Un massacro, un’ambasceria e la difficile storia dell’integrazione del popolo giudaico

Una pagina di storia di grande interesse e ancora attuale

Migliaia di uomini, donne e bambini vengono spinti come mandrie di bestiame in una zona ristrettissima. Temono di morire di fame o per soffocamento, considerata l’assoluta mancanza di spazio. Per questi motivi, forzati i recinti, si spingono nei deserti, sulle spiagge e nei sepolcreti, andando così incontro a una morte, se possibile, peggiore: alcuni vengono lapidati, colpiti con tegole e percossi; altri sono bruciati vivi; altri poi, legati alle caviglie, sono trascinati ancora vivi nel mezzo della piazza e i cadaveri infine sono smembrati e calpestati.

Alessandro Capone

È il massacro cui è sottoposta la comunità ebraica di Alessandria d’Egitto nell’estate del 38 d.C. e che il filosofo ebreo Filone descrive sinteticamente nell’Ambasceria a Gaio, appena pubblicata da Giorgia Lauri per Città Nuova (https://edizionicittanuova.it/prodotto/ambasceria-a-gaio/) nella giovane e promettente collana “Nuovi Testi Patristici”, diretta da Emanuela Prinzivalli ed Emanuele Castelli.

L’atroce vicenda, che richiama, ahimè, la cronaca di attualità, è la triste conseguenza di losche trame politiche. Lo svolgersi dei fatti, le intricate trame di potere e la difficile condizione di convivenza della comunità giudaica nella città di Alessandria sono delineate con chiarezza da Giorgia Lauri.

Il prefetto d’Egitto Aulo Avillio Flacco, dopo cinque anni di sereno governo e a seguito dell’ascesa al principato di Gaio Caligola, di cui era stato avversario, decide di cambiare atteggiamento nei confronti della comunità giudaica a causa di personaggi di dubbia moralità, che gli promettono di difenderlo presso il princeps Gaio Caligola a condizione di prendere misure ostili nei confronti dei giudei di Alessandria.

Subito dopo il massacro il filosofo ebreo Filone, un esponente di spicco della comunità massacrata, parte alla volta di Roma con un gruppo di correligionari per esporre all’imperatore Caligola una versione dei fatti diversa da quella che gli abitanti di Alessandria avevano diffuso, per cui i giudei sarebbero stati gli unici a non adorarlo e di conseguenza erano stati giustamente puniti con la profanazione delle sinagoghe.

Purtroppo l’ambasceria non ha fortuna. Filone ottiene un breve abboccamento con l’imperatore, che gli promette un’udienza per il giorno dopo. Nel frattempo però si diffonde la notizia che Caligola intende porre una propria statua nel Tempio di Gerusalemme. La notizia crea sconcerto e agitazione e solo grazie a varie pressioni l’imperatore recede dall’intento iniziale, prescrivendo però che non vi sia alcun ostacolo al culto dell’imperatore al di fuori di Gerusalemme.

È solo a questo punto che la delegazione giudaica viene ammessa all’udienza dell’imperatore, il quale, in un contesto inadatto all’ascolto delle istanze proposte dall’ambasceria e in maniera distratta e superficiale, congeda la delegazione senza neppure ascoltarne le ragioni, bollando i giudei di pazzia: «Questi uomini mi sembrano non tanto malvagi, quanto piuttosto sventurati e folli, dato che non credono che io abbia ereditato la natura di Dio» (p. 263).

Si conclude così un’ambasceria, che per molti aspetti potremmo definire mancata, e l’opera di Filone, il quale sente su di sé e sugli altri ambasciatori il peso della sorte di tutti giudei del mondo: «Se, infatti, avesse favorito i nostri avversari, quale altra città avrebbe avuto pace? Quale non si sarebbe scagliata contro i coabitanti? Quale sinagoga sarebbe rimasta inviolata? Quale diritto politico non sarebbe stato sovvertito nei confronti di chi si fosse conformato alle tradizioni giudaiche?» (p. 265). Domande da cui trapelano l’angoscia e la preoccupazione per un futuro a tinte fosche.

Uno degli aspetti più rilevanti della riflessione presentata da Filone all’imperatore Caligola è relativo alla difesa della politeia della comunità ebraica, che felicemente Giorgia Lauri definisce come «il complesso di prerogative civili e religiose di cui i Giudei godevano in quanto membri di una comunità riconosciuta, ma pur sempre come una minoranza all’interno di una metropoli vastissima e multietnica. Filone vi insiste soprattutto in quanto essi sono cittadini, prima di tutto, all’interno dell’ordinamento stabilito da Mosè, e vogliono essere rilegittimati in quanto tali anche dall’autorità romana, tramite la riconferma sia dell’inviolabilità dei luoghi di culto, sia della partecipazione ai diritti politici sullo stesso piano degli Alessandrini» (p. 47).

Tale assetto politico affonda le radici nei rapporti positivi tra la comunità giudaica di Alessandria e Roma, soprattutto in riferimento ai decreti di Cesare favorevoli ai giudei e in relazione al governo di Augusto e Tiberio, che avevano accettato l’unico modo con cui i giudei potevano onorare l’imperatore, cioè offrire sacrifici al loro Dio e contestualmente all’imperatore. Tale condizione di pacifica convivenza e di reciproco rispetto era però messa in discussione dall’operato di Caligola, sicché Filone è ben consapevole del fatto che agli ambasciatori e al popolo giudaico non resta che lottare, ma non nei termini della violenza, per recuperare quella politeia ormai sfigurata, che tuttavia ha i tratti dell’instabilità.

È in una situazione così precaria e difficile che Filone sviluppa una riflessione sull’operare di Dio: «Forse questi sono modi per mettere alla prova la generazione presente, per saggiare il grado di virtù, e capire se sia stata educata a sopportare le difficoltà con animo tenace senza avvilirsi. Ebbene, qualsiasi aiuto degli uomini viene meno, e lasciamo che sia così: ma resti inoppugnabile nelle anime la speranza nel Dio salvatore, che tante volte ha salvato il nostro popolo da situazioni senza speranza né via d’uscita» (p. 195).

È questa una visione di Dio del tutto specifica di Israele, il popolo “che vede Dio”, che incondizionatamente si abbandona a Dio, che legge la storia in una prospettiva provvidenzialistica. I tragici fatti della storia sono, secondo Filone, lo stimolo ad abbracciare una comprensione più profonda delle vicende, a mantenere salda la fede in Dio che salva e a elaborare una sorta di teologia del martirio, rivolta ai correligionari e a forse anche a un più ampio spettro di destinatari, allo scopo di presentare il giudaismo in termini comprensibili e dialogici nel contesto multietnico della società del tempo.

 

Alessandro Capone –  Università del Salento. alessandro.capone@unisalento.it

Tra vangeli apocrifi e scritti gnostici

Dicembre 1945. Una scoperta casuale di antichi documenti cristiani scritti in copto, avvenuta in una zona remota dell’Alto Egitto, avrebbe Read more

Filosofia della guerra ibrida, tra pensiero occidentale e dottrina confuciana

Pagine di giornali, titoli da talk show ed articoli online: tutti, oggi, parlano di guerra. Dal conflitto russo – ucraino Read more

Povero linguaggio: ecco perché il quoziente intellettivo medio della popolazione mondiale è in declino

Il quoziente intellettivo medio della popolazione mondiale sta registrando un progressivo declino, e tra i principali fattori di questo fenomeno Read more

L’Enciclopedia Treccani compie 100 anni e racconta una storia che guarda al futuro
L'enciclopedia Treccani

Sono passati quasi 100 anni da quando, nel 1925, Giovanni Treccani, Giovanni Gentile e il troppo spesso dimenticato editore Calogero Read more

Tags: , ,
Articolo successivo
Per capire l’arte ci vuole una sedia | | Jan Fabre, dopofestival parte seconda
Articolo precedente
Mieli e le fiamme del passato

Menu