Lo scorso aprile, dopo trent’anni di impunità, di incertezze giudiziarie e di inquinamento di indagini, la magistratura argentina ha dichiarato che la responsabilità del più grave attentato terroristico subito dal Paese è da attribuire all’Iran e al gruppo libanese di Hezbollah. Ieri l’Argentina, per il trentennale di quell’attacco al cuore del Paese, ha ricordato le 85 vittime dell’esplosione che rase al suolo la sede della Associazione Israelo argentina nel quartiere Once di Buenos Aires.
Le lancette dell’orologio non sono ancora sovrapposte sulle ore 10 quando un furgone carico di tritolo esplode nei sotterranei del centro ebraico “Associazione Mutualità Israelita Argentina (AMIA)”, cuore pulsante della Comunità ebraica di Buenos Aires, fondato esattamente cento anni prima. Il bilancio è terribile, 85 morti e 300 feriti. Si tratta del più grave attentato terroristico di sempre e si verifica proprio a pochi passi dal luogo in cui il 10 gennaio del 1919, durante la Semana Tragica, si verificò un violentissimo pogrom messo in atto dai miliziani della Lega Patriottica Argentina, un movimento paramilitare di estrema destra, che con l’appoggio delle forze di polizia assaltarono i quartieri Once e Villa Crespo per colpire la comunità ebraica lì residente.
Quella mattina del 18 luglio 1994, il Paese e la comunità ebraica argentina (la più grande del continente dopo quella statunitense) erano ancora scossi dal violento attentato subito due anni prima, quando un attentato terroristico suicida da parte della Jihad islamica libanese (responsabile, tra l’altro, dell’attentato all’ambasciata di Beirut del 1983) contro l’ambasciata israeliana di Buenos Aires aveva causato 30 morti e oltre duecento feriti.
Qualche minuto prima delle dieci un boato rimbomba per tutta Buenos Aires. Per la seconda volta nell’arco di due anni l’Argentina diventa così il teatro di due tragici eventi, di cui però il secondo, a differenza dell’attentato all’ambasciata, si caratterizza sin da subito per le indagini ritardate e per i tentativi di insabbiamento. Per questi tentativi fu messa sotto accusa, tra gli altri, anche Cristina Fernández de Kirchner, Presidente dell’Argentina dal 10 dicembre 2007 al 10 dicembre 2015. Secondo, infatti, le indagini portate avanti dal procuratore federale argentino Alberto Nisman, l’ex Presidente era accusata, al fine di avere favori sul petrolio, di avere cospirato per insabbiare un’indagine sul ruolo dell’Iran nell’attentato del ’94. Secondo il procuratore “il piano criminale comprendeva la creazione di una nuova ipotesi di reato basata su prove false per dirottare le indagini giudiziarie verso imputati inventati, allo scopo di rimuovere qualsiasi responsabilità penale dai sospetti iraniani”. Tuttavia, con la morte di Nisman (per cui nel dicembre del 2017 la Giustizia argentina ha stabilito che fu ucciso), la richiesta di incriminazione contro la Kirchner e i suoi membri di governo venne ritirata.
Nell’aprile di questo anno c’è stata però una prima svolta con la sentenza della Corte federale di Cassazione penale che parzialmente restituisce un briciolo di giustizia ai parenti delle vittime del sanguinario attentato del 18 luglio 1994, stabilendo che la responsabilità del più grave attentato terroristico subito dal Paese è da attribuire all’Iran e al gruppo libanese di Hezbollah.
La Corte nella sentenza ha, inoltre, dichiarato che l’attentato al centro ebraico unito a quello dell’ambasciata del 1992 “rispondevano entrambi a un disegno politico e strategico” della Repubblica islamica dell’Iran e realizzati appunto dall’organizzazione terroristica Hezbollah, definendo l’accaduto “un crimine contro l’umanità”, e, riconoscendo esplicitamente “i tentativi di insabbiamento”, ha sottolineato che, trattandosi di reati imprescrittibili, i responsabili ancora oggi possono essere perseguiti in ogni parte del mondo.
Così, dopo trent’anni, quello di ieri è stato il primo anniversario in cui si conoscono almeno i mandanti e l’organizzazione che ha realizzato il terribile attentato. Ora, il prossimo passo, quello più delicato e che il popolo argentino chiede con forza da decenni, sarà definire i responsabili che nel corso degli anni hanno depistato le indagini. Solo allora le vittime e i loro parenti potranno dire di aver avuto davvero giustizia.
Francesco Spartà – Giornalista e Teaching Assistant