In una conversazione che spazia lungo due continenti e tocca i nervi scoperti di questa epoca, come fare a non partire dal rapporto che il nuovo Papa avrà con la città di cui è vescovo, se l’interlocutore è Francesco Rutelli, che di questa città è stato due volte sindaco e su Roma ha prodotto saggi di pregio? Infatti l’ex leader della Margherita e dell’Ulivo, sfidante di Silvio Berlusconi nel 2001, con cui perse ai punti per 400 mila voti, snocciola con dovizia da docente i punti che legheranno la Città Eterna al nuovo Pontefice. Evitando di vestire i panni dell’aruspice, Rutelli fa capire che ci sono fattori storici che fanno prevedere un rapporto stretto tra Papa Leo, come lo chiamano già i romani, e la sede del papato. “Non possiamo ancora saperlo. Certo, è un agostiniano. Chi può dimenticare che Sant’Agostino, figlio di Santa Monica, nasce in Africa – oggi l’algerina Souk Ahras, l’antica Tagaste – e poi diviene ispirazione dall’Italia e dalla sua terra per il mondo? A me piace ricordare – Leone XIV magari non condividerebbe… – l’impatto della frase sui tempi nell’ anima: “il Presente del passato, il Presente del presente, il Presente del futuro”. Roma, in ogni giorno dei suoi quasi tremila anni, ha marcato il presente anche quando era in disgrazia; e ha condizionato il futuro perché non può mai essere letta solo come somma di monumenti del passato” commenta Rutelli.

Oggi in disgrazia versano molte zone del mondo: lei che presiede il Soft Power Club, che chiamerà a Napoli il 26 e il 27 maggio un parterre di studiosi e personalità internazionali, non crede che in tempi di guerra, il potere della persuasione attraverso la cultura e il costume, si configuri più come un wishful thinking che come una leva per sciogliere i conflitti?
Niente è più complicato da analizzare del Potere. Ci riguarda, dai rapporti interpersonali e familiari, al lavoro e all’impresa; e, ovviamente, misuriamo così i governanti, nella Storia e nel mondo di oggi. Sono imprescindibili, certo, il potere economico e quello militare. Ma il Potere della Reputazione e della Persuasione, il Soft Power, è anche necessario. La celebre domanda attribuita a Stalin – “Il Papa? Quante divisioni ha?” – merita di essere rivisitata. Putin certamente dimostra di seguire quella strada, ma il ruolo e il richiamo dei Papi, in società iper-secolarizzate, è un ottimo indicatore.
Infatti, a proposito di divisioni e truppe corazzate, l’Europa ha deciso di armarsi, spaventata da Putin. Un errore strategico o una necessità?
Dall’inizio del processo di un’Europa unita, abbiamo mancato la creazione di una Difesa comune. Richiesta dei fondatori e di De Gasperi, impegno anche di Altiero Spinelli: ci dimentichiamo che l’88% degli italiani ha votato SÌ – anch’io ero tra i promotori – al referendum del 1989 per una nuova Costituzione europea, di cui politica estera e di sicurezza erano e saranno parte indispensabile. Da allora i cambiamenti sono evidenti: la ‘copertura’ atlantica USA è molto ridimensionata, e l’UE deve tornare a crescere sul piano economico e industriale, e anche con un esercito comune, rafforzando investimenti strategici e razionali per difesa e sicurezza.
Intanto però la voce dell’Europa è da anni assente sul conflitto a Gaza. Di fronte alla strage di innocenti dopo gli eccidi di Hamas, nessun paese europeo ha alzato un dito per fermare Israele e ancor meno l’Ue. Non si corre il rischio di alimentare l’odio arabo verso l’occidente?
Parla con una persona che da Sindaco ha istituito i primi ‘Viaggi della Memoria’ ad Auschwitz: dalla metà degli anni ‘90, decine di migliaia di studenti vi hanno partecipato e questo ha contribuito ad aprire gli occhi sull’antisemitismo, e sulla violenza delle dittature nazifasciste. Oggi nessuno deve mettere in discussione lo Stato di Israele. Di Stati però ce ne vogliono due: quello palestinese non deve avere l’impronta estremista di Hamas; ma molte politiche di Netanyahu sono disastrose, e stanno portando a una crescente critica verso Israele.
Capisco che alla luce del vincolo che lega l’Italia agli Usa può apparire un quesito puerile. Ma non crede che il governo italiano, epicentro geografico di tutte le tensioni del Mediterraneo, dovrebbe farsi promotore di un’iniziativa europea su Gaza?
Nei 5 anni passati, l’UE ha brillato per mancanza di iniziativa. Vediamo se ora si sveglia.
Certo il governo cammina sulle uova sul terreno della politica estera. Meloni vanta un rapporto preferenziale con il presidente Usa ma resta ai margini dell’asse franco tedesco che traina il vagone europeo. Viene da chiedersi quale sia oggi il posto dell’Italia nel nuovo scacchiere internazionale.
L’Italia è europea; è occidentale (nel senso dei valori democratici e delle libertà); è Mediterranea, ed ha importanti responsabilità in questo quadrante del mondo, verso il Golfo e verso l’Africa; crede nel multilateralismo, e in un equilibrio tra collaborazione e competizione deve impegnarsi per migliorare troppe performance deludenti degli organismi internazionali; guarda con attenzione ai grandi Paesi emergenti. E’ giusto, come ha annunciato il Governo, attualizzare i ruoli innovativi di due grandi italiani, Enrico Mattei e Adriano Olivetti.
Di Trump si è già detto quasi tutto. Ma lei che tiene da decenni rapporti con i think tank americani, fin dai tempi di Bill Clinton, crede che il tycoon continuerà su questo registro?
Trump ha trascorso finora gran parte del suo tempo nella comunicazione aggressiva. Negli USA, sta funzionando così-così. Nel mondo, ha aiutato a vincere i non-Trumpisti, dal Canada all’Australia. Si darà una calmata? Aspettiamo qualche mese, e vediamo se gli effetti (negativi) dei dazi spingeranno Washington a migliorare la rotta.
Come mai i Democratici e i repubblicani negli Usa non esprimono in questa fase leadership di alto profilo? Problema culturale, sociale o politico?
Non è mica un problema solo americano: quasi dappertutto i partiti politici sono deboli; metà dei cittadini in Italia non vota; soprattutto i ragazzi rifiutano di partecipare nello spazio pubblico. Non tocca a me dare alcuna lezione (ho lasciato la politica una dozzina d’anni fa). Svolgo altre attività, sia professionali che di volontariato; cerco di aiutare con la formazione (anche con la Scuola di Servizio Civico, che cerca di accrescere le capacità di governo delle città).

Per riportarla invece all’antico amore, in questo panorama italiano, spicca un elemento, che lei da ex segretario della Federazione dei Verdi, avrà negli anni più volte analizzato: perché, malgrado la generazione Z abbia in cima alle sue attenzioni il tema della sostenibilità, in Italia non attecchisce come in Germania una robusta formazione politica, verde e ambientalista?
E’ un grande tema strategico. Il punto è: le politiche green non debbono essere ammonitorie, punitive e minoritarie. Debbono puntare alla creazione di nuovi e buoni posti di lavoro, alle professioni e alle imprese del futuro. Pensiamo alla trasformazione e manutenzione di città e territori; alla diversificazione energetica; all’Adattamento ai Cambiamenti climatici. Sono terreni fondamentali, e di interesse popolare. Guai se ambiente e sostenibilità e l’UE ha varie responsabilità in questo senso, vengono vissuti solo come moltiplicazione di regole sempre più complicate.
Infine, scendendo sul terreno della contesa politica italiana, che contesa non è, vista l’assenza di un’alternativa al governo attuale: da ex leader di un Ulivo che perse per un pugno di voti contro la Casa delle libertà di Berlusconi, ritiene che le forze di opposizione dovrebbero presentarsi unite senza lasciare fuori pezzi come faceste voi con i comunisti di Bertinotti e con Di Pietro? Insomma la sua esperienza insegna che l’Unione di diversi è un obbligo, anche se poi fatica a governare, come avvenne nel 2006?
Guardi, i paragoni con i decenni passati sono inutili. Tutto è diverso. Se pensa che, nelle elezioni in cui ho perduto – per un punto e mezzo di differenza – con Berlusconi, la coalizione dell’ Ulivo con Rutelli ha raccolto 4 milioni di voti in più della Meloni stra-vincente a fine ‘22; o che la sola Margherita ottenne più voti, allora, del PD nelle ultime elezioni politiche…Quello che è chiaro, è che il centrodestra ha sempre confermato l’insegnamento di Berlusconi: ‘litighiamo pure, ma presentiamoci uniti’. Mentre il centrosinistra, no.