In Sicilia si dice: «L’amuri è amuri e nun è brodu di ciciri». L’amore cioè è cosa seria, serissima, tutt’altro che una pietanza con poca sostanza come il brodo di ceci. Ed è vero. Pensate a un siciliano sino al midollo come Vitaliano Brancati e al suo amore per Anna Proclemer: così puro, delicato, profondo, in una parola raro. Mai interamente ricambiato.
Lo scrittore siciliano e l’attrice triestina si conoscono verso la fine del 1941 al teatro dell’Università di Roma. Vitaliano assiste alle prove del suo atto unico Le trombe di Eustachio e Anna, diciottenne, calca la scena. È bella, elegante, fine, ed ha pure quel serafico tocco “settentrionale” che accalora ancor più gli uomini del Sud. Lo scrittore rimane incantato dal fascino della giovanissima attrice. Ai due non mancano le opportunità di incontrarsi tra una recita e l’altra, lui l’accompagna spesso a casa dopo le prove e conosce i suoi genitori. Brancati è di una gentilezza e galanteria unica, molto siciliana: la chiama “signorina”, si alza quando la vede arrivare, le dà del “lei”. Il galateo insegna che tocca alle donne concedere il “tu”, ma la differenza d’età, lui ha 34 anni, e l’ambiente artistico-letterario autorizzerebbero una deroga alla regola.
Anna ha letto Don Giovanni in Sicilia (di nascosto però, ché in casa sua lo consideravano “osceno”) e ammira lo scrittore Brancati, è gratificata dalle premure che le mostra ma si accorge del cauto corteggiamento solo una sera mentre a teatro assistono assieme all’Historie du Soldat di Igor Stravinskij. Lui per un po’ distrae lo sguardo dal palcoscenico e fissa le sue mani; lei, con imbarazzo, lo nota; Vitaliano le dice estasiato: «Non è possibile avere mani così…ma queste sono mani di un ragazzino di collegio!». Un complimento goffo, tipico di chi ha letto più libri che corteggiato ragazze. Anna, un po’ stranita per il singolare apprezzamento e per il fervore che ne accompagna la pronuncia, mantiene comunque quell’elegante e fredda compostezza settentrionale che ne accentua, agli occhi di Vitaliano, il fascino.
Nel gennaio del 1942 Vitaliano, innamoratissimo, tenta l’affondo. Vince ogni timidezza e le scrive una lettera che è una vera e propria dichiarazione d’amore. Audace e fervente. Alla sua amata per la prima volta dà del “tu”. L’incipit svela la passione, divenuta ossessiva: «Ebbene, cara Anna, la verità bisogna dirla, se no si muore. Da alcuni giorni i nostri rapporti si svolgono con dei “Come sta?” “Mi telefoni” “Ho il piacere di rivederla” “Grazie della telefonata”. E invece le cose non stanno in questi termini diplomatici. Le cose, almeno da parte mia, stanno così: da venti giorni mi sembra letteralmente d’impazzire».
Poi Vitaliano continua benedicendo le sue impareggiabili doti: «Sei la più dolce, bella, intelligente, candida ragazza del mondo», e maledicendo quella maturità anagrafica che l’allontanerebbe da lei: «Ma questi orribili anni…Perché non li ho tutti in un braccio? Me li taglierei io stesso con un coltello da cucina». Infine, lo scrittore chiude ritraendosi: se, come probabile, lei fosse già innamorata di un altro uomo, lui soffrirebbe da solo, continuando ad ammirarla e senza importunarla: «Tutti i dolori potrei sopportare per te, tranne quello di riuscirti fastidioso».
La risposta di Anna è cortese quanto gelida. E bugiarda. Nella sua lettera mantiene il distacco del “lei”, si dice “sorpresa” dei complimenti che ritiene di non meritare, non dà rilievo alla differenza d’età, ma allude a un inesistente innamoramento per un altro uomo che sente stia per nascere: «Non si tratta certo di sciocchi problemi d’età, ma di qualcosa che forse è meno grave ma certo è più inevitabile. Ed è che una voce, quella, giorno per giorno, ora per ora mi invade e giungerà presto, lo sento, alla Persuasione di cui lei parla». Vitaliano, appena riceve quella lettera – che è un’autentica “coffa” – la strappa, la riduce a brandelli. Ma non la getta. Per ricomporla dopo un po’ come un prezioso mosaico.
Lo scrittore, malgrado la delusione cocente, continua a pensarla, a trovarsela dinanzi agli occhi anche se non la vede per un po’. Per qualche mese non le scrive. Poi riprende la corrispondenza: le invia, per riallacciare il contatto, cartoline molto garbate che si concludono con formule di rito del tipo «molti cordiali saluti a Lei e ai Suoi». Il 5 giugno di quell’anno, mentre lei è a Firenze per un impegno teatrale, le scrive una lettera di rara tenerezza che rivela quanto nobile sia il suo sentimento al punto di far prevalere l’altruismo sui propri ardenti desideri: «Come va il Suo amore? Sua madre si è accorta che Lei è innamorata? … Potrei tracciarle l’itinerario che deve percorrere a Firenze una ragazza innamorata: bisognerebbe che Lei partisse verso le diciannove da piazza San Biagio e spendesse alcune ore prima di arrivare alla basilica di San Miniato al Monte. Ma si rischia di perdere la testa alcuni minuti prima di arrivare alla meta…».
Infuria la guerra: i bombardamenti, i rifugi, la scarsità dei viveri, l’occupazione tedesca di Roma nel settembre del ‘43, le perquisizioni razziali ne segnano la tragicità e spezzano la routine delle ordinarie quotidianità. Ma Anna Proclemer è spesso di scena, gira con varie compagnie, comincia ad affacciarsi nel mondo del teatro e intrattiene una relazione sentimentale col regista Gerardo Guerrieri. Fra di loro non vi è un vero amore, ma un legame studentesco e professionale. Brancati vive prevalentemente nella sua Sicilia: oltre a scrivere, per sbarcare il lunario insegna all’Istituto Magistrale. Anche la corrispondenza in tempo di guerra diventa difficile: le lettere che in quell’anno Vitaliano scrive ad Anna non arrivano a destinazione. Si chiude la parentesi bellica, tragica e devastatrice. La vita riprende, a stenti ma nutrita di speranze.
Nell’agosto del 1945 Anna scende a Catania per girare un film. È l’occasione per incontrare Vitaliano, che non vede da due anni. Quel soggiorno a Catania è per Anna assai felice. Con Vitaliano passeggiano la sera, a volte sino all’alba, in una città che lei definisce «astratta e magica». Vitaliano le fa conoscere i suoi amici; in loro Anna rivede i personaggi dei suoi romanzi, con i tic, le manie, le ossessioni, le genialità provinciali. Vitaliano le fa amare Chopin, Bellini, Keats, Leopardi. Lei subisce il suo fascino intellettuale e in quei giorni pregusta il piacere di vivergli accanto.
La scintilla dell’amore sta per accendersi anche in Anna; lo si intuisce dalla lettera che scrive a Vitaliano il 12 ottobre: «Sei così ricco, tu, così nobile e così generoso (perché temere le parole quando possiamo in coscienza pronunciarle come specchi di verità?) che anche solo il riflesso del tuo bene è per me un dono straordinario».
I due s’incontrano di nuovo a Roma e Anna è sempre più consapevole di trovarsi bene con lui vicino: un uomo così sensibile, colto, innamorato sino alla follia Anna non lo aveva mai conosciuto. Ma a dicembre decidono di sospendere la corrispondenza: Anna ha bisogno di una pausa di riflessione, è ancora legata a Gerardo Guerrieri seppure senta che quel sentimento, comunque sempre piuttosto tenue, sta per cedere dinanzi all’irrompere di un altro, assai più forte, verso un uomo non comune.
Anna scioglie i dubbi e stronca la relazione con Guerrieri; il 10 maggio scrive a Vitaliano, che affettuosamente chiama Nusso: «Come mi manchi! … Ma questa lontananza! Sento che hai bisogno di me, e so che dubbi, malumore, scoraggiamenti, svanirebbero come un fumo leggero, se potessi esserti accanto. Come ti amo Brancatino mio!». La caparbia di Vitaliano ha dato i suoi frutti: il suo pressing amoroso, le sue attenzioni, le sue lettere discrete ma dense di passione hanno vinto ogni resistenza. Dante ha ragione: «Amor ch’a nulla amato amar perdona».
Tuttavia, un cruccio tormenta l’innamoratissimo Vitaliano: il mondo del teatro e del cinema è vacuo e corrotto, pieno di legami superficiali e di insidie, Anna, ai suoi occhi così pura (tante volte la chiama “Santa”), potrebbe, per l’ingenuità che accompagna la purezza, cedere a quelle lusinghe. Le scrive persino: «Io conosco le attrici da trent’anni: il teatro le ha già deformate in alcuni punti principali: se sono oneste, hanno alle spalle un marito che vive separato, dei figli in Svizzera, un amante per bene e qualche capriccio; se non sono oneste, sono rotte a tutto, stordite dalla cocaina, orgiastiche ecc…». Quel disperato appello a lasciare il teatro non sortisce in Anna alcun effetto: per lei il mestiere d’artista è tutto, ha un richiamo più forte dell’amore, vi si immerge con smisurata passione e rigorosa professionalità, per nulla al mondo l’abbandonerebbe.
Giunge presto il giorno del matrimonio. Il 22 luglio del 1946 i due convolano a nozze a Roma nella cripta della chiesa ancora in costruzione di piazza Euclide. Con un rito cattolico, sebbene nessuno dei due fosse credente. Sono presenti i testimoni (Alfio Russo, Enrico Fulchignoni, Ciccio Gorgone) e i genitori. Non altri. I festeggiamenti si limitano a un aperitivo in un bar di viale Parioli e a una cena a piazza Navona. I novelli sposi vanno a vivere nella casa dei genitori di lei a Roma. Non vi è, come non stupisce in una coppia così poco convenzionale, la prima notte di nozze. Il matrimonio è “consumato” qualche giorno dopo in un albergo di Taormina.
A settembre Anna si accorge di essere incinta, ma lo comunica al marito dopo qualche giorno con un telegramma che gli invia a Catania il 28 novembre: «Annina, dieci minuti fa ho ricevuto il tuo telegramma. – risponde Brancati – Non ti dico la felicità dei miei: così forte da somigliare all’angoscia. Era giusto che questa felicissima notizia portasse in calce il tuo nome – di te, amore mio, che sei per me la felicità».
Il 6 maggio del 1947 nasce il frutto del loro amore, Antonia. È una bimba bellissima, quieta e piena di allegria, almeno agli occhi dei genitori che sono felici di pensare che non abbia ereditato la malinconia del padre e l’ombrosità della madre. Nel loro quadretto domestico, oltre ad Atonia, vi è posto per un’altra piccola creatura: una cagnolina di rinomato pedigree comprata a un prezzo salatissimo che chiamano Nina. Nina, che si aggira per casa tra le tazze di tè e a volte, dorme nel letto matrimoniale, allieta i loro giorni di vita familiare. Che però sono rari. Anna gira per l’Italia con qualche capatina pure in Europa: è sempre più impegnata in tournee teatrali e in set cinematografici, si fa notare anche come doppiatrice e come lettrice alla radio, è apprezzata persino nel ruolo di corrispondente italiana all’estero, specie in Inghilterra.
Vitaliano fa la spola tra Roma e la Sicilia, dove continua con non pochi sacrifici a insegnare. Nell’Italia del Dopoguerra se, da un lato, si corre verso la ripresa con entusiasmi e fermenti anche culturali, dall’altro non si naviga nell’oro e persino uno scrittore affermato come Brancati non può fare a meno del pur modesto stipendio statale di docente nelle scuole superiori. Per arrotondare lo scrittore si avvicina anche al cinema: agli inizi della sua attività di sceneggiatore vi è la collaborazione col regista Luigi Zampa che dirige il film Anni difficili tratto dal suo racconto satirico sull’Italia fascista Il vecchio con gli stivali.
Vitaliano e Anna sono sì sposati e hanno una figlia, ma la loro vita comune è assai frammentaria. La piccola Antonia vive più con il padre che con la madre, che vede poco. Anna stessa ammetterà di non essere stata, così assente e troppo coinvolta nella sua vita professionale, una buona madre. Nel maggio del 1947, pochi giorni dopo la nascita di Antonia, Vitaliano ha una leggera bronchite da cui guarisce rapidamente. Ma quella lieve malattia costituisce l’occasione per effettuare una radiografia del torace. Si scopre così che ha una macchia nel polmone sinistro. I medici diagnosticano una cisti ma escludono che si tratti di un tumore maligno.
Malgrado le sempre più frequenti lontananze, Vitaliano è felice di avere sposato Anna: «La fortuna di averti per moglie mi sembra troppo grande e, superstizioso come sono, penso a qualcosa da buttare in bocca al malevolo e invidioso destino: è allora che la cisti, la necessità di doverla un giorno o l’altro estirpare e i pericoli che dovrò correre, mi si presentano come una piacevolissima multa». A rileggere l’ultima parte di questo brano, col senno del poi e cioè considerando gli sviluppi di quella cisti, la lettera di Vitaliano si ricopre di un’ironia molto amara. Il 29 febbraio del 1948 Anna invia a Vitaliano una lettera nella quale trascrive, rielaborandolo, un colloquio da lei avuto con una governante della piccola Antonia, una donna severa, riservata, piena di pudori. Quella lettera ispira Brancati per un testo teatrale, che si intitolerà La governante e che lo scrittore di Pachino ritaglia per l’interpretazione della Proclemer. Il dialogo della lettera della moglie verrà riportato quasi integralmente in un passo dell’opera. La governante, che costituirà la principale opera teatrale di Brancati, testimonia l’accettazione da parte di Vitaliano del ruolo di attrice della moglie. D’altra parte, non poteva fare altro che rassegnarsi. La Proclemer stessa dichiarerà che quella commedia «era una dichiarazione d’amore per me attrice». Lo scrittore ammira la moglie anche come attrice, è il primo dei suoi fan. Per lei scriverà anche alcune parti in copioni di film, ed è singolare il fatto che Brancati destini alla moglie, che nella vita eleva a simbolo di purezza e candore, personaggi un po’ scabrosi o comunque ambigui, come la prostituta in un film o appunto la governante, che è una donna omosessuale.
Per capirlo probabilmente occorrerebbe uno psicologo. Un’altra commedia di Brancati, meno fortunata, Una donna di casa, pare in qualche misura trasfigurare, tramite un’inconscia e imperscrutabile rielaborazione mentale, la relazione coniugale con Anna: si racconta di una moglie apparentemente scialba e insignificante che scrive all’insaputa del marito i testi teatrali che lui, rozzo e quasi indifferente alla donna che lo ama tantissimo, recita da protagonista calcando le scene teatrali. Fermi restando l’amore incommensurabile di Vitaliano per Anna e la sua predilezione per quella donna per lui angelica, ci si chiede se scrivendo Una donna di casa Brancati nel sommerso della sua psiche consumi una vendetta contro l’attrice che, per eccesso di amore del suo mestiere, trascura la vita matrimoniale. Alla psicanalisi l’ardua sentenza.
La vita coniugale, comunque, man mano che passano gli anni diventa sempre più povera. Vitaliano continua a scrivere alla moglie con la passione di sempre e la figlia cresce, educata con l’ausilio dei migliori istruttori. Nelle lettere di Vitaliano è quasi sempre presente la piccola: «La pupina sta bene. Il cucciolotto vola per le strade dell’Etna e non sa cosa voglia dire fermarsi», «Ho comprato per la piccolina un asciugamano da bagno, tre asciugamani di spugna e due di filo molto belli», «La piccolina sta bene. Oggi è andata all’ultima lezione di ballo di quest’anno e ha portato dei fiori alla sua maestra». Vitaliano ha premure persino per i genitori di Anna, trascurati anche loro per colpa della frenetica vita di attrice: «Scrivi a tua madre per piacere. Nelle tue lettere, invento dei saluti per lei che in realtà non ci sono».
Quando sono a Roma i due frequentano il salotto della Bellonci e Vitaliano, qualche volta in compagnia di Anna, si reca presso i ritrovi di via Veneto. Sui protagonisti dei mitici incontri di via Veneto dirà la Proclemer: «Erano tutto fuorché “intellettuali” le conversazioni di questi intellettuali che si riunivano due volte al giorno in via Veneto…Io con loro mi annoiavo. Non capivo la loro frivolezza».
Nel 1949 i due coniugi si concedono un viaggio in Inghilterra. È il loro primo viaggio all’estero insieme: entrambi amano l’Inghilterra per le sue consolidate radici democratiche e per lo spirito di libertà che vi si respira. Ma due anni dopo Anna, incaricata di scrivere per un periodico un reportage su quel Paese, in Inghilterra ci va da sola e ha un’avventura extraconiugale con il poeta e drammaturgo Ronald Duncan. Nulla di importante, nessuna complicazione sentimentale, ma un segno di cambiamento in Anna: il suo amore per Vitaliano, non ritemprato da una significativa vita in comune, si va affievolendo.
Assai diverso è il sentimento di Vitaliano. Le scrive sempre, seguendo con entusiasmo i suoi successi professionali: «Nel secondo lustro del nostro matrimonio, mi trovo innamorato di te come mai», «Amore mio, che felicità averti per moglie!». Anche lo scrittore Brancati è baciato dal successo: dopo Il bell’Antonio (titolo inventato da Leo Longanesi, quello proposto dall’autore è Il gallo non ha cantato), che nel 1950 vince il premio Bagutta, inizia la stesura di Paolo il caldo. Nel giugno del 1952 Vitaliano da Firenze scrive alla moglie: «Vorrei cominciare il mio nuovo romanzo con queste parole autobiografiche: “Sono seduto sulla terrazza del Baglioni, innamorato di mia moglie!”».
E quello sarà l’incipit di Paolo il caldo, che verrà pubblicato dopo la sua morte. Nello stesso anno pubblica La governante e la commedia è colpita dalla censura. Quel testo teatrale punta l’indice accusatorio sul perbenismo ipocrita dei cattolici, sul conformismo filocomunista, sulla Sicilia baronale e affronta il tema, allora scabroso, dell’omosessualità. Brancati reagisce scrivendo un elegante ma corrosivo pamphlet dal titolo eloquente, Ritorno alla censura. Le vicissitudini della censura avvicinano i due coniugi. Anna gli è molto solidale e si batte, assieme al marito, per rimuovere quel marchio indice dell’ottusità e del falso moralismo dell’epoca. Gli sono vicini gli ambienti culturali autenticamente liberali e progressisti, minoranze però in un Paese allora diviso tra il cattolicesimo democristiano e una sinistra troppo legata a stereotipi marxisti e poco sensibile alle istanze di libertà.
Anna Proclemer, sempre più lanciata nel teatro, inizia un nuovo sodalizio artistico con Vittorio Gassman, foriero di ulteriori affermazioni. Il “mattatore” è uno dei principali protagonisti del teatro e del cinema italiano, e per Anna è un partner di prestigio. È l’incontro tra due anime votate al teatro. La loro intesa va anche al di là della scena. Sul suo rapporto con Gassman la Proclemer scriverà: «Abbiamo lavorato insieme per tre stagioni consecutive. Abbiamo discusso di teatro per notti intere, abbiamo lottato per le stesse cose, riso per le stesse cose…Non siamo andati a letto insieme perché a me un’avventura con Vittorio non interessava e lui di un eventuale amore aveva paura». Come può non essere geloso il sicilianissimo Vitaliano? Sicuramente lo è, e probabilmente per non contraddire l’immagine angelica che si è creato di Anna da quando l’ha conosciuta evita di manifestare rancori e nega a sé stesso i moti di gelosia che lo attanagliano.
Malgrado il matrimonio mostri tante crepe (ma Vitaliano è troppo prigioniero del suo nobile amore per accorgersene), la coppia progetta di comprare a Roma una casa dove vivere insieme lasciando l’abitazione dei genitori di Anna. Nell’autunno del 1953 i due si stabiliscono nell’appartamento di via Fleming, appena acquistato, e cominciano ad arredarlo. Ma quell’appartamento da cui s’intravede il Tevere e con camere che regalano la veduta di viali di pini – assai romantico per due innamorati – è la loro dimora coniugale per un brevissimo tempo. Anna si accorge di essere cambiata. Ha trent’anni, avverte di avere acquisito una maturità che prima le mancava. Comprende che per lei non ha più senso vivere con Vitaliano, che il loro rapporto si è logorato, non di certo per mancanza di amore del marito, ma perché la vita di attrice ha offuscato i suoi sentimenti. Adesso sente il bisogno di vivere da sola, di riacquistare quella libertà e quell’indipendenza che il vincolo coniugale le impedirebbero.
Comunicarlo e spiegarlo al marito non è facile. Una sera gli dice bruscamente: «Così non si può continuare. Separiamoci». Vitaliano è smarrito, casca dalle nuvole, non capisce, chiede spiegazioni. Anna non riesce a motivare la sua decisione: è troppo difficile far capire a quell’uomo innamorato come il primo giorno che la vide recitare al teatro dell’Università il suo desiderio di libertà.
Vitaliano non comprenderebbe comunque e immaginerebbe che dietro quella decisione vi sia un nuovo amore. E Anna, per sciogliere il legame, sceglie la soluzione meno complicata, ma anche meno docile, più dolorosa per il marito: dichiara, mentendo, che si è innamorata di un altro. Il cerchio si chiude, così come si era aperto: con la menzogna di un altro amore. Anna ricorre alla stessa bugia con la quale aveva freddato Vitaliano rispondendo alla sua prima lettera d’amore. Si conclude così la storia d’amore tra Vitaliano e Anna, ed è un finale gelido segnato da un dolore rappreso e muto. La loro è una storia d’amore troppo a senso unico per infiammarsi, se non in pochi momenti, nella passione pienamente condivisa.
Dirà la Proclemer: «Tra noi l’affetto era profondissimo, ma la confidenza assai scarsa. Troppi riserbi, tra noi; troppa diplomazia, e civiltà, e delicatezza, e prudenza, e pudore. Sono qualità, in sé, preziose. Pericolose in un rapporto». Anna va a vivere da sola in una vecchia casa dei nonni, Vitaliano rimane con Antonia nell’appartamento di via Fleming. Si può immaginare la sofferenza di Brancati, la cocente delusione che si riflette anche nella vita di scrittore: la stesura di Paolo il caldo va a rilento, Vitaliano non riesce a concentrarsi, scrive e poi strappa, insoddisfatto, le pagine di un romanzo che non decolla, la fantasia è annebbiata, inibita da una nevrosi incombente.
Per un po’ di tempo non si vedono. Poi si frequentano saltuariamente: Anna lo va a trovare in via Fleming, e con lui va trovare Antonia, che solo per brevi periodi rimane con la madre; Vitaliano ricambia le visite nella sua nuova casa. A volte cenano insieme e conversano pacatamente di teatro, cinema, letteratura. Ma vi è sempre molto imbarazzo tra loro, anche se qualche pomeriggio si recano nei caffè di via Veneto unendosi al gruppo “storico” degli intellettuali che li frequentano.
Nel settembre del 1954 Vitaliano si ricovera in una clinica torinese per sottoporsi a un intervento chirurgico: è arrivato il momento, a detta dei medici, di rimuovere quella cisti benigna che si era nel frattempo estesa. Anna è con lui nella camera della clinica dove dovranno operarlo. Il giorno prima dell’intervento ricopre le pareti della stanza con riproduzioni di celebri dipinti. Nella stanza vi è un balcone che dà sulla piazza. Vi si affacciano e lui nota un tram che sta per passare. Ha il numero 12, il numero che Vitaliano, superstizioso da sempre, crede che gli porti fortuna. Se ne rallegra. Ma non legge la scritta della destinazione del tram: «Cimitero». Il giorno dopo lo operano e muore sotto i ferri. È il 25 settembre.
Anna continuerà a calcare le scene teatrali con successo. Solo nel 1963 a Parigi potrà recitare da protagonista La governante. In Italia due anni dopo accanto a Giorgio Albertazzi, con cui dividerà per circa un ventennio la sua vita artistica e sentimentale. Morirà a 89 anni a Roma il 25 aprile del 2013. Ma prima scriverà a Brancati l’ultima lettera, intitolata Lettera d’amore in ritardo. Vi si legge: «Tu solo, con la tua intransigenza, con il tuo amore per la Ragione, con il tuo disgusto per il servilismo fanatico, tu solo avresti potuto distinguere l’effimero dal permanente, la moda dalla necessità profonda, la vampata pittorescamente rivoluzionaria da un’autentica trasformazione della coscienza e della società…Mi manchi Nuzzo. Mi manchi terribilmente. Anche se nostra figlia Antonia, che ha ereditato da te smalto intellettuale e passione morale (e da me solo confuse nevrosi) mi aiuta, qualche volta, a guardare il mondo con un po’ di ironico distacco».
Antonino Cangemi – Giornalista e Scrittore