Nato a Fucecchio sotto il segno del Toro il 22 aprile 1909, Indro Montanelli oggi avrebbe compiuto 113 anni. Si laurea a Firenze prima in Giurisprudenza e poi in Scienze politiche alla Facoltà “Cesare Alfieri”. Rimarrà in ottimi rapporti con diversi suoi docenti. A Indro, Spadolini deve molto. Nel 1950 recensisce il libro dello storico fiorentino dal titolo “Il papato socialista”, edito da Longanesi. E lo saluta così: “Giù il cappello, è nato uno storico”. Propone alla proprietà del “Corriere” di affidargli la direzione del giornale in sua vece. Suggerisce a Ugo La Malfa di candidarlo al Senato dopo la sua spicciativa estromissione dal “Corriere” di Giulia Maria Crespi.
Un solo rimprovero Spadolini muove a Indro: quello di aver rifiutato il seggio di senatore a vita offertogli su un piatto d’argento da Francesco Cossiga, perché intendeva restare fino all’ultimo soltanto un giornalista. Altrimenti, grazie al suo voto, nel 1994 Spadolini sarebbe stato confermato per la terza volta alla presidenza di Palazzo Madama. E invece l’ebbe vinta al quarto scrutinio – quello di ballottaggio – Carlo Scognamiglio Pasini, candidato del centrodestra vittorioso. Per un voto, un solo voto. Se Indro fosse stato della partita, sarebbe finita alla pari. E, ai sensi dell’articolo 4 del regolamento del Senato, sarebbe stato eletto Spadolini in quanto il più anziano di età.
Al “Giornale” Spadolini era di casa. Arrivato in via Negri per la firma del contratto, Indro mi gioca un brutto scherzo. Mi commissiona all’istante un pezzo sui saccopelisti a Venezia. Dopo tre quarti d’ora, sudando sette camicie, glielo porto. Così m’imbatto in Spadolini, che gli stava seduto di fronte a gambe larghe come la regina madre. “Conosci Armaroli?”. “Ma certo, è stato mio allievo!”. Contrariato dal fatto che Indro aveva presentato il mio primo articolo sul “Giornale” così: “Allievo di Maranini e di Sartori”. Omettendo il nome di Giovannone. Certo, lo sfottò in Toscana è un modo per volersi bene. E così Indro diceva senza malizia di Spadolini: “Si ama e si contraccambia”.
Con la famiglia Sartori, Montanelli aveva un’antica dimestichezza. Al punto che arrivato nella bella casa fiorentina che guarda Ponte Vecchio per prendere una foto di Vanni, la mamma, la signora Emilia, per tutti Titina, donna piena di fascino anche in tarda età, quasi mi strappa il telefono dalle mani mentre parlavo con il direttore. E gli sussurra: “Indrino, Indrino mio”. Anche Vanni Sartori, quando veniva a Milano, non mancava di rendere omaggio a Montanelli. Una volta c’ero anch’io. Non appena Sartori se ne va, il direttore mi domanda: “Come ti trovi con Vanni?”. “Benone”, gli rispondo. E lui: “Ah, un grande politologo, non c’è che dire. Sì, ma che carattere…”. Inutile dire che, tornato a Firenze, la scena con Sartori si ripete a parti rovesciate. D’altra parte, non si è maledetti toscani per niente.
Di Giuseppe Maranini, l’inflessibile critico della partitocrazia, Montanelli aveva stima. Pienamente ricambiata. Nel corso di una seduta di laurea, Spadolini fa il nome di eminenti cattedratici come Rosario Romeo e Renzo De Felice per la recensione della “Storia del potere in Italia” di Maranini, pubblicata nel 1967 per i tipi della Vallecchi. E Maranini, senza pensarci su due volte, gli dice: “Preferirei una recensione di Montanelli”. Non ricordo come andò a finire. E poi merita di essere ricordato un altro docente della “Cesare Alfieri”: Giorgio Zampa, illustre germanista, tra i fondatori del “Giornale” e autore di innumerevoli elzeviri particolarmente apprezzati dal direttore.
Infine, Alberto Predieri. Per l’appunto è “Il giurista combattente” il titolo di un bellissimo libro pubblicato dalla Editoriale scientifica nella collana – vedi caso – “Sulle spalle dei giganti”, diretta da D’Alessandro e Frosini, che Giuseppe Morbidelli, suo antico allievo, gli dedica con intelletto d’amore.
Combattente in Russia – il padre, il generale Alessandro Predieri, cadrà in Africa – e combattente su vari fronti anche in tempo di pace. Da quell’uomo poliedrico che era. Da sempre suo ammirato lettore, Predieri conosce Montanelli a Milano ai tempi in cui era avvocato del “Corriere”. I due si annusano e si piacciono, a dispetto del fatto che Indro avesse dei costituzionalisti la stessa opinione di Vittorio Emanuele III. Non precisamente eccelsa. Si piacciono perché sono due persone che più schiette di così non potrebbero essere.
Ma la scintilla scocca quando Montanelli viene a sapere la storiella che si vociferava a Firenze: “I fiorentini si dividono in due categorie: quelli che hanno litigato con Predieri e quelli che prima o poi ci litigheranno”. E fu così che Indro promosse Predieri, cattedratico eminente, a pieni voti.
Paolo Armaroli – Professore ordinario di Diritto Pubblico comparato, Docente di Diritto parlamentare, già deputato e per anni collaboratore del “Giornale” di Montanelli