La notizia della reintroduzione dell’insegnamento del latino nella scuola media non può che fare piacere, e bene ha fatto su questo sito Bruno Giurato a esprimere il suo apprezzamento per tale scelta, che nasce dai lavori di una qualificatissima commissione di esperti e non da un’iniziativa estemporanea del ministro Valditara, il quale per altro avrebbe tutti i titoli in materia, essendo stato uno dei più giovani docenti di storia del diritto romano nell’università italiana.
Il latino, come osserva Giurato, serve; e non tanto “a far ragionare”, affermazione generica che può significare tutto e nulla, ma in quanto la sua conoscenza è fondamentale per una piena comprensione dell’italiano e anche di altre lingue romanze, oltre a costituire un supporto necessario alla padronanza del linguaggio giuridico. Un ispettore del ministero dell’allora Ministero dell’Istruzione, che aveva studiato il latino solo alle medie, perché in seguito si era diplomato all’istituto nautico per poi laurearsi in discipline scientifiche, confidò tanti anni fa a chi scrive che la conoscenza dei rudimenti di tale lingua gli era stata utilissima quando, nell’ambito del concorso ispettivo, si era dovuto preparare per l’esame di legislazione scolastica.

Brocardi come lex superior derogat inferiori o lex posterior derogat priori aiutano a comprendere rapidamente la gerarchia delle fonti e massime come unus testis, nullus testis, se applicate correttamente, avrebbero potuto risparmiare il carcere a molti innocenti.Viva il latino alle medie, dunque. Ma quanto e come? E, soprattutto, con quali insegnanti? Qui il discorso si fa scabroso.
Nonostante il clamore e in certi casi l’allarme suscitato, nelle indicazioni della commissione il latino entra alle medie in punta di piedi, facoltativo e per giunta con un’ora sola settimanale. Il governo di centrodestra del 2025 reintroduce l’insegnamento della nostra lingua madre in una forma assai più blanda di quanto aveva fatto a suo tempo anni fa la coalizione di centrosinistra che istituì la scuola media unica. La riforma varata nel 1962 prevedeva il latino come materia obbligatoria in seconda, facoltativa in terza.
Nel 1972 Oscar Luigi Scalfaro, ministro della Pubblica Istruzione nel governo Andreotti-Malagodi, ne propose un compiuto ritorno alle medie, ma senza successo; anzi, sei anni dopo, nell’ambito di una più vasta riforma di quest’ordine di studi, la materia fu cacciata a furor di popolo, con immaginabili conseguenze sulla preparazione di chi, finita la scuola dell’obbligo, si sarebbe iscritto al liceo o all’istituto magistrale.

Chi scrive ricorda la sua esperienza come supplente nell’anno scolastico 1978-79 nella quarta ginnasio di un prestigioso liceo fiorentino. Insegnare simultaneamente la morfologia latina e greca costituì per certi aspetti un’esperienza interessante, in quanto consentiva di cogliere le analogie fra le due lingue indoeuropee. Ma lo sforzo mnemonico richiesto agli studenti usciti da una media “delatinizzata” era imponente e senz’altro la riforma del 1978, ancor più di quella del 1962, ha contribuito ad abbassare il livello di preparazione nei maturati del classico, perché non si può imparare nell’arco di cinque anni quello che prima si apprendeva in sette e un tempo addirittura in otto.
Vero è pure che le lamentele sulla scarsa efficacia dell’insegnamento del latino nella nostra scuola risalgono addirittura alla fine dell’Ottocento, quando il ministro della Pubblica Istruzione Ferdinando Martini istituì una commissione sul tema: “Indipendentemente dall’attuale ordinamento degli studi classici, quali possono essere le cagioni principali dello scarso profitto del latino nei ginnasi e nei Licei? E quali i rimedi?” (e incaricato della stesura della relazione fu Giovanni Pascoli, che addossò la colpa alla preponderanza sulla lettura dei testi della grammatica, della linguistica, della metrica, preponderanza che finiva per disamorare il discente). Ma, salvo rare e luminose eccezioni, i livelli di apprendimento nei licei classici e soprattutto scientifici, dove spesso i classici si leggono con la traduzione a fronte, dopo il 1962 e soprattutto il 1978 sono decisamente calati.
Detto questo, è lecito comunque un interrogativo. Se, putacaso, la commissione ministeriale avesse davvero reintrodotto l’insegnamento del latino come era previsto nella riforma del 1962, si sarebbero potuti reperire i docenti in grado di insegnarlo? Quando fu istituita la scuola media unica, i professori e le professoresse di Lettere avevano tutti studiato il latino. Gli insegnanti laureatisi nella facoltà di Lettere erano tutti diplomati del liceo classico; chi veniva da Magistero aveva comunque studiato latino almeno per sette anni, tre alle medie, quattro alle Magistrali.
Quanti fra loro avevano in precedenza insegnato nelle scuole di avviamento non ne avevano forse un ricordo molto fresco, ma le basi comunque c’erano. Da quando la riforma Codignola consentì l’accesso a tutte le facoltà universitarie ai diplomati di tutte le scuole secondarie, è diventato possibile insegnare Lettere alle medie anche senza conoscere il rosa-rosae. Per questo, forse, la scelta minimalista di introdurre il latino per un’ora sola e facoltativo non manca di una sua logica. Sempre meglio dei corsi di bengalese istituiti in nome dell’inclusività in una scuola elementare di Mestre.
Enrico Nistri – Saggista