Osvaldo Napoli: “Berlusconi ha tradito se stesso, Forza Italia non è più quella di una volta”

Le liste elettorali non rispettano i territori. C’è una diffusa parentopoli. In Parlamento dovrebbe andare chi ha almeno fatto il consigliere comunale.

Una vita e una tradizione politica fuori dal comune. Suo fratello, Vito Napoli, era stato prima di lui sottosegretario di Stato alle attività produttive, uomo chiave del gruppo di Forze Nuove che in seno alla DC faceva riferimento a Carlo Donatt Cattin. Lui, invece, è Osvaldo Napoli, classe 1944, nato a Torino, sindaco di Giaveno per quattro mandati, tra il 1985 e il 2004, nel 1994 aderisce a Forza Italia.

Nel 2001 è deputato alla Camera nelle liste di Forza Italia nel collegio di Giaveno e riconfermato poi nel 2006. Viene rieletto alla Camera dei deputati nelle file del Popolo della Libertà durante la XVI Legislatura. Nel dicembre 2010 è Vicecapogruppo del PdL alla Camera. Nel febbraio 2013 si ricandida alla Camera dei deputati al sesto posto della lista PdL nella Circoscrizione Piemonte 1, ma il PDL ottiene soltanto tre seggi e lui rimane fuori dal Parlamento.

Nel 2013, dopo lo scioglimento del PdL, aderisce alla nuova Forza Italia contestualmente rifondata da Silvio Berlusconi. Eletto sindaco di Valgioie nel 2009,  nel 2011 diventa presidente facente funzioni dell’ANCI al posto di Sergio Chiamparino appena eletto sindaco di Torino. Nel maggio 2014 viene rieletto Sindaco di Valgioie, incarico dal quale si dimette nel maggio 2016 per candidarsi sindaco a Torino.Il 5 giugno 2016, alle elezioni comunali di Torino raccoglie il 5,31% che gli valgono l’elezione in Consiglio Comunale.

Dal 17 marzo 2022,dopo aver lasciato il gruppo parlamentare di Coraggio Italia, aderisce alla componente parlamentare del gruppo misto di Azione di Carlo Calenda. Oggi lui viene considerato uno dei nemici dichiarati più esposti della linea politica di Forza Italia. Noi siamo andati a cercarlo per farci spiegare le motivazioni delle sue scelte. Naturalmente, in questa intervista Osvaldo Napoli ci parla anche d’altro…

 

Onorevole Napoli, guardiamo le liste insieme?

Leggo le liste, e a mio giudizio non rispettano il senso della territorialita di questo Paese.Mi auguro solo che in futuro possa esserci una legge elettorale che premi finalmente il territorio e per chi come me ha una storia amministrativa abbastanza lunga, ho fatto il sindaco per 27 anni, mi auguro che venga premiato chi ha alle spalle un minimo di esperienza politica nel proprio comune di appartenenza. A Roma in Parlamento dovrebbe andarci solo chi ha fatto prima di tutto almeno il consigliere comunale.

Che idea si è fatta di questa tornata elettorale?

Zii e nipoti, mariti, mogli e quasi mogli, mogli e cugini e cognati: a scorrere le liste di destra e sinistra si ricava l’idea netta di un’unica, grande parentopoli. L’idea folle di tagliare il numero dei parlamentari immaginando in questo modo di elevare la qualità del ceto politico è stata clamorosamente smentita. Con la sola eccezione di Azione e Italia Viva, non c’è una lista una che non abbia al suo interno, magari in collegi diversi, candidati fra loro imparentati.

Non è un tantino esagerato?

Il Pd, FdI, Forza Italia sono tutti corresponsabili di aver seguito e sostenuto l’assalto dei Cinquestelle alla democrazia con il taglio dei parlamentari, salvo rivendicare la centralità del Parlamento che loro non hanno minimamente difeso. Mi aspetto di sentire le solite anime candide lamentarsi e chiedersi, con sfacciata ipocrisia, che cosa è che tiene gli elettori lontano dalle urne. Sul logo di Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, PD e Cinquestelle potrebbe comparire la scritta che il grande Leo Longanesi immaginava sul tricolore: “Tengo famiglia”. Amen.

E Conte dove lo lascia?

Giuseppe Conte non esclude, che in politica equivale a dire certamente, la possibilità di una ritrovata intesa con il Pd all’indomani delle elezioni. Esattamente come ha previsto Carlo Calenda: la traiettoria del Pd è già disegnata e all’indomani del voto quel partito si riconsegnerà anima e corpo all’arcipelago del populismo grillino. La disponibilità di Conte non è solo un espediente elettorale, ma è la fotografia impietosa della confusione strategica in cui versa il Partito democratico: impotente a imboccare una via riformista, finirà risucchiato nel radicalismo dei Cinquestelle.

Personalmente cosa si augura per il bene del Paese?

Bisogna prima di tutto lavorare per convincere il Paese ad andare a votare.Votare significa scegliere secondo coscienza il meglio di se stesso e della vita dei propri figli, in un Paese che è stato finora troppo distratto da questioni lontane dalla vita reale dei cittadini.Quello che mi auguro è che Giorgia Meloni non rappresenti il primo partito.. ed allora il capo dello Stato potrebbe non conferirLe incarico. Se non sarà così immagino un disastro vero e proprio.

Dove ha sbagliato Letta secondo lei?

La verità è che Enrico Letta ha seguito Provenzano, anzicchè il buonsenso. Perché, Enrico Letta, era sufficiente che facesse l’accordo totale con Calenda con Renzi e con Europa Più. Chiuso. Il resto lo lasciavi andare. Attenti, io non sono il verbo, ma sono certo di una cosa, e cioè che se Letta avesse fatto l’accordo con tutti loro vinceva di sicuro, anche perchè davanti all’opione pubblica si sarebbe presentato come il leader di un’area moderata che vuole governare bene il Paese.

Cosa c’è che secondo lei non va oggi nel PD?

Se Letta dice una cosa e Fratoianni ne dice un’altra, magari di peso contrario alla sua, diventa davvero difficile essere credibili e sfondare nel cuore della gente. Gli Italiani non sono stupidi, e capiscono che ci sono molte cose che non vanno per il loro verso giusto.

Perché crede che Letta abbia fatto quello che ha fatto?

Letta ha pensato di coprire la sinistra, ne sono assolutamente certo, ma la sinistra di Fratoianni non prende neanche il due per cento, e questo andava messo in conto.

Cosa ne pensa di Mario Draghi?

Il presidente Draghi ha confermato al meeting di Rimini che anche i banchieri centrali conoscono l’emozione. Ha rivendicato, con quel senso di sobrietà estraneo alla politica, i traguardi importanti del suo governo e invitato le forze politiche a non disperdere i risultati raggiunti, primo e più importante di tutti lo spirito di coesione.

Chi immagina dopo di lui?

Draghi  a mio giudizio non lascia eredi, ma il suo metodo di governo è l’eredità preziosa a cui “Italia sul serio”, cioè Azione e Italia Viva, ispirano la loro azione e sul quale chiedono il voto degli italiani. Vale lo stesso per la politica estera: solidarietà umana ed economica all’Ucraina, sostegno militare al suo popolo che combatte per la libertà di tutti, nel quadro di una forte coesione europea e atlantica. Un contesto, cioè, da cui l’Italia rischia di essere estromessa con le scelte di Conte, Salvini, Meloni e Berlusconi. Come ogni vero leader, Draghi ha indicato un orizzonte a partiti che non sanno guardare oltre il proprio ombelico.

Torniamo a casa sua. Ad un certo punto lei lascia Silvio Berlusconi…

Francamente mi sono trovato molto a disagio nel vedere all’interno di Forza Italia il braccio armato di Salvini.

A chi pensa in particolare?

Alla senatrice Licia Ronzulli.

Conflitti interni dunque?

Assolutamente no, neanche per sogno. Ad un certo punto io non ho più visto in Forza Italia e quindi in Berlusconi quella indipendenza di giudizio politico che prima c’èra e che oggi assolutamente non c’è più. Ma non sono il solo a pensarla così.

Lei lascia Forza Italia dopo averci militato per una vita…

Glielo ripeto, a un certo punto mi sono reso conto che Forza Italia non rappresentava più il centro moderato, ma era diventata il braccio armato di Matteo Salvini. Salvini per me, ma non soltanto Salvini, insieme a Salvini ci metta anche anche la Meloni, per me è la destra del Paese.Che vuol dire: la negazione del centro.Ho detto queste cose, ,e continuo a dirle con estrema franchezza a chi me lo chiede, ma immagino anche che mio padre e che mio fratello, lui era Vito Napoli, che tanto ha dato alla politica italiana, di fronte a uno scenario di questo tipo si rigirino nella tomba.

Le è pesato molto questo allontanamento?

Come tutti i grandi amori che ad un certo punto finiscono, c’è sempre tanta malinconia in corpo e un pizzico di senso di solitudine in una storia che finisce.Anche se la rottura tra me e Silvio Berlusconi non è stata una frattura sul piano personale. È stata una frattura sul piano della linea politica.Questo fa la differenza.

E oggi come lo vede Silvio Berlusconi da fuori?

L’uomo a mio giudizio non riesce più ad essere lui il catalizzatore dentro Forza Italia.

In che senso lo dice?

Il catalizzatore è chi decide,  oggi in Forza Italia non è più Silvio Berlusconi. Ma sono altri.

Da cosa lo deduce?

Basti guardare la composizione delle liste.Tutti quelli che hanno trovato il coraggio di manifestare una propria indipendenza di pensiero e uno spirito di libera riflessione, e una capacità di analisi indipendente dagli schemi della villa di Arcore, sono stati cacciati via. Anzi, buttati via. Senza pensarci su due volte.

Lei crede che la Carfagna e la Gelmini abbiano deciso di andare via proprio per questo motivo?

Non ci sono dubbi. Mi assumo la responsabilità di dirle che non ci sono mai stati dubbi su questo.Sicuramente la Carfagna e la Gelmini sono due donne impegnate in politica che non hanno mai recriminato nulla contro Berlusconi, anzi ne hanno sempre parlato e pensato bene, ma non potevano più rimanere in un partito in cui chi dava le linee politiche non era più Silvio Berlusconi, e non c’erano più quelle linee che Forza Italia aveva sempre portato avanti.

Può essere più esplicito?

Le direttive, le scelte, le indicazioni di Forza Italia sono diventate sempre di più linee di guida politica filo destra, intendo dire antiatlantiste, pro-Putin, tutta roba che non ci appartiene, che non fa parte della nostra storia e che non ha nulla a che fare con la Forza Italia della prima ora. Questo non tutti hanno il coraggio di dirlo fino in fondo.

Si è mai pentito di questa scelta così drastica?

Io mi prendo un merito, che è quello di essere stato un apripista. Un precursore, criticato quanto vuoi, molto criticato in pubblico, quando fai una cosa come quella che ho fatto io l’opinione publica sui social ti punta il dito contro e ti chiama “traditore”, ma chi fa politica e chi ti segue capisce che nella vita c’è un momento del coraggio e delle scelte definitive,e non sempre le scelte che fai sono semplici da digerire. Glielo ripeto, non ci sono dubbi, io sono stato un precursore di quello che poi hanno fatto come me Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.

Come giudica il programma del Centro destra?

Assolutamente irreale. La mia è un’analisi abbastanza fredda e reale. Mi segua, una volta perso il centro, perché Forza Italia si è afflosciata come un soufflé mal riuscito, la destra si presenta con tre programmi diversi e tanta confusione. Berlusconi propone cose che già esistono, come la tassa di registro del 2% per chi acquista la prima casa. Salvini propone una flat tax modulata su 18 aliquote, cioè 18 flat tax a scelta come sugli scaffali del supermercato. Meloni è per il taglio del cuneo fiscale. Il risultato è che la destra non ha un programma e gli italiani non sanno che cosa li aspetta in caso di vittoria di quello schieramento.

E come vede invece la coalizione?

Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sono uniti per conquistare la maggioranza, ma una volta al governo non sanno ancora quali ricette mettere in campo. È questo che crea preoccupazione se non vero allarme fra i nostri partner europei e nelle istituzioni finanziarie. Il PD, per compiacere i suoi alleati radicali, ha messo in soffitta le molte e positive cose fatte dal governo Draghi e il Pnrr è uscito dal radar di quella coalizione. Azione e Italia Viva hanno il solo programma utile per l’Italia: accelerare sulle riforme, renderle operative approvando i decreti necessari, e rendere così disponibili le risorse del NextGE previste entro la fine dell’anno. Qualunque altro impegno diverso da questo farebbe accendere il semaforo rosso a Bruxelles e a Francoforte. Perché i percorsi dei governi nazionali hanno tutti dei paletti che rendono obbligati determinati atti. Chi lo nega imbroglia gli elettori.

Come immagina sarà il nuovo Parlamento ridotto? Sarà peggio o sarà meglio?

Peggio, assolutamente peggio. L’altro giorno leggevo una intervista di Fraccaro, e lui che ha di fatto disegnato e portato in porto qusta legge diceva sostanzialmente questo: noi non pensavamo a 400 deputati, pensavamo invece di mediare su un numero diverso, 500 deputati non meno. La verità è che soprrattutto il PD non ha detto una parola, probabilemnte per paura di apparire come quello che difendeva la casta, e quindi alla fine si è passati a 400 come avevamo immaginato in primo momento, ma noi- lo spiega bene lo stesso Fraccaro- pensavamo ci fosse un minimo di contrasto sulla proposta dei 400.

Cosa comporta avere un Parlamento così composto e soprattutto cosi ridotto?

Comporta due cose gravissime. La prima, ci saranno interi territori senza una rappresentanza politica. Mi permetta di fare un esempio che non corrisponde alla realtà delle cose, ma forse mi aiuta a spiegarle meglio l’assurdità di questo sistema:pensiemo per un attimo alla Calabria dove Vibo Valentia magari non avrà un deputato suo. Lo avrà Cosenza. Ma anche Cosenza potrebbbe non avere un suo deputato, potrebbe averlo invece Reggio Calabria.Ci saranno insomma interi territori scoperti da una propria rappresentanza politica e questo significa che il cittadino che ha voglia di incontrare il parlamentare di riferimento territoriale sarà costretto a spostarsi da Cosenza a Reggio Calabria. In termine ipotetico è come dover andare da Torino a Verbania.

E la seconda cosa gravissima?

Bisognerà pensare a cambiare completamente i regolamenti parlamentari.Questo vuol dire che muterà completamente la fisionomia del Parlamento. Pensi soltanto alle Commissione, che prima erano quindici, diciotto. Adesso quante saranno, come faranno a trattare tantissimi argomenti, e come potranno lavorare bene nell’interesse generale della vita del Paese?

A chi caricherebbe la responsabilità di un Parlamento così rinnovato?

Il parlamento dimezzato? E’ una delle cose che i Cinque Stelle hanno voluto in nome di un populismo del tutto becero e irreale, e la classe politica domimante per paura che l’opinione pubblica ne dicesse peste e corna, cì è andata dietro, ha avvallato questa follia. Confesso che io stesso oggi mi rendo conto che abbiamo fatto delle fesserie macroscopiche e abnormi. Ma non solo questa.

Se ne parla ormai da settimane: lei ci crede ad un rapporto reale tra Salvini e Putin?

Che Salvini, al pari di Berlusconi, abbia un autentico culto per Vladimir Putin non è più un mistero da qualche anno. L’accordo politico fra la Lega e Russia unita, partito di Putin, è lì a confermarlo. Giusto, allora, che si faccia chiarezza su ulteriori e più inquietanti legami fra le due parti, senza mai dimenticare che il primo, decisivo impulso alla crisi di governo è stato del M5S e del suo leader sfasciacarrozze.

Se dovesse indicarmi il responsabile della crisi di Governo a chi penserebbe?

Se qualcuno pensa di occultarne le responsabilità addebitando al Salvini la crisi di governo commette un grave errore. Un’intesa con M5S e Conte era e rimane indigeribile per Azione. Draghi è caduto per mano di Conte, Salvini e Berlusconi, cioè i leader di tre forze dichiaratamente, sia pure con diversa intensità, legate a Putin. Una vittoria del centrodestra, le ripeto, metterebbe in una situazione di oggettiva difficoltà le relazioni atlantiche ed europeiste dell’Italia.

Che tipo di risposte lei crede che la gente si aspetta dal dibattito politico?

Gli italiani si aspettano altro dai partiti in campagna elettorale. Si aspettano risposte sull’inflazione che sta erodendo in modo drammatico il potere d’acquisto di stipendi e salari. Si aspettano risposte concrete sul caro-bollette perché dopo un’estate torrida arriva pur sempre un inverno e accendere i termosifoni rischia di diventare un lusso. Chi lavora per 450€ al mese aspetta di sapere se potrà avere un reddito meno schiavile. Se il taglio del cuneo fiscale saprà portare benefici immediati e robusti sulla busta paga dei lavoratori e aprire spazi nei programmi delle imprese per nuove assunzioni. Tutte misure urgenti, da varare evitando scostamenti di bilancio o sforamenti, come quello nascosto nelle proposte di Giorgia Meloni, che farebbero lievitare di 80 miliardi il debito pubblico italiano. Su questo terreno va lanciata la battaglia contro i sovranisti e i populisti, e su questo terreno possono convergere soltanto le forze autenticamente riformiste e liberali.

Giorgia Meloni Presidente, come la vede?

L’on. Meloni riscrive la carta dei diritti e inserisce arbitrariamente il diritto degli italiani a eleggere il presidente. Meloni non si accorge, o finge di non accorgersi, che in quel modo liquida l’opera dei Costituenti che dopo una lunga discussione decisero di non riconoscere quel diritto preferendo al regime presidenziale quello parlamentare. Tutto si può cambiare, ovviamente, sempre che nel frattempo siano cambiate le motivazioni che spinsero l’Assemblea costituente a fare quella scelta.

In che senso lo dice?

Giorgia Meloni sa che in Francia la svolta presidenzialista fu imposta da Charles De Gaulle, per fronteggiare la grave crisi legata alla fine del colonialismo in Algeria. Sa anche che De Gaulle, da Londra, era il capo riconosciuto della Resistenza francese contro l’occupazione nazista? Il presidenzialismo francese è stato costruito dall’uomo simbolo della Resistenza e della guerra senza quartiere al nazi-fascismo. E non mi sembra una differenza irrilevante. Per essere o diventare presidenzialisti occorre un albero genealogico immacolato e con robuste radici nella democrazia e nel liberalismo. Circostanza, mi pare, in tutto o in parte assente nella destra italiana.

Non mi pare un giudizio entusiasta?

Vuoi per il periodo elettorale anomalo, quindi una campagna elettorale sotto la canicola che una è follia, vuoi per la velocità di inversione a U, fatto sta che la fretta di arrivare a Palazzo Chigi espone ogni giorno di più Giorgia Meloni a mille contraddizioni. Il suo commento al rapporto di Moody’s che taglia il rating del nostro debito pubblico è a dir poco singolare. Meloni è preoccupata per i ritardi nell’attuazione del Pnrr? Ma ha dimenticato forse che lei ha votato contro in tutti i passaggi parlamentari? E la riforma della concorrenza, parte centrale delle riforme per ottenere i soldi del NGEu, non è stata ostacolata da Meloni, Berlusconi e Salvini, per ingraziarsi tassisti e balneari, con ciò provocando ulteriori ritardi?

Se dovesse vincere il centrodestra per come dicono i sondaggi che Paese immagina?

Le dico solo questo. La leader dei Fratelli d’Italia omette un piccolo dettaglio: Moody’s ha modificato il giudizio da stabile a negativo soprattutto in conseguenza dell’incertezza politica aumentata a seguito della crisi di governo e del successivo voto del 25 settembre. Se il centrodestra dovesse uscire vincitore dal voto, eventualità contro cui sono impegnato, spiegherà poi a tassisti e balneari che non c’è più spazio per difendere interessi corporativi? Meloni eviti di ripetere l’errore di Di Maio, passato nel volgere di giorni dal sostegno ai gilet gialli all’allure di un responsabile ministro degli Esteri. Lei non può dall’oggi al domani passare da Viktor Orban a Lagarde. Si prenda del tempo.

Vedo che lei non molla mai la sua preda?

Vede, la leader di Fratelli d’Italia ci informa che se toccherà a lei l’ufficio di presidente del Consiglio proporrà all’Unione europea (Unione, on. Meloni, non Europa: Unione Europea) il blocco navale al largo della Libia. Meloni ci fornisce, non so quanto inconsapevolmente, un tipico esempio di populismo: promettere qualcosa che non si realizzerà mai perché non dipende solo dalla volontà di un Paese ma dalla somma delle volontà di 27 Paesi + uno, cioè la Libia. E nessun Paese europeo si è mai detto disponibile al blocco navale.

Perché non funziona questa proposta?

Per molte ragioni: la prima è che una misura simile verrebbe presa in aperta violazione delle norme internazionali sulla libertà di movimento e di navigazione. La seconda è la mancanza di un assenso esplicito da parte della Libia, cioè del Paese che dovrebbe essere bloccato. La terza è che una tale misura dovrebbe avere una durata temporale illimitata poiché la pressione demografica nell’Africa sub-sahariana non calerà certo per effetto del blocco navale.

È chiaro che non è semplice come potrebbe sembrare…

Diciamo le cose come stanno per favore. Misure drastiche, presentate come risolutive di un problema che ha dimensioni spazio-temporali bibliche e le cui ripercussioni riguarderanno le prossime generazioni sulle due sponde del Mediterraneo, sono un tipico esempio di populismo. Esse creano nell’elettore l’illusione che soltanto il disegno perverso o l’incapacità di chi ha governato fino a oggi ha impedito di risolvere il problema. Simile al blocco navale suggerito da Meloni è il muro con cui uno scellerato come Donald Trump pensava di fermare l’arrivo degli immigrati dal Messico. I problemi, lo capirà anche Giorgia Meloni, non sono al punto d’arrivo, ma si trovano nei punti di partenza dell’immigrazione.

Una nota dolente del dibattito di questi giorni?

Penso agli insulti sul piano personale, accuse di fascismo, ingiurie e liti da ballatoio: da destra e da sinistra emerge schiuma e rancore contro Azione e Carlo Calenda, colpevoli di aver fatto una scelta politica eretica, di esserci sottratti e di voler sottrarre milioni di italiani da quella gabbia mentale che è il bipolarismo italiano inteso come assalto all’arma bianca, un arrembaggio di pirati.Lo spettacolo offerto da personaggi come Mulè e Bonelli è la fotografia della povertà morale e politica di una campagna elettorale brutta, partita con il piede sbagliato.

La sua ricetta ideale?

Se vuole una sintesi le dico questo:proviamo tutti a stare sui problemi del Paese, a dare risposte alle questioni più avvertite dai cittadini e ad animare un confronto più rispettoso della dignità di tutti. Ogni partito ha le proprie ricette da proporre, le proprie soluzioni, su questo confrontiamoci e se necessario scontriamoci. Ma lasciamo fuori certe bassezze, perché sono queste che disgustano gli italiani e tengono gli elettori lontani dalle urne.

Guido Crosetto propone un patto contro la demonizzazione della politica. Lei come lo vede?

L’amico Guido Crosetto è quello che un tempo si diceva un bell’ingegno politico. La sua idea di un “patto” che impegni i partiti a evitare demonizzazioni reciproche è condivisibile. Ma non è sufficiente. Crosetto sa che esiste, soprattutto nella destra, una forma sottile di demonizzazione non verso gli avversari in Italia, ma verso l’Europa e le sue procedure, verso le istituzioni comunitarie considerate troppo invadenti, verso la legislazione europea che si vorrebbe sottordinata rispetto a quella italiana, e una demonizzazione della destra verso tutto ciò che ricade nella sfera della globalizzazione. Aggiungo solo che un patto come quello da lui proposto esisteva già e il governo Draghi ne era il frutto più maturo. Una volta violato da una delle parti, con quale fiducia si può scrivere un nuovo patto? Crosetto ha posto una questione importante, ma le prime risposte dovrebbe sollecitarle dentro il suo stesso schieramento.

Lei che tipo di legge elettorale sceglierebbe?

Proporzionale con preferenze. Sono stato sindaco 27 anni, ho fatto la gavetta da consigliere comunale, inevitabile che mi auguri un proporzionale con preferenza che darebbe modo di governare meglio.  Dal maggioritario che risultati abbiamo avuto? I governi tecnici di Monti Dini, Draghi e nessuna stabilità politica.

 

Pino Nano – Giornalista. Già capo redattore centrale della Rai

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