Ucraina, il libro di Gianpiero Gamaleri, sui Papi contro la Guerra. Con una emozionante diretta di Stefania Battistini dal Donbass.

MondoPolitica

Padre Federico Lombardi, storico capo della sala stampa vaticana, e Marco Politi, vaticanista,  hanno presentato nella cornice dell’UNAR di Roma l’ultimo saggio di Giampiero Gamaleri, La Fumata Bianca della pace. Durante la presentazione si è aperta in diretta una finestra sull’Ucraina, con una emozionante e illuminante testimonianza di Stefania Battistini, inviata del Tg1, dal fronte caldo del Donbass, e da oltre un anno in prima linea sul fronte dell’informazione su quella terra martoriata da una guerra che continua, nell’attenzione sempre meno partecipata della gente, con il rischio incombente e triste dell’assuefazione dell’opinione pubblica dei Paesi occidentali.

Ma partiamo questa volta dall’autore, che è Gianpiero Gamaleri. Professore ordinario di “Sociologia dei processi culturali e comunicativi” già alla Sapienza e a Roma Tre, è attualmente docente di “Linguaggio dei nuovi media” all’Università Telematica Uninettuno, nonché visiting professor all’Università Pontificia della Santa Croce. È stato consigliere di amministrazione della Rai, della Triennale di Milano e del Centro Televisivo Vaticano. Ha introdotto in Italia il pensiero di McLuhan e di Postman. Ha scritto tra l’altro tre raccolte delle omelie di Papa Francesco. L’uomo giusto, dunque, per raccontare “La voce dei dodici Papi contro la Guerra”, nel suo ultimo libro “La fumata bianca della pace”.

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Giampiero Gamaleri non si smentisce neanche questa volta, ed è così che la presentazione del suo libro diventa alla fine una lezione di politica estera, di sociologia, di antropologia, di dottrina della Chiesa, insomma tutto quello che può ruotare attorno al mondo Vaticano.

Un momento particolarmente toccante è arrivato con la partecipazione in diretta Skype dall’Ucraina della giornalista Stefania Battistini, inviata di guerra del TG1 che ha regalato al pubblico presente una pagina di giornalismo sul campo, il racconto appassionato di una reporter di guerra alle prese con una realtà che non sempre la televisione o i media riescono a raccontare fino in fondo. E anche una sorta di diario personale, a spasso ogni giorno e da quasi un anno per i paesi distrutti dalla guerra, costretta dal mestiere al confronto continuo con la “puzza dei cadaveri delle fosse comuni” e le barbarie perpetrate dai bombardamenti russi su popolazioni inermi, dove la morte regna sovrana e incontrollata e dove lo spirito della libertà del popolo ucraino sovrasta la guerra e ogni forma di violenza.

 

 

Una narrazione – verità sulla guerra nel Donbass, dalle trincee di Donec’k, Luhans’k, Horlivka, Slov”jans’k e Kramators’k. Stimolata anche dalle incalzanti domande di Gamaleri, la giornalista del TG1 ha raccontato le difficoltà e naturalmente i rischi affrontati ogni giorno in questo teatro di guerra, insieme con la troupe dei tecnici.

 

 

Tutto questo Stefania Battistini lo ha fatto con la precisione della cronista, documentata, analitica, rapida. E pur nel necessario distacco della giornalista che non perde lucidità e deve mantenersi fredda, nei limiti possibili si capisce, il suo racconto di oltre dodici mesi di conflitto in cui ha visto scene di sangue e di morte, ha trasmesso agli ascoltatori una certa emozione e il senso dell’assurdo che ogni guerra si trascina con sé. È questa l’immagine, diremmo quasi solenne austera e al tempo stesso rassicurante che Stefania Battistini ci dà di sé stessa in televisione, nel racconto delle sue esperienze di storica inviata di guerra del TG1.

 

 

Ogni giorno, ogni sera, ogni notte l’inviata del TG1 racconta la tragedia immane del popolo ucraino, ma riferisce soprattutto le devastazioni plurime della guerra, i dolori di intere città, le ferite profonde che il conflitto russo ucraino ha inferto a quel Paese. E lo fa con assoluta discrezione, con un rispetto quasi sacro per le persone che incontra per strada e che intervista, e per le tante storie di disperazione che ogni giorno da mesi ci propone.

Nata a Milano il 16 aprile 1977, segno zodiacale Ariete, Stefania Battistini si laurea in Scienze della comunicazione con 110 e lode e dal 2007 diventa giornalista professionista. La sua carriera in Rai è iniziata come reporter per il TG1 e per Speciale Tg1. Le affidano subito i primi servizi da zone di guerra come il Kurdistan e la Siria, e la sua esperienza sul campo la porta varie volte faccia a faccia col pericolo.

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Un episodio drammatico, tra i tanti

Nel 2017 viene minacciata da un uomo armato, nel bel mezzo di un servizio, poi il 3 marzo di quest’anno in Ucraina, subisce un assalto vero e proprio mentre è in diretta con “Uno Mattina”, e che lei racconterà subito dopo con un self control fuori dal comune.

“Hanno spalancato la porta urlando coi fucili spianati. Hanno buttato a terra i due operatori di ripresa Simone Traini e Mauro Folio, con il ginocchio premuto sulla loro schiena e il kalashnikov puntato a 2 cm dalla loro testa. Erano evidentemente molto nervosi, quindi poteva accadere qualunque cosa. Dopo circa un quarto d’ora è arrivato il capo della Polizia e siamo riusciti a spiegare chi eravamo e cosa stavamo facendo. Quello che è successo stamattina racconta il livello di tensione che sta vivendo il popolo ucraino, per cui qualsiasi attività considerata fuori dall’ordinario viene considerata un’attività nemica, una possibile minaccia. Quindi qualunque giornalista straniero, soprattutto chi si ferma diversi giorni, è considerato un possibile pericolo, un possibile sabotatore, una possibile spia”.

 

 

Abbiamo scelto una foto istituzionale, lei che racconta la sua esperienza professionale al Parlamento Europeo, perché mai come in questo caso abbiamo a che fare, per dir così,  con una “donna di Stato”, a cui il giornale più seguito dagli italiani ha affidato il compito, assolutamente non facile, di raccontare una delle guerre più complicate di questo secolo, certamente uno dei conflitti più difficili da analizzare, soprattutto per le mille implicazioni possibili che il racconto della guerra potrebbe produrre sul piano internazionale. Un compito delicatissimo, che Stefania Battistini a nostro giudizio ha già svolto con il massimo risultato possibile.

 

 

Mentre scriviamo queste cose, pensiamo anche ai tanti altri inviati che la RAI ha mandato nel corso di questo 2022 in missione sui vari fronti di guerra. Per il TGg1, insieme a Stefania Battistini, ci piace ricordare Alessandro Cassieri, Emma Farnè, Barbara Gruden, Giuseppe La Venia, Sergio Paini e Giacinto Pinto. Per il Tg2 Stefano Fumagalli, Marc Innaro, Giammarco Sicuro e Leonardo Zellino. Per il Tg3 Maria Grazia Fiorani e Nico Piro. Ma bravissimo anche Fausto Biloslavo, cronista inviato in Ucraina per conto delle reti Mediaset. A tutti loro, ma anche a coloro i quali li sostituiranno nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, la nostra ammirazione e il nostro auguro più caro per un 2023 finalmente “fuori dalla guerra”.

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Professor Gamaleri, ma come sarebbe il nostro mondo se dalla Grande Guerra ad oggi fossero stati ascoltati gli appelli dei Papi contro la guerra?

“È l’interrogativo che mi sono posto raccogliendo i loro richiami alla pace dalla metà dell’Ottocento fino ad oggi. Sono dodici papi, da Pio IX fino a papa Francesco. E vedendoli riuniti in un solo testo colpisce l’assoluta coerenza delle loro parole e iniziative, ispirate non solo dal profondo senso religioso della loro fede cristiana ma anche da una partecipazione appassionata alle vicende del proprio tempo. Nel pensare al titolo di questo libro mi sono chiesto se usare il singolare o il plurale: “la voce o le voci” di dodici Papi? Raccogliendo i loro documenti non ho avuto dubbi: si è trattato e si tratta di una sola voce, anzi di un unico “grido” che purtroppo è rimasto inascoltato in tutto l’arco di tempo che abbiamo preso in esame”.

Undici Papi insieme, un esperimento azzardato, non crede Professore?

“Cosa vuole che risponda? Si tratta di un periodo che prende le mosse dalla figura di Pio IX il cui lungo pontificato, dal 1844 al 1878, ha coperto il grande evento dell’Unità d’Italia e quindi anche della caduta del potere temporale pontificio. Un suo documento molto significativo fu la “Locuzione” del 29 aprile 1848 che testimonia tutto il travaglio di questo papa che è stato pienamente consapevole dei punti estremi dell’opinione pubblica di allora, divisa tra quanti all’inizio auspicarono addirittura che egli stesso si mettesse a capo dei moti per l’unità d’Italia, e quanti successivamente lo considerarono la massima espressione delle posizioni reazionarie e conservatrici. Quel documento ben testimonia anche la sofferenza personale di un’autorità religiosa gettata nel vortice di un cambiamento epocale. E dimostra nel contempo come in quel turbine di eventi e di passioni egli abbia saputo sempre tenere ben fissa la barra del timone della Chiesa orientandola verso l’orizzonte della pace e di una convivenza civile volta al il rispetto della persona umana”.

 

 

Professore, Padre Federico Lombardi le ha fatto i suoi complimenti, entusiasmante è stato il giudizio di Marco Politi, ma alla fine qual è il bilancio reale della sua analisi?

“Mi chiede se è possibile trarre un bilancio degli sforzi dei Papi per la pace e contro la guerra? Vede, il loro impegno è stato coerente e inequivocabile. I risultati purtroppo contraddittori. Ricordiamo alcuni insuccessi, come quelli di Benedetto XV che nel 1917 si era spinto a proporre un concreto piano di pace alle grandi potenze che non gli dettero neppure risposta. Oppure Giovanni Paolo II che scongiurò l’inizio delle due Guerre del Golfo, del 1991 e del 2004 senza successo, lui che aveva fatto crollare pacificamente il Muro di Berlino. Ma in altri casi quelle parole scossero le coscienze, come quando Giovanni XXIII contribuì a far fermare da Krusciov il convoglio di navi che portava i missili a Cuba, scongiurando un conflitto nucleare. Una cosa rimane sicura: tutti questi grandi personaggi hanno pregato e hanno fatto pregare tanto per la pace. E questo ha un grande effetto anche se non appartiene alla “cose visibili” ma alle “cose invisibili”.

Ecco come il lancio di un libro sulla guerra può diventare anche fondamentale occasione di dibattito e di confronto sul rapporto non sempre semplice e scontato tra giornalismo e verità, o ancora meglio tra giornalismo e conflitti armati.

 

 

 

Pino NanoGià capo redattore centrale Rai

 

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