È l’espressione ricorrente che si legge nel calendario in occasione della Domenica in cui la Chiesa celebra Gesù, il Risorto. È un’espressione che troviamo anche nelle liturgie e nella teologia; insomma nel linguaggio della Chiesa. Ma che cosa significa «Pasqua di Resurrezione»? Certamente molti ne colgono il senso forse per reminiscenza catechistica, ma vale anche la pena cercarne il significato e la motivazione più profondi.
Nella Liturgia cattolica i due termini – Pasqua e Resurrezione – vanno uniti e fanno riferimento a due straordinari eventi che conviene brevemente richiamare. Anzitutto la parola «Pasqua», originaria dall’aramaico pashā’ (in ebraico pesach), è usata nella Bibbia (Es 12, 21) per ricordare il «passaggio di Dio» e l’«esodo» degli ebrei dall’Egitto; è una festa di grande importanza, ricca di riti familiari e sacri. Gesù e la sua famiglia naturale devotamente la celebravano ogni anno come era ed è tradizione nelle famiglie ebraiche osservanti ancora oggi.
La celebrazione diventa memoria, racconto, preghiera di gratitudine e di lode all’Eterno per l’intervento in favore del ‘suo’ popolo. Non è un’epopea, perché la Pasqua tocca concretamente la vita di ogni buon ebreo, tanto da legarlo a Dio in eterna Alleanza, e viceversa; ma anche alla terra in cui fu introdotto e che lascerà in eredità ai propri figli; la Pasqua è celebrazione attorno alla Parola di Dio; è cammino perenne.
Gesù assume, ma poi anche trascende, il significato di quella solennità ebraica, l’ultima della sua vita; tanto che non solo non volle ignorarla pur essendo ‘ricercato’ dal Sinedrio, ma, la celebrò “con profondo desiderio” (Desiderio desideravi – Lc 22, 15) insieme ai Dodici, la sua nuova famiglia, in ossequio allo stile delle cosiddette chaburot (le riunione per i pellegrini che andavano a Gerusalemme per la circostanza); durante quella Cena, Gesù introduce qualcosa di imprevisto rispetto alla prassi: rende grazie all’Eterno e offre ai Dodici il suo «Corpo» e il suo «Sangue» nella materia concreta del «pane» e del «vino», in segno di nuova Alleanza.
Quel «Gesto» di Gesù è un’importante novità e permetterà alla Comunità apostolica, non solo di formarsi attorno al Risorto ed essere consacrata con la venuta dello Spirito Santo, ma anche di essere costituita, in quanto Ekklesìa, cioè Comunità di fedeli, e di ripeterlo; quel «Gesto» è anche «Dono» di Dio per noi e ciò nell’amicizia di Gesù Cristo, di Colui che perdona e permette all’umanità di accoglierlo come espressione dell’amore di Dio stesso e di restituirlo a Dio; insomma: amore e sacrificio si fondono.
Benedetto XVI ha scritto che in ogni celebrazione dell’Eucaristia sono anche presenti tutte le correnti dall’Antica Alleanza e, in qualche modo, anche la segreta attesa di tutte le religioni (Temi di teologia dommatica, in Che cos’è il cristianesimo).
Quando diciamo di «Resurrezione» il riferimento è al corpo di Cristo in cui la vita umana non c’era più. Gesù viene deposto in un sepolcro. Era ormai prossimo l’inizio dello Shabbat, il Sabato in cui nulla può essere fatto, corrispondente a quel settimo giorno nel quale, dopo la creazione, Dio si «riposò». Gesù lo rispetta nel silenzio della morte; è il giorno del riposo sabatico, apparentemente un tempo «inattivo».
Per la Liturgia cattolica, quel «Sabato» (Santo) è divenuto il giorno della meditazione, dell’intimo dolore, quello in cui ritornano alla mente tutti i ricordi, le parole, i tanti perché che accompagnano i momenti estremi, come quelli della morte. Questo fino al primo giorno della settimana dopo il Sabato, che per i cristiani è la Domenica e per la Sacra Scrittura corrisponde al giorno della creazione della luce (cfr. Gen 1, 5). Una analogia non casuale!
In quel giorno, il primo della settimana, ebbe luogo l’inatteso, l’inaudito, l’evento più sconvolgente: la Resurrezione di Cristo.
«Chi cercate?». Fu l’interrogativo posto a coloro, donne e uomini che erano andati a trovare un defunto. Gli unici presenti al momento della Resurrezione erano stati i soldati, ma poi erano fuggiti sconvolti, per riferirne a coloro che li avevano messi di custodia.
Ora il Cristo risorto diviene lo spazio dell’adorazione di Dio, commenta Benedetto XVI; nasce la fede cristiana e si attua la nostra inclusione nel nuovo «Corpo», che unisce definitivamente ogni battezzato al Risorto. Ecco la Pasqua di Resurrezione. Nella fede cristiana, la morte di Gesù (il quale benché giusto non chiede giustizia e perdona) è l’atto d’amore più radicale nel quale si compie realmente la riconciliazione fra Dio ed un mondo segnato dal peccato, e la Resurrezione è l’evento più sublime dell’opera di Dio.
L’evento della Resurrezione ci ricorda che Cristo trascende in sé la natura e la storia umana, e, nella novità del suo essere il Vivente, la nostra conversione al Signore racchiude una gloria incomparabile (cfr. Eb 3, 10.16).
È nella Pasqua di Resurrezione che il Risorto offre a noi, come le donne pie e i discepoli, un’«eredità»: entrare nella sua amicizia ed essere destinati ad una missione di fede e di elevata carità. Quel Sepolcro in cui il Figlio di Dio aveva deposto il peso della nostra umanità peccatrice e dolorante, diviene il luogo d’inizio della vita nuova in Lui, della speranza per tutte le moltitudini.
In quanto Figlio di Dio, dice la Lettera agli Ebrei, “Cristo (…) fu posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo” (Eb 3, 6).
Buona Pasqua di Resurrezione! Un tempo di grazia!
Fernando Card. Filoni – Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro