In questi ultimi giorni abbiamo appreso dai giornali che le nostre bollette, finalmente, avranno importi più bassi, e questa è una buona notizia. Ma abbiamo anche visto che l’Europa intende proseguire non solo con lo stop alla vendita delle automobili con motori termici dal 2035 ma anche con la direttiva relativa alle “case green”: queste ultime due questioni, invece, destano particolare preoccupazione all’Italia sia in quanto produttrice di automobili sia per il fatto che è lo Stato europeo con il maggior numero di persone proprietarie di immobili. Per capirne di più, abbiamo chiesto al professor Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia, società indipendente di ricerca in campo energetico fondata nel 2006.
Professor Tabarelli, dopo gli aumenti nelle bollette delle famiglie dei mesi passati, leggiamo sui giornali che, invece, in quelle di adesso, gli importi saranno addirittura dimezzati: cosa sta succedendo?
Le bollette sono quelle dell’elettricità che registrano questa caduta del prezzo internazionale del gas, che ha trascinato al ribasso anche quello elettrico, con l’effetto che le bollette tornano a dei livelli normali precedenti alla crisi. A questo si aggiunge la scelta politica del governo che è stata quella di restituire tutto al consumatore finale, anche l’ultimo ribasso della corsa del prezzo internazionale all’ingrosso sia dell’elettricità sia del gas, nonostante ci sia un problema di oneri di sistema, e di altre componenti, che si trovano sempre sulle bollette, che andrebbero restituiti e che, invece, paghiamo tutti noi con il debito. La scelta è stata di far sì che, tra un mese, l’inflazione scenda al 6 -7%. Insomma, è la crisi che, in questo momento, si va sgonfiando.
Quindi il debito italiano aumenterà ancora?
No, no, l’anno scorso noi, per contenere i rialzi delle bollette abbiamo spostato alcune componenti parafiscali dalle bollette al debito statale, che finanzia lo stato ogni trimestre, e questo riguarda gli oneri extra e para fiscali e sono soprattutto gli incentivi alle fonti rinnovabili: è stato deciso di trasferire pochi di questi oneri in bolletta e lasciarne ancora il grosso sul debito statale.
Non molto tempo fa, dalle pagine di questo magazine, lei sottolineava, per primo, l’importanza che l’Italia diventasse un hub del gas in Europa e, ultimamente, questo concetto è stato espresso dai nostri politici: a che punto siamo con la realizzazione di questo progetto?
È un progetto che, innanzitutto, necessita di tempo. Abbiamo, ad esempio, un’infrastruttura fondamentale che ci ha aiutato, ed è il gasdotto con l’Algeria, concepito quasi settant’anni fa, addirittura da Enrico Mattei, ed entrato in funzione nel 1982 giacché sin da allora, i tempi erano questi. Perciò ora ci vorrà del tempo. Occorre sottolineare che, nel contempo, la crisi ci ha obbligati ad essere più tempestivi e così, facendo di necessità virtù, abbiamo visto arrivare la prima infrastruttura di grande importanza in campo energetico, ovvero la nave Golar Tundra, al porto di Piombino il 19 marzo: veder arrivare un’infrastruttura così importante a Piombino, a solo un anno e mezzo dalla decisione di averla, e nonostante ci siano ancora delle difficoltà, è una notizia estremamente positiva.
Nomisma Energia sostiene che l’Europa deve dotarsi di un sistema di gasdotti: cosa si sta facendo per attuare questo?
In Europa, purtroppo, abbiamo delle grandi difficoltà perché attualmente abbiamo una Commissione, e un Parlamento, proiettati pesantemente sulla transizione ecologica, e sul cambiamento delle fonti energetiche, facendo a meno del gas. Il problema è la dicotomia tra quello che si potrà fare entro i prossimi anni e la necessità, di adesso, di fare investimenti, e anche contratti di lungo termine, con i Paesi che esportano gas. In sostanza si possono fare più rigassificatori, o più “tubi” di trasporto del gas, ma questi devono essere sostenuti da contratti di lungo termine con coloro che esportano gas: si sta facendo questo in ritardo e i Paesi produttori non investono sul gas se noi europei gli diciamo che tra otto anni faremo a meno del gas.
Questa è la contraddizione nella quale ci troviamo ora.
Proprio così. Vedere la Cina che firma un contratto ventennale per acquistare gas liquefatto dagli Stati Uniti mentre noi diciamo sì alle infrastrutture ma senza sottoscrivere contratti di questi tipo ci dà il senso di questa dicotomia tutta europea. Nel mondo c’è tantissimo gas ed è necessario fare investimenti sia per estrarlo sia per portarlo da noi in Europa. E, ad esempio, tornando all’Italia, che ha molte coste, sembra quasi fantascienza ritirare fuori un progetto italiano che si chiama “Gasdotto Algeria – Sardegna Italia” (Galsi, n.d.R.), nato dieci anni fa e poi messo da parte, che riguardava molto la Sardegna, l’unica zona d’Europa senza gas, che si trova di fronte all’Algeria: questo progetto, che piaceva molto ai tedeschi i quali avendo bisogno di 55 miliardi di metri cubi di gas non possono fare solo dei rigassificatori, potrebbe essere una prima soluzione. Ma poi, quando andiamo dagli Algerini insieme con i nostri rappresentanti europei parliamo di transizione energetica, di abbandono del gas e di idrogeno verde che sono tutte cose ipotetiche e piuttosto distanti dalla realtà. Noi dobbiamo senz’altro realizzare la transizione ecologica ma abbiamo anche bisogno di utilizzare gas nei prossimi anni perché la transizione ecologica necessita di decenni.
E, in linea con quanto ci sta dicendo, sempre da Nomisma Energia, a fine marzo, veniva lanciato l’allarme circa possibili blackout nel corso dell’estate ormai prossima, qualora si verifichino temperature calde come quelle del 2022: le rinnovabili, che producono parte dell’energia elettrica che consumiamo, non sono fonti stabili e anche faticosamente complicate nel loro processo di produzione, è corretto?
Sì, certo. Quest’anno, in Europa, faremo i 50 anni dal primo shock energetico, avvenuto appunto nel 1973, a seguito del quale abbiamo iniziato a cercare di utilizzare più energie rinnovabili al posto di petrolio e altri fossili pensando non solo al cambiamento climatico. La prima fonte di produzione di energia da rinnovabili è senza dubbio l’idroelettrico sia nel mondo, sia in Europa sia in Italia ma, con l’attuale siccità, c’è stata una caduta del 30/40% della produzione idroelettrica europea, e la situazione è critica anche per la prossima estate in cui non cambierà molto e avremo quindi poca produzione “rinnovabile”.
Quali sono i dati del 2022?
I dati dell’anno scorso sono molto chiari: nel 2022, l’anno della crisi russa nel quale avevamo bisogno di più energia da fonti rinnovabili che ovviamente potevano essere utili, abbiamo avuto il calo della produzione idroelettrica di 17 miliardi di chilowatt/ore, cioè un 36% in meno, mentre abbiamo avuto un aumento di solo 3 miliardi di chilowatt/ore dell’eolico e del fotovoltaico, la coppia di rinnovabili nuove che, purtroppo, non è sufficiente. Le rinnovabili si muovono con estrema lentezza e, anche se dovessimo raggiungere gli obiettivi estremamente ambiziosi che ci siamo dati al 2030 avremmo bisogno, comunque, del gas per integrare. Se consideriamo anche che stiamo abbandonando il carbone e il nucleare, come in Germania, è fuor di dubbio che avremo bisogno di maggiori quantità di gas.
Cosa pensa della direttiva della UE sulle “case green” che riguarda gli edifici pubblici e privati e prevede, tra le varie cose, che le nuove costruzioni dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028?
Non è la cosa più eclatante della fuga in avanti dell’Europa sulla transizione verde, somiglia molto a quella dell’obbligo della fine della vendita di auto con motore a combustione interna a favore della diffusione dell’auto elettrica che è molto adatta per l’ambito urbano ma molto meno per le lunghe percorrenze, prevede molti step di adeguamento delle strutture di rifornimento e quindi, essendo una vera e propria rivoluzione, richiede tempo. Questa Commissione ha sancito l’obiettivo della transizione ecologica, cosa che è molto ambiziosa se non irrealista. Si cerca, quindi, di fare qualcosa e questa delle case verdi è un’altra di queste in cui si vuole vietare di usare il gas per riscaldarsi, ma noi, in Italia, abbiamo appena completato, anche con il bonus 110%, la sistemazione e il miglioramento delle abitazioni, specie in termini di efficienza energetica con la diffusione delle caldaie a condensazione che usano, appunto, il gas. Non è possibile pensare che oltre 25 milioni di abitazioni che abbiamo nel nostro Paese, si riscaldino solo con pompe di calore le quali, ci dobbiamo ricordare, si alimentano con l’energia elettrica che, al momento, viene comunque prodotta con il gas!
Dunque, il gas si conferma ancora oggi come elemento base per la transizione energetica?
Credo che non sarà solo per la transizione energetica in sé ma anche per il futuro: con le rinnovabili, da sole, senza una base programmatica di energia, tipo il nucleare, vecchio o nuovo che sarà, o il gas, non potremo farcela.
Eleonora Viola – Giornalista