L’energia, anche nucleare, sarà uno dei temi centrali per lo sviluppo del Paese nel futuro, ma dobbiamo parlarne oggi. A dirlo è Marco Fioravanti, 42 anni, dal 2019 sindaco di Ascoli Piceno e parte delle nuove leve sui territori del partito di Giorgia Meloni. Ecologista convinto, ha pubblicato per Baldini + Castoldi il saggio Noi siamo l’ambiente. Per una rivoluzione ecologica dei cittadini. Un manifesto politico e culturale per coniugare la conservazione del pianeta con lo sviluppo economico e le esigenze sociali.
Il suo libro – lei scrive – è un progetto civico dalla prospettiva di un sindaco, che è sentinella del suo territorio e dunque dell’ambiente. Quali sono i principi alla base?
La motivazione per scriverlo mi è nata dalla sensazione di vivere con impegno e determinazione il mio ruolo istituzionale incontrando a volte talebani o negazionisti del clima, ma in maggioranza persone di buon senso consapevoli che stiamo vivendo una fase di transizione ecologica e di cambiamento climatico. A loro voglio offrire una prospettiva di conservazione del pianeta definendo politiche che uniscano alla cura dell’ambiente sviluppo economico, benessere sociale e qualità di vita.
Insomma, no oltranzismi e allarmismi ma nemmeno negazionismi. Non c’è contraddizione, lei scrive, tra natura incontaminata e luoghi antropizzati. A vedere il dilagare dell’overtourism non si direbbe. Sicuro che non sia una dichiarazione troppo ambiziosa?
Sono positivo di carattere e la mia esperienza da sindaco mi fa guardare al futuro con ottimismo, anche perché l’alternativa è l’inazione. Anche se viviamo in una fase estremamente critica – anche sul piano culturale – si può costruire una prospettiva di speranza. La scuola ha un ruolo importante nel creare consapevolezza. I più ambientalisti sono i bambini. Si tratta di immaginare i lavori del futuro, causati dalla transizione ecologica, e di lavorare sulla motivazione di ognuno. Spesso si punta il dito sull’industria e si dimentica l’importanza delle buone pratiche.
Irrigare in modo oculato, fare docce brevi e non esagerare con i condizionatori è doveroso. Ma è innegabile che il cambiamento principale debba avvenire a livello istituzionale e governativo. Pensiamo ai rifiuti: lei giustamente caldeggia l’economia circolare, ma a Roma abbiamo criticità anche con la raccolta differenziata…
C’è ovviamente un tema di dimensioni urbane che porta con sé una complessità di gestione. Per pretendere un servizio efficiente bisogna partire dalla riduzione degli sprechi e dal concetto del riciclo. L’obiettivo europeo dei rifiuti zero è irraggiungibile, e come tale può demotivare. Sono i piccoli passi ad accendere la miccia del cambiamento e solo la trasparenza può coinvolgere il cittadino. Per ridurre le discariche l’unica soluzione è l’economia circolare. La globalizzazione ha portato valore, ma il mondo è fatto di prodotti finiti e non infiniti. Bisogna recuperare gli oggetti.
Anche l’Ue lo ha capito e si sta muovendo con norme contro l’obsolescenza programmata e per il recupero dei prodotto tecnologici. È la direzione giusta?
Sì, ma l’agenda di Bruxelles diventa debole senza un lavoro dal basso. Le regole dall’alto non riescono a imporsi se non si costruiscono una cultura nuova e un progetto sociale.
Sul tema cruciale dell’energia, lei è favorevole al disaccoppiamento del prezzo del gas dalle rinnovabili, che fa litigare anche le industrie energivore con le utility, e all’estrazione del gas in Italia. Quest’ultimo punto è controverso: non è rischioso toccare in modo invasivo il territorio italiano così fragile, variegato e antropizzato? Lei è favorevole anche al ritorno della produzione industriale in Italia, ma nella pianura padana i livelli di anidride carbonica sono oltre le soglie di tollerabilità…
Sono senza dubbio favorevole al disaccoppiamento dei prezzi. Più in generale, serve una visione collettiva che vada oltre la sindrome Nimby (Not in my backyard, non nel mio cortile). È vero quel che dice della pianura Padana, ma ci sono altre parti del territorio nazionale che senza sviluppo rischiano la desertificazione. Serve un piano energetico e industriale nazionale che vada oltre i disegni locali e regionali.
A proposito, un recente report del governo prende atto che nell’arco di vent’anni molti borghi interni, soprattutto al centro-sud, sono condannati alla decadenza e allo spopolamento. Lei invece ipotizza il rilancio delle aree interne e dell’Appennino centrale. Ma come si inverte la tendenza in atto?
I dati sulle prospettive lavorative e demografiche delle aree interne e dell’Appennino centrale sono oggettivamente brutti. Ma coltivo la speranza, soprattutto dopo il Covid che ha portato alla scoperta della necessità di coniugare lavoro e qualità di vita. Le nuove tecnologie e lo sviluppo digitale offrono una prospettiva: c’è un milione di smart worker che sta decidendo dove andare a vivere.
Come li convincerebbe a scegliere quelle zone?
Servono tre elementi: uno, infrastrutture digitali; due, abitazioni; tre, lavoro. Tutto questo richiede impegno politico perché quella è l’Italia in salita dove i costi di trasporto, logistica, manutenzione, eccetera sono più alti per chi vuole investire. Quindi serve un’azione forte per mettere quei territori alla pari con l’Italia in discesa.
Beh, il suo partito – FdI – è quello che dà le carte in maggioranza. L’impegno politico necessario lei lo vede?
C’è una discussione in atto. Ma non esistono scorciatoie. Dobbiamo costruire una soluzione complessa a un problema complesso. Non basta un decreto. E bisogna dire con chiarezza che la politica Strategia nazionale aree interne (Snai) va rivista e ricostruita da capo. Il perimetro così è troppo ampio e difficile da mappare. Il governo però ha rifinanziato anche quest’anno la zona franca urbana all’interno del cratere sismico.
Lei pone il tema del dissesto idrogeologico ed evoca la sostituzione delle caldaie a gas con pompe di calore meno inquinanti. Le piacciono, giustamente, i viali alberati che catturano CO2. Ma i soldi per tutto questo voi sindaci dove li troverete?
Tutto questo chiama in causa la fiscalità e gli impegni nazionali ed europei. Faccio un esempio: circa 500mila edifici sono a rischio idrogeologico, praticamente quanti quelli ristrutturati con il superbonus. Ebbene, alcuni di essi si sovrappongono, sono efficientati energeticamente ma rischiano lo stesso di crollare.
Sta dicendo che i problemi ambientali italiani li ha causati il superbonus?
Sto dicendo che serve un manifesto politico più realistico che risponda alle esigenze e alle priorità delle famiglie e dei territori. Ed è compito anche delle Regioni mettere in sicurezza il territorio. Il nuovo programma di efficientamento energetico europeo però ha un compito importante, coniugare sostenibilità ecologica ed economica. Quante persone oggi si possono permettere un’auto elettrica?
Nel libro lei esprime dubbi sul fotovoltaico, sottolineando i costi per smaltire poi i pannelli. In Maremma c’è la rivolta contro il progetto di un mega parco eolico con pale alte duecento metri tra i vigneti di Morellino. Se però va ridotta la dipendenza dai combustibili fossili, come se ne esce?
Intanto, anche sulle rinnovabili serve un piano nazionale che definisca in modo complessivo le aree idonee. Altrimenti il primo imprenditore che arriva può avere il potere di compromettere il paesaggio. Ma va detto che le rinnovabili da sole non potranno mai dare l’indipendenza energetica.
So dove sta andando. Dritto verso il nucleare, che piace alla maggioranza di governo e soprattutto alla Lega. Lei è convinto?
Toccare il tema del nucleare è scomodo, ma va fatto. Non sono né pro né contro ma considero importante parlarne, altrimenti arriveremo a un punto in cui ci verrà imposto. Meglio affrontare il tema oggi – ascoltando gli scienziati sull’atomo di terza generazione – perché fra cinque anni saremo fuori tempo massimo e la politica delle rincorse ha fallito. Acqua ed energia saranno i temi cruciali del prossimo futuro. Dobbiamo programmare con consapevolezza.