Tutto nasce nel 1946 quando un gruppo di nostalgici della Rsi decide di fondare un proprio partito: il Movimento Sociale Italiano, destinato per anni a restare fuori dall’arco costituzionale. Da lì l’idea e l’organizzazione della destra radicale mutano nel tempo, cercando di sopravvivere ai repentini cambiamenti dettati dal boom economico, dal ’68 e dal ’77 fino ad arrivare agli anni ’90.
Allo scioglimento del Movimento Sociale e con la fine della Guerra Fredda, quelli che sembravano piccoli gruppi estremisti – portatori di valori ormai sepolti – erano ormai marginalizzati. Eppure negli ultimi dieci anni sembra che l’estrema destra in Italia sia riuscita a rinascere o, meglio, a riadattarsi – in piena coerenza con il proprio percorso – a tempi che corrono.
Come si è arrivati dai Campi Hobbit degli anni ’70 al legame tra movimenti estremisti ed il principale partito di governo? Abbiamo ripercorso questa storia lunga 80 anni con Paolo Carusi, professore di Storia dei movimenti e dei partiti politici dell’Università Roma Tre.
Professore, come nasce il concetto di estrema destra in Italia?
Nel momento in cui si sviluppa la rinascita democratica del Paese, tra novembre e dicembre del 1946, un gruppo di reduci della Repubblica Sociale pone le basi per un partito che si richiami a quell’esperienza: l’aggettivo “sociale” non è casuale così come l’adozione del simbolo della fiamma tricolore.
Si tratta del richiamo a un odio imperituro verso i traditori: simboleggia la necessità di mantenere viva la fiamma dell’odio verso chi ha tradito: cioè Casa Savoia e i militari e i civili ad essa rimasti fedeli. Da questo nasce l’estrema destra che significa opposizione a tutte le forze del CLN che sarebbero diventate i partiti dell’arco costituzionale.
Il Movimento Monarchico – con le sue diverse sigle – manterrà un atteggiamento più moderato, mentre i valori dell’estrema destra vivranno per tutta la storia repubblicana nel Msi fino alla sua trasformazione in Alleanza Nazionale.
Il rapporto tra le istituzioni e i movimenti di estrema destra: il Msi quanto conosceva il sottobosco radicale nella Prima Repubblica? Come ci si rapportava?
Il Msi conosceva benissimo quei movimenti e, pubblicamente, mostrava di tollerarli a malapena. Il rapporto, in realtà, era stretto e, in alcuni casi, organico; tra i gruppi più estremi l’unico che troverà reale opposizione all’interno del partito sarà quello della ‘Nuova Destra’ di Marco Tarchi.
Si trattava di un gruppo di giovani contestatori che volevano svecchiare la cultura neofascista e che negli anni ’70 si ispirava anche a movimenti di altri Paesi, soprattutto al modello francese del GRECE di Alain de Benoist. Questo è l’unico movimento che viene realmente mal tollerato dalla segreteria (Tarchi, non a caso, nel 1981 viene espulso). Gli altri erano integrati o, comunque, collegati al partito.
Dopo i congressi che hanno portato alla nascita di AN c’è stato un passo indietro come auspicato da Fini o è continuata ad esistere una corrente estremista?
Con la nascita di Alleanza Nazionale furono fatti passi sostanziali in avanti e furono allontanati i gruppi più estremisti. I giudizi dati da Fini su fascismo ed antisemitismo furono fondamentali nella marginalizzazione dei nuclei estremi che però, in anni più recenti, sono tornati a farsi sentire e hanno trovato in Fratelli d’Italia un interlocutore.
Basti pensare alla recente vicenda di Paolo Signorelli jr: rispetto alla svolta di Fini, in questi ultimi anni si stanno registrando vistosi passi indietro.
La recente inchiesta di Fanpage ha svelato che in Gioventù Nazionale c’è ancora una radicata componente di persone animate dagli stessi sentimenti dei gruppi estremisti di un tempo?
Il discorso non può non tener conto del dato generazionale. Molti giovani di fine anni ’70 emarginati da Almirante -che dopo il caso Moro voleva fare del Msi il principale partito dell’ordine-sono oggi dirigenti e hanno mantenuto nel loro immaginario miti e riti dei Campi Hobbit e della Nuova Destra.
Oggi quell’anima sta tornando e si rinnova nei cosiddetti ‘campi estivi’ promossi da FdI. Da diverse inchieste giornalistiche emerge chiaramente come il patrimonio simbolico degli anni ’70 stia tornando di moda, generando un clima culturale molto preoccupante dal mio punto di vista.
Il fenomeno dell’Alt Right statunitense ha condizionato nei fatti l’evoluzione della nuova destra italiana?
Certamente esistono contatti tra FdI e l’Alt Right statunitense; in particolare con alcuni leader, a cominciare da Steve Bannon. Da parte italiana non mi pare ci sia una grande ricezione dal punto di vista culturale di ciò che anima l’Alt Right; al contrario sono stati i teorici italiani – penso in particolare ad Evola – ad alimentare culturalmente la destra alternativa statunitense.
Ritiene che ci sia un ‘ritrovato’ fascino per questa tendenza politica nei giovani? Chi lavora dietro alla ‘comunicazione’ di destra sui social?
Dobbiamo anzitutto rilevare che c’è un profondo vuoto culturale nella politica italiana che si manifesta in tutte le forze politiche: basta osservare il livello di istruzione dei nostri parlamentari. La politica, quando perde contenuti, appare alla cittadinanza come una serie di vuoti rituali che non riesce a generare simpatia o deferenza.
Con il calo del livello culturale prende corpo una inevitabile tendenza all’iconoclastia politica. I gruppi di estrema destra hanno sempre albergato in determinati ambienti -ad esempio, il tifo organizzato- che permettono di utilizzare impunemente (poiché si agisce in gruppo e difficilmente si è identificabili) simboli che esprimono valori in aperto contrasto con la nostra Costituzione. Con il calo del livello culturale e politico questa tendenza si rafforza e il mondo dei social media offre nuovi spazi di propaganda irresponsabile, schermata non più dal “branco”, ma dalla invisibilità data dai profili falsi.
Chi ci sia dietro alla macchina della propaganda politica sui social non è chiaro. Sappiamo, però, che menti oscure riescono a condizionare le consultazioni elettorali dei più grandi Paesi del mondo: basti pensare al referendum sulla Brexit del 2016.
La GUD è vicina ad essere bandita in Francia e un destino simile toccherà alla Fondazione Franco in Spagna. Perché c’è così tanta difficoltà nel prendere iniziative di questo tipo?
Questo è un punto complesso. Ciò che accade in questi giorni negli Usa con Trump ci dimostra che c’è sempre il rischio di una ricaduta ‘positiva’ per chi è oggetto di provvedimenti giudiziari. Chi viene sanzionato può ergersi a martire delle proprie idee e l’azione della magistratura può rivelarsi un boomerang.
Questo rischio si corre soprattutto quando parliamo di leader o partiti che godono di un grande consenso elettorale.
Oggi -ce lo dicono i risultati delle recenti europee – circa un italiano su tre vota per FdI; ciò complica l’azione della magistratura in merito a ritualità e simbologie che si richiamano al neofascismo (croci celtiche, fasci littori, saluti romani, etc.). La linea più opportuna, probabilmente, è quella adottata negli ultimi anni: far rispettare la legge nei casi di aperta violazione, ma evitare azioni che finirebbero per fare il gioco dei sostenitori delle idee estremiste.
Francesco Fatone – Giornalista