Per il 2022 “i prezzi al consumo accelererebbero al 2,8%”, sospinti “principalmente dagli effetti del rincaro dei beni energetici”. Una condizione che rischia di incidere sulla redistribuzione della ricchezza in Italia, dove più del 50% del patrimonio delle famiglie è rappresentato dalla proprietà di abitazioni.
La circostanza può “rappresentare un freno alla mobilità sul territorio e limitare l’adeguamento della dimensione dell’abitazione alle esigenze delle famiglie nel loro ciclo di vita”.
Il monito arriva da Luigi Cannari, Capo del Dipartimento Mercati e sistemi di pagamento della Banca d’Italia e autore del libro, insieme a Giovanni D’Alessio, La ricchezza degli italiani edito da Il Mulino (2006). A 15 anni dalla pubblicazione, Cannari sottolinea che “al tradizionale dualismo tra Centro Nord e Mezzogiorno, negli ultimi due decenni si è aggiunta una stratificazione della povertà per età e cittadinanza, che vede in posizione svantaggiata i minori e gli immigrati”.
Oltre a sottolineare che “nel nostro Paese la persistenza intergenerazionale delle condizioni economiche in termini di reddito e ricchezza è elevata” e che “l’istruzione può giocare un ruolo fondamentale” per ridurre questo legame.
Secondo Banca d’Italia e Istat, la ricchezza delle famiglie italiane è più di 8 volte il loro reddito disponibile. Più del 50% è rappresentato dalla proprietà di abitazioni. Questa staticità danneggia l’economia e la circolazione del denaro?
Secondo i dati i più recenti della Banca d’Italia (relativi alla fine del 2019) la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 9.916 miliardi di euro, 8,4 volte il reddito disponibile. Il livello di quest’indicatore è amplificato dal ristagno ventennale dei redditi delle famiglie italiane.
Se misurata in rapporto alla popolazione, in Italia la ricchezza netta familiare è risultata superiore agli altri Paesi nel 2008 e nel 2009; negli anni successivi essa è rimasta stabile, mentre negli altri Paesi è aumentata. Alla fine del 2017 (ultimo anno per il quale sono pubblicati i confronti con gli altri Paesi) il valore della ricchezza pro capite delle famiglie italiane si è collocato leggermente al di sopra di quello delle famiglie tedesche; era inferiore a quello di altri paesi europei.
Nel 2017 per l’Italia il peso delle attività reali sulle attività complessive (59%) è risultato simile a quello di Francia e Germania (attorno al 58%) e superiore a quello di Regno Unito (47%), Canada (44%), Giappone (37% nel 2016) e Stati Uniti (33% nel 2016), confermando la rilevanza degli investimenti non finanziari, e soprattutto immobiliari, delle famiglie nel nostro Paese.
Il bene-casa in questo discorso come si colloca?
La preferenza verso questo tipo di impiego del risparmio riflette la duplice funzione che la casa può assolvere, in quanto bene che fornisce un servizio abitativo e in quanto investimento. Una propensione elevata all’acquisto dell’abitazione di residenza (più diffusa che in altri Paesi europei) deriva da vari fattori, legati alle preferenze personali, al funzionamento del mercato degli affitti adesso e negli anni passati, ai tassi di inflazione elevati della seconda metà del secolo scorso, al trattamento fiscale del patrimonio abitativo, alla dinamica dei prezzi delle abitazioni, che in passato ha consentito di realizzare plusvalenze significative. Una quota di ricchezza immobiliare più alta che in altri paesi non necessariamente rappresenta un problema per l’economia. Un’elevata quota di famiglie in possesso della propria abitazione può però essere indizio di un mercato degli affitti non abbastanza fluido, rappresentare un freno alla mobilità sul territorio e limitare l’adeguamento della dimensione dell’abitazione alle esigenze delle famiglie nel loro ciclo di vita.
Nel 2020 l’Istat ha registrato il record denatalità: 15mila nascite in meno. E nel 2021 sono già 12.500. I patrimoni si concentrano sempre di più nelle mani di poche persone e l’eredità, di conseguenza, assume sempre più importanza. È utile intervenire sull’imposta di successione per redistribuire la ricchezza?
Il legame tra demografia, imposte di successione, concentrazione della ricchezza e, aggiungo, uguaglianza di opportunità è complesso. In taluni casi le eredità hanno una natura accidentale (dovuta all’impossibilità di prevedere la fine della vita) e l’imposta non ha rilievo sull’incentivo ad accumulare. L’eredità, tuttavia, in generale scaturisce da comportamenti intenzionali dovuti ad altruismo o altre motivazioni strategiche o di scambio. In questi casi la tassazione costituisce un disincentivo all’accumulazione di ricchezza aumentando il costo relativo del trasferimento intergenerazionale rispetto ai consumi. D’altro canto per ogni eredità trasmessa vi è un ricevente per il quale è l’eredità che costituisce un disincentivo al risparmio. Non è dunque agevole trarre una conclusione sul saldo netto tra i benefici e i costi di un intervento del genere.
In un’ottica più ampia di riforma della fiscalità sarebbe comunque opportuno evitare di aumentare il livello complessivo del prelievo, già alto nel confronto internazionale, soprattutto per quanti rispettano pienamente le regole. Potrebbe invece essere auspicabile una riallocazione del carico fiscale dal lavoro alla proprietà.
Nel 2021 ci sono stati più di 400 nuovi miliardari secondo Forbes. E in particolare è nata una nuova classe: quella dei ricchi grazie alle criptovalute. Quali sono i rischi di questo mercato?
Le cosiddette valute virtuali (o valute digitali o cripto-attività o criptovalute) sono un bene speculativo, in altre parole un investimento potenzialmente molto rischioso.
Le banche centrali non controllano la circolazione delle cripto-attività; questo significa che, secondo le regole attuali, esse non possono essere considerate una valuta vera e propria. Il quadro normativo della materia è, tra l’altro, ancora incerto e tutti i rischi di cadere in una truffa restano a carico di chi acquista le valute virtuali. Non sono quindi adatte a chi cerca una modalità di risparmio in qualche modo sicuro.
Proprio per questi motivi nel sito della Banca d’Italia vi sono avvertenze che mettono in luce i rischi in cui si incorre nell’utilizzo di queste attività (https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/avvisi-pub/avvertenza-valute-virtuali/index.html).
In Italia, a dicembre, l’inflazione è salita al 3,8% dal 3% di ottobre. Continuerà a correre? Dobbiamo essere preoccupati perché lontana dall’auspicabile 2%? Saliranno ancora i prezzi?
Secondo le proiezioni macroeconomiche per l’Italia pubblicate in dicembre dalla Banca d’Italia (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/proiezioni-macroeconomiche/index.html), i prezzi al consumo accelererebbero al 2,8 nel 2022, sospinti principalmente dagli effetti del rincaro dei beni energetici, che si esaurirebbero verso la fine del prossimo anno. In linea con l’ipotesi di una graduale discesa dei prezzi delle materie prime energetiche, l’inflazione scenderebbe all’1,5 per cento nel 2023 per risalire in misura contenuta l’anno dopo, all’1,7 per cento, riflettendo la graduale accelerazione dei salari e la riduzione dei margini di capacità inutilizzata.
Questo scenario è fortemente dipendente dalle ipotesi sull’evoluzione della pandemia e sugli effetti delle misure di sostegno, tra cui quelle incluse nel PNRR. Un deterioramento del quadro epidemiologico rispetto a quello ipotizzato potrebbe determinare maggiori limitazioni alla mobilità e incidere negativamente sulla fiducia dei consumatori e delle imprese, ostacolando la ripresa dell’attività economica. Le proiezioni, inoltre, rimangono condizionate alla piena ed efficace attuazione degli interventi previsti dal PNRR.
Ulteriori fattori di rischio sono connessi con l’intensità e la durata delle tensioni dal lato dell’offerta e con la possibilità di un andamento meno favorevole della crescita e del commercio mondiale. L’inflazione potrebbe risultare più elevata di quanto previsto se le quotazioni energetiche dovessero mantenersi su livelli elevati più a lungo di quanto ipotizzato e se fosse maggiore la trasmissione alla dinamica salariale del recente forte incremento dei prezzi al consumo.
E per l’inflazione nell’eurozona cosa si prevede?
Nell’area dell’euro (rilevante per le decisioni di politica monetaria) l’inflazione dovrebbe scendere lievemente al di sotto del 2 per cento alla fine del 2022 e collocarsi all’1,8 per cento nel 2023 e nel 2024. Le pressioni sui prezzi sono aumentate considerevolmente negli ultimi mesi e l’inflazione avrebbe raggiunto un massimo nel quarto trimestre del 2021. Tali pressioni, ancorché notevolmente più intense del previsto, sono ancora ritenute in larga parte temporanee.
Il socialista Richard H. Tawney diceva: «Quello che i ricchi chiamano il problema della povertà, i poveri lo chiamano il problema della ricchezza». La ricchezza è davvero un problema o lo è il modo in cui viene gestita?
La ricchezza è il complesso dei beni materiali e immateriali che hanno valore di mercato e sono quindi scambiabili contro moneta o altri beni; rappresenta l’ammontare di risorse che possono essere consumate nel presente o nel futuro, direttamente da chi le detiene o dai propri discendenti. In sé una maggiore quantità di risorse disponibili non rappresenta un problema; può esserlo il modo in cui queste risorse si formano o vengono distribuite. Su quest’ultimo aspetto va osservato che la disuguaglianza della ricchezza in Italia risulta relativamente contenuta nel confronto internazionale, anche se alcune categorie di famiglie risultano in condizioni di maggiori difficoltà rispetto ad altre. Al tradizionale dualismo tra Centro Nord e Mezzogiorno, negli ultimi due decenni si è aggiunta una stratificazione della povertà per età e cittadinanza, che vede in posizione svantaggiata i minori e gli immigrati.
Quali sono i fattori che determinano la formazione della ricchezza?
Sotto il profilo della formazione della ricchezza è importante comprendere quanto pesano fattori come il talento imprenditoriale o la dedizione al lavoro o atteggiamenti rivolti al risparmio anziché ai consumi rispetto a condizioni di partenza che possono favorire o ostacolare il successo delle persone (come per esempio le caratteristiche della famiglia di origine). Studi condotti sull’Italia mostrano che nel nostro Paese la persistenza intergenerazionale delle condizioni economiche in termini di reddito e ricchezza è elevata; spesso accade che si è ricchi o poveri perché quella è la classe sociale di provenienza. Nell’attenuare questo legame con le condizioni di partenza l’istruzione può giocare un ruolo fondamentale.
*Giornalista