Angela Merkel, la donna dei due mondi. Che balla sull’orlo della libertà e ci mostra la storia di domani

L’ex cancelliera e le sue memorie, dai match con Putin e Trump agli anni nella Ddr passando dalla svolta epocale sui migranti. Tra i suoi mantra ci sono la libertà come sfida di responsabilità e la necessità esistenziale di un’Europa unita. Eppure ancora oggi alcune domande rimangono senza risposta
Angela Merkel arriva alla Libreria Rizzoli per il firmacopie del suo nuovo Libro (11/12/2024) - Foto Claudio Furlan/Lapresse

Bentornati nel mondo di Angela. Il blazer blu è quello di sempre, oppure è molto, molto simile ad altre centinaia di blazer che ha indossato negli ultimi due decenni. Gli occhi sono azzurri, il sorriso appena accennato è quello che le conosciamo: a tratti pare quasi timida, la donna che fu la più potente del mondo, una ritrosia che la rende strepitosamente atipica tra le grandi personalità politiche del nostro tempo. Il suo modo di parlare tende al noioso, questo si sa, e quando Walter Veltroni le rivolge le grandi domande tipo Zeigeist, preferisce snocciolare informazioni, dati, numeri, fatti, avvenimenti certificati. Salvo infilare in mezzo al flusso di parole una frase che è un marchio di fuoco: nel 2015, al culmine della crisi dei migranti – quando oltre un milione di persone entrò in Germania, soprattutto profughi siriani, ma non solo – era il celeberrimo “Wir schaffen das”, ce la facciamo, che segnò non solo un passaggio decisivo nel rapporto dell’Occidente con il fenomeno migratorio, ma rappresentò anche una svolta cruciale nella carriera politica di Frau Merkel, quella che ne definì il carattere, il tono e le aspettative fino al suo ritiro, nel 2021.

Lo racconta lei stessa, nel suo libro appena uscito (Libertà, uscito contemporaneamente in 30 Paesi, edito in Italia da Rizzoli, scritto insieme alla collaboratrice di sempre, Beate Baumann), lo ribadisce alla presentazione italiana di queste sue memorie, rispondendo appunto alle domande di Veltroni. Oggi, nella sede milanese dell’Ispi, la frase del giorno è “la libertà è una sfida”. Tradotto: non è regalata, non è un dono, non è scontata. Lei, la donna dei due mondi – ignota scienziata nel regime della Ddr, cancelliera della Germania riunificata – ha buon diritto per affermarlo.

Pagare i prezzi della politica

Angela Merkel
La copertina di “Libertà” (Rizzoli)

L’universo di Angela, si diceva, così diverso da quelle degli altri leader del nostro tempo, è un luogo pieno di contraddizioni, certo, ma quasi sempre sorprendente: che si parli di Vladimir Putin o di Donald Trump, che si rievochino le circostanze che portarono al suo controverso no, nel 2008, all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, che si parli dei suoi anni nella Ddr (la “ragazza dell’est” nacque ad Amburgo, ma la sua famiglia si trasferì nella Germania dell’Est, in un paesino improbabile chiamato Quitzow, quando lei aveva appena quattro settimane di vita, nel 1954), che si tirino in ballo le strette finanziaria imposte a mezza Europa ai tempi dell’eurocrisi o che si ascoltino le sue parole sulle migrazioni: “Se dobbiamo chiedere scusa per aver mostrato un volto aperto e cordiale in una situazione di emergenza umanitaria allora questo non è il mio Paese”, ha scandito l’ex cancelliera di fronte al pubblico milanese, riferendosi alla Germania. E lo dice una donna perfettamente consapevole, quando prese in solitudine la scelta della “politica delle porte aperte”, del fatto che avrebbe pagato un prezzo politico molto alto, anche nelle urne, dove nel 2017 l’ultradestra dell’AfD fece il suo spettacolare ingresso nel Bundestag.

Merkel non solo rivendica quella scelta, ma afferma con chiarezza che il sovranismo può essere arginato solo se, tra le altre cose, le migrazioni saranno governate con l’integrazione e l’apertura. Ragionamenti che difficilmente ritroviamo nelle parole del suo successore alla guida del partito cristiano-democratico, quel Friedrich Merz che molto probabilmente sarà il prossimo cancelliere.

“Non esiste una cittadinanza europea o una cittadinanza tedesca innata”, sciorina con la sua proverbiale impassibilità Angela Merkel, “la cittadinanza è qualcosa che apprendiamo, l’abbiamo imparata”. Occhio: è il contrario esatto del sovranismo, è l’idea della cittadinanza che è tutt’uno con responsabilità. “Anche sotto una dittatura si può capire cosa sia la libertà”, aggiunge ricordando “la prima metà della mia vita”, quelli passati nella Ddr.

Un giovane siriano alza un manifesto con il volto di Angela Merkel a Budapest, dopo la scelta della Germania di "aprire le porte" ai migranti (settembre 2015) - AP Photo/Frank Augstein/LaPresse
Un giovane siriano alza un manifesto con il volto di Angela Merkel a Budapest, dopo la scelta della Germania di “aprire le porte” ai migranti (settembre 2015) – AP Photo/Frank Augstein/LaPresse

Scansare gli stereotipi

Ma anche qui sta bene attenta a scansare gli stereotipi. Potrebbe dire semplicemente peste e corna del regime di Honecker, ma sarebbe troppo facile: “A nostro modo siamo anche stati felici in quegli anni”, ha avuto modo di ripetere in numerose occasioni. Ora lo ribadisce: “I miei genitori mi hanno sempre aiutata a sentirmi a mio agio, è grazie a loro che non sono diventata cinica”. Poi, ancora una volta, ecco la zampata merkeliana: “Certo, era una libertà limitata. Ho studiato fisica perché sapevo che c’era bisogno di fisici nella Ddr, ma so che se fossi cresciuta di là (nella Germania ovest, ndr) non l’avrei studiata. E dopo la caduta del Muro di Berlino capii che la libertà è anche una sfida. Certo, improvvisamente ero liberata, ma dovevo decidere tutto da me. Fino a quel momento avevamo pensato che lo Stato autoritario ci avesse impedito di fare qualsiasi cosa, in realtà abbiamo dovuto imparare a fare delle scelte. Perché, sì, libertà vuol dire anche responsabilità”.

Ovviamente nel suo racconto hanno uno spazio molto importante sia Donald Trump che Vladimir Putin. Del primo dice che ha “una mentalità da immobiliarista, per lui il mondo si divide esclusivamente in vincenti e perdenti”. L’ex cancelliera ricorda il suo primo incontro con il tycoon nel 2017 (all’epoca qualche giornale tedesco rivelò che, per prepararsi come si deve, Merkel si studiò a fondo anche un’intervista che Trump aveva rilasciato anni prima a Playboy), e riferisce che “parlavamo su due piani diversi: lui su quello emotivo, io quello fattuale. La soluzione dei problemi non sembrava essere il suo obiettivo. E quando controbattevo energicamente, cambiava argomento. Allo stesso tempo mi sembrava che volesse piacere al suo interlocutore”.

Ma soprattutto: “Era evidente che fosse affascinato dal presidente russo. Negli anni seguenti avevo l’impressione che fosse come incantato dai leader dai tratti autocratici e dittatoriali”.

Quei match con l’ex agente Vladimir

Putin, appunto. La cancelliera difende strenuamente le scelte compiute nei confronti della Russia: e questo contro il vero e proprio tsunami di attacchi che l’hanno investita dall’invasione dell’Ucraina in poi. Di colpo, la Germania ha messo sul banco degli imputati decenni di “Ostpolitik” – la politica della distensione avviata da Willy Brandt in piena guerra fredda – gettando un’ipoteca pesante sull’eredità storica di Angela Merkel. Lei ripete fino allo sfinimento il suo mantra, “contestualizzare”, e forse non ha tutti i torti: difende gli accordi di Minsk, facendo intendere che hanno avuto il merito di rallentare gli obiettivi “imperiali” del Cremlino. Al tempo stesso, riserva parole durissime a Putin: “La Russia non deve vincere questa guerra. Il presidente russo ha violato l’integrità territoriale di un Paese, calpesta tutti i nostri valori”.

E certo non si può dire che l’ex cancelliera non lo conosca bene, il capo del Cremlino: c’era un’epoca in cui si contavano le telefonate tra i due, che superavano di gran lunga quelle tra gli altri leader globali, i loro vertici erano quel tipo di match nei quali i duellanti conoscono alla perfezione i trucchi l’uno dell’altro, con lei che gli parla in russo fluente e lui che tira fuori dal suo armamentario le tecniche apprese a Dresda, dove negli anni settanta era un operativo del Kgb.

Vladimir Putin con Angela Merkel nel 2018 - Wikimedia Commons
Vladimir Putin con Angela Merkel nel 2018 – Wikimedia Commons

Contestualizzare, dicevamo. Tutto giusto, e sicuramente l’idea era quella di “contenere” in qualche modo Mosca, attraverso il dialogo, la politica e il commercio. Questo mentre Merkel monitorava con estrema attenzione le attività dei servizi d’intelligence russa sul territorio tedesco, che hanno provocato fortissime tensioni diplomatiche tra Berlino e Mosca (a cominciare dalla vicenda dell’“omicidio del Kleiner Tiergarten”, quando un cittadino georgiano che aveva combattuto a fianco dei ribelli ceceni era stato ammazzato in pieno giorno da un agente russo), nonché le offensive di guerra ibrida su larga scala lanciate contro la Repubblica federale, a cominciare dal cyber-attacco subito dal Bundestag (anch’esso pilotato da Mosca, dicono i magistrati tedeschi). E tuttavia una domanda, tra quelle rivolte da Veltroni all’ex cancelliera, sicuramente è mancata: quella su Nord Stream 2 e sull’incredibile circostanza di una Germania che si rende dipendente al 90 per cento dal gas russo, legandosi mani e piedi, con tutto il corollario che una tale scelta porta con sé in termini non solo di politica energetica, ma finanche di sicurezza nazionale.

Un mantra chiamato Europa

L’altro grande mantra di Angela è l’Europa. Che dovrà essere sempre più unita, più coesa, se non vuole soccombere ad una logica globale in cui sono le grandi potenze a determinare i giochi, dalla Cina agli Stati Uniti. Un’Ue che però “non deve essere cristallizzata nella sua forma attuale” e che, lo sottolinea più volte, “non è formata solo da Germania e Francia”: in questo flusso di coscienza non a caso fa cadere il nome di Mario Draghi, riferendosi alla necessità che il Vecchio Continente rilanci con forza la competitività e l’innovazione, pena la sua stessa sopravvivenza.

Angela Merkel alla partita Germania-Grecia per i quarti di finale di Euro 2012 a Danzica - Foto LaPresse
Angela Merkel alla partita Germania-Grecia per i quarti di finale di Euro 2012 a Danzica – Foto LaPresse

La Kanzlerin ricorda lo sforzo straordinario, e comune, compiuto durante la pandemia (fu lei il motore dietro il Recovery Fund, circostanza troppo spesso dimenticata), e appare curiosamente possibilista in quanto ad altre, future, forme di condivisione del debito a fronte delle grandi sfide globali. Ancora una volta torna il il tema libertà & responsabilità: “La democrazia, che per me è la democrazia liberale, è ora sotto pressione. Richiede per questo tolleranza nella convivenza tra i popoli e delle persone. Dobbiamo riconoscere che non tutti hanno la stessa opinione, e dobbiamo ora più che mai essere pronti ad accettare compromessi, il valore degli altri e a tutelare le minoranze. Ma sono ottimista: ci sono tante persone che sanno cos’è la democrazia e sono pronte a difenderla”. A Trump e Putin – così come ai sovranisti di mezzo mondo – fischiano le orecchie. Certo che ci sono stati errori, anche gravi, ci sono ombre, nella lunga traiettoria merkeliana: ma è “senso di responsabilità”, quella che ha accompagnato tutta la sua parabola politica, la parola chiave del mondo di Angela.

Pochi come l’ex cancelliera che fu chiamata “la ragazzina” dal suo mentore Helmut Kohl (l’uomo della riunificazione tedesca, lo stesso che proprio lei fece cadere, sull’onda dello scandalo dei finanziamenti occulti al suo partito, la Cdu), possono dirsi “icona” quanto lei. Merkel ha sempre dato l’idea di infischiarsene. Anche oggi: saluta il pubblico ancora con quel sorriso che pare timido, la stessa espressione che i paparazzi immortalarono quando la trovarono al supermercato spingendo il carrello verso la cassa. Una donna come noi, così diversa da tutti noi. Limpida come un ruscello delle campagne brandeburghesi, imperscrutabile come una sfinge. Ieri come oggi.

Roberto BrunelliGiornalista

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