Torna il latino alle scuole medie. E meno male, perché serve, eccome se serve

Il latino non è il simbolo di una scuola classista, ma uno strumento indispensabile per parlare e scrivere l’Italiano. Dalle lettere commerciali ai messaggi su whatsapp. Riprenderlo, come vuole fare il ministro dell’Istruzione Valditara, è una semplice questione di buon senso

I catafratti guerrieri del progresso sono già mobilitati, gli astratti furoreggianti della scuola non-escludente pure. Si sta già accusando il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara voler fare una scuola “sovranista”. Nell’intervista a Il Giornale del 15 gennaio Valditara ha descritto le nuove indicazioni per il primo ciclo scolastico che entreranno in vigore nel 2026. Tra l’altro torna l’opzione latino a partire dalla seconda media. Si chiede maggiore attenzione alla lettura e alla scrittura, alla storia (italiana, europea), e torna l’idea, sintomaticamente temuta e odiata, di far imparare le poesie a memoria.
Le indicazioni provengono da una commissione che comprende fra gli altri il presidente emerito della Crusca Marazzini, il violinista Ughi, il latinista Balbo, il filologo Giunta, lo storico Galli Della Loggia. Tutti coalizzati, secondo alcuni, nell’organizzare un coup d’état classista, sovranista, gentiliano-reazionario contro il modello di scuola democratico.

Le due culture

Qui a Beemagazine siamo sensibili a questi temi. Ci siamo occupati con diversi interventi prestigiosi del discorso delle “due culture”, cercando al meglio delle nostre possibilità di smontare la contrapposizione, fittizia e ideologica, tra cultura scientifica e umanistica. Poi tutto è ideologizzabile e strumentalizzabile, per carità. E, cosa fondamentale, bisognerà vedere come queste linee guida saranno applicate. Ma a queste latitudini le idee espresse da Valditara e dalla sua commissione sembrano di semplice buon senso.  

Il latino serve eccome. A capire l’Italiano

Sul latino: c’è il pregiudizio che il latino “serva a far ragionare”, ma la realtà è più pratica. L’Italiano è una lingua costruita, a tavolino, da intellettuali, prosatori e poeti frequentatori del latino. Una “lingua antiquaria” (è la formula del traduttore e poeta Enzo Mandruzzato) che semplicemente non si capisce e non si può usare fino in fondo se non si ha un po’ di conoscenza e di gusto per l’antecedente latino. La parola “flebile” è un oggetto oscuro finché non si sa che deriva dal latino “fleo”, “piango”. L’aggettivo “formidabile” non si afferra fino in fondo se non ne si conosce l’etimologia. Proviene da “formido” che vuol dire “timore”. “formidabile” vuol dire sì “eccezionale”, ma con una venatura, anche, di paura. Sfumature, certo, ma nell’uso di una lingua le sfumature sono tutto. E tornano utili anche per scrivere un messaggino di whatsapp.

 

Un’immagine di dante (Licenza Creative Commons)

 

Beatrice non è “gentile” e non è “onesta” 

Nella più famosa poesia di Dante, la rima XXII, “Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia quand’ella altrui saluta”, “gentile” non vol dire che Beatrice ringrazia il cassiere del negozio, “onesta” non vuol dire che non imbroglia sulla dichiarazione dei redditi, “pare” non vuol dire “sembra”. E “donna mia” non è un accenno al patriarcato, ma vuol dire “la mia padrona” (lo ricorda Gianfranco Contini in un suo famoso saggio). Tutte espressioni che se non si conosce un pochetto di latino risultano irricevibili.

La storia non è marketing culturale

La cultura italiana può fare diverse cose. Ma di certo non può dimenticarsi della propria profondità storica, che non si esprime solo quando ordiniamo uno spritz in una splendida piazza cittadina alla presenza di una cattedrale. Non è sfondo, non è “marketing culturale”. È sostanza. E un serbatoio “archeologico” di possibili innovazioni. E il latino, almeno un po’ di latino, è l’accesso linguistico a quanto di più proprio, e divertente, la nostra cultura possa fornire.

 

Bruno GiuratoGiornalista 

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide