Il Consiglio superiore della magistratura, Csm, previsto dagli articoli 104 e 105 della Costituzione, è formato da tre membri di diritto (presidente della Repubblica, presidente della Cassazione, procuratore generale della Cassazione), otto membri eletti dal Parlamento in seduta comune tra professori universitari di diritto e avvocati con quindici anni d’anzianità professionale, sedici membri eletti dai magistrati tra i magistrati. Dunque i magistrati votano. Hanno il loro piccolo governo rappresentativo nel Csm, che assume, assegna, promuove, trasferisce e punisce i magistrati: questi sono per Costituzione gli esclusivi compiti del Csm, non i tanti altri usurpati, che lo hanno fatto assimilare ad una terza camera parlamentare. La magistratura costituisce un “ordine” (non un “potere” dello Stato) autonomo e indipendente da ogni altro potere (dello Stato: il Legislativo e l’Esecutivo). È governata da se stessa, sebbene la natura corporativa dell’organo di autogoverno, il Csm appunto, sia stata opportunamente dai Costituenti temperata con la componente di nomina politica. Mentre l’elezione parlamentare dei membri non togati, per quanto l’elettorato passivo sia riservato solo a due qualificate categorie di giuristi, risponde in modo appropriato alla giusta esigenza di assicurare nel Csm la presenza di rappresentanti delle prevalenti tendenze politiche, l’elezione dei togati da parte dei colleghi togati costituisce una scelta infelice dei Costituenti. Scelta né necessaria né provvida, alla luce dei fatti. Qui non è in discussione che il Csm sia in maggioranza composto da magistrati, bensì che tali magistrati siano eletti dai magistrati. Infatti la magistratura ordinaria è afflitta, come denunciano tanti degli stessi magistrati, da una sorta di frantumazione professionale parapolitica, che dà il peggio di sé proprio nelle votazioni per eleggere i suoi rappresentanti nel Csm. È inevitabile che l’elezione si svolga secondo i canoni delle lotte di potere tout court. Ci sono liste, candidati, campagne elettorali: tutto, ovviamente nel ristretto ambito del mondo della magistratura ordinaria. Per effetto dell’elezione stessa, effetto aggravato dal criterio proporzionalistico, la rappresentanza dei magistrati ha cambiato natura. È divenuta prettamente politica, con tutto quel che ne consegue, niente affatto commendevole, in molti aspetti implicati e connessi all’amministrazione della giustizia.
A rigore, tuttavia, le cose non è detto che debbano andare come vanno. I magistrati eletti nel Csm, come dice il nome e le specifiche funzioni attribuite ad esso, sono, dovrebbero essere, rappresentanti “tecnici” dei magistrati elettori. La deriva politicistica del Csm, che ne ha pure accentuato il carattere corporativo della rappresentanza oltre lo spirito e la lettera della Costituzione, fino a condurne certi componenti a scimmiottare il peggiore parlamentarismo senz’essere parlamentari e la peggiore politica senz’essere politicanti, può e deve essere fermata mediante una riforma costituzionale che abolisca l’elezione diretta, “correntizia”, dei rappresentanti togati e ne stabilisca la selezione mediante estrazione a sorte, con procedimento stocastico. Sappiamo che il sorteggio fu largamente adoperato dall’antica Atene e nella Repubblica di Venezia addirittura per le cariche politiche. Ancora oggi c’è chi lo sostiene per le assemblee parlamentari, mentre altri lo avversano per i troppi inconvenienti, se applicato alla rappresentanza politica. Il richiamo storico serve ad avallare l’estrazione a sorte come sistema di scelta dei componenti togati del Csm. In questo caso, infatti, non solo il metodo del sorteggio supera tutte le obiezioni che possano essergli opposte quando venga adoperato per scegliere i rappresentanti nelle assemblee politiche, ma ne mostra i vantaggi non riscontrabili in quel caso. Sono decisivi vantaggi di per sé evidenti, specie alla luce dell’essenza e della funzione costituzionali del Csm. Come ha chiarito la Corte costituzionale, i caratteri della giurisdizione afferiscono a ciascun singolo magistrato sicché essa è “diffusa” paritariamente, secondo qualifiche e competenze, in tutti i magistrati, in questo assolutamente eguali. Il fatto che i magistrati si distinguano per funzione, non per grado, e che la loro rappresentanza, anche perciò, sia tecnica, non politica, costituisce la condizione ideale per la selezione stocastica del Csm. Non pare inutile ricordare che in greco stokasticòs significa “mirare bene”, dunque “pensarla giusta”, “essere sagace.”
Chi giudica una “colossale sciocchezza” il sorteggio, sebbene tale giudizio sia avallato da autorevoli giuristi, in realtà la sciocchezza la dice lui. Le correnti di magistrati, che consentono ai loro capi di “spendere” i voti delle medesime correnti per “acquistare” quote di potere nel Csm, non sono eliminabili con i pii desideri, neppure se alimentati da illustri studiosi altrimenti autorevoli. I denigratori del sorteggio nel caso di specie della selezione dei magistrati per il Csm non oppongono argomenti, che del resto non hanno, bensì una umoristica petizione di principio: il sorteggio sceglie a caso i magistrati (sic!). A tali denigratori, se fossimo perfidi quanto loro interessati, potremmo ribattere per davvero che in genere i magistrati sono aspri avversari del sorteggio perché non è manipolabile come le elezioni. Noi propugnatori, da lustri, dell’estrazione a sorte abbiamo immaginato una procedura come l’urna del lotto dalla quale estrarre i nomi non già tra tutti i magistrati in servizio, ma tra quelli che, avendo superata una certa anzianità di servizio, per esempio quattro anni, chiedano di essere inseriti nella lista degli estraibili; ed inoltre che ai sorteggiati non spetti alcuna indennità aggiuntiva allo stipendio se non il rimborso spese, e ciò per distoglierli dal tornaconto economico.
Siamo convinti che un sistema del genere, pur sommariamente delineato, taglierebbe le unghie agli ambiziosi maneggioni (l’opposto di veri giudici!) che acconciano “le elezioni” del Csm a comodo loro, e separerebbe con maggiore efficacia di adesso la politica dalla magistratura, in senso specifico e in senso generale. Sarebbe “una colossale sciocchezza”, essa sì, del Legislativo e dell’Esecutivo rigettare una riforma di questo tipo soltanto perché spiace ai più chiassosi magistrati, ai più corrivi accademici, ai politici più compiacenti.
*Direttore emerito del Senato della Repubblica
Ph.D. dottrine e istituzioni politiche