando fu l’ora prese posto a