Il presunto primato della cultura scientifica in contrapposizione alla cultura umanistica non solo non aiuta, ma ripropone steccati e confini tra saperi che non corrispondono alle interrelazioni oggi necessarie. La grande lezione di Adriano Olivetti, visionario ma non utopista: per il cambiamento è indispensabile l’integrazione tra la cultura tecnico-scientifica e la formazione umanistica. La questione del “gender gap” nelle scienze STEM, tradizionalmente maschili.
Il pianeta che ci ha restituito la pandemia è più complicato da vivere di quello che abitavamo. La pandemia ha costituito il detonatore di contraddizioni e di disuguaglianze, riproposte acuite e prepotentemente esplose. L’ingenuo appellarsi alle magnifiche sorti e progressive dell’umanità, secondo le quali non poteva che andare tutto bene, ha rivelato ancora una volta la scarsa pregnanza rispetto alla vita reale.
La società gassosa, nel proprio dilagare, non si fa imprigionare negli schemi conosciuti. Per chi avesse deciso di rimuovere le complicazioni del presente, si è incaricata la guerra, irrompendo prepotentemente, di rammentare che se vogliamo che tutto vada bene, o almeno che molto vada bene, occorre costruire percorsi adeguati per benessere, pace e democrazia, obiettivi raggiungibili solo con scelte personali responsabili e politiche pubbliche adeguate e coerenti a tutti i livelli.
L’inedito presente richiede decisioni difficili, coraggiose, che pongano le condizioni per prendersi responsabilmente cura delle persone, delle comunità, della terra. Nulla di più ingenuo del fare ricorso a un banale scientismo, proiezione di quel “andrà tutto bene sicuramente”, che auspica che si tirino fuori dalla cassetta degli attrezzi impossibili soluzioni tecniche salvifiche e unanimemente condivise.
Non è così. Si impongono dilemmi etici, scelte alternative, necessità di farsi guidare da valori comuni ed imprimere direzionalità alle opzioni individuali e collettive. Scienza, tecnologia, filosofia devono concorrere nell’individuare soluzioni, sviluppare confronti e relazioni che aiutino a sperimentare le innovazioni e a correggere gli errori, ad ammetterli senza drammi, a costruire faticosamente politiche pubbliche adeguate con le risorse disponibili.
Dobbiamo affrontare i problemi acuiti dell’oggi ma non possiamo più compromettere la vita delle generazioni future. Ora abbiamo avuto anche l’ardire di scriverlo nella Costituzione: non possiamo più trascurare le nostre responsabilità nei confronti del futuro. Non è di aiuto stabilire semplicistiche gerarchie tra saperi, culture, discipline.
Il presunto primato della cultura scientifica in contrapposizione alla cultura umanistica non solo non aiuta, ma ripropone steccati e confini tra saperi che non corrispondono alle interrelazioni oggi necessarie, non considera i limiti e gli sviluppi all’interno di ciascuna disciplina, non si confronta con le contaminazioni che le fasi di cambiamento generano intrecciando conoscenze e discipline, andando oltre gli schemi e le contrapposizioni abituali.
In tutte le fasi di transizione si impone la necessità di rivedere anche gli strumenti di interpretazione e di intervento. La transizione ecologica e digitale deve essere governata, pone interrogativi e richiede conoscenze intrecciate, non solo multidisciplinari, ma anche interdisciplinari.
Le scorciatoie non agevolano il percorso ma lo allungano, deviandolo. Il pensiero si rivolge ancora una volta ad Adriano Olivetti, visionario ma non utopista, idealista e proprio per questo capace di scelte concrete e anticipatrici, che riteneva superati i dualismi tra le culture per innovare nei fatti .
Era convinto che per il cambiamento fosse indispensabile l’integrazione tra la cultura tecnico scientifica e la formazione umanistica. Giunse ad affidare al poeta Franco Fortini la comunicazione per il nuovissimo modello di macchina per scrivere.
Adriano Olivetti, come è noto, sosteneva che per ogni lavoratore tecnico assunto fosse necessario ricorrere anche a un lavoratore di formazione economica e legale e a un filosofo di formazione umanistica. E la scelta da tempo di molte imprese, che comprendono, e non da oggi, l’importanza della filosofia. Se lo rammenti chi anacronisticamente ripropone una visione “aziendalistica” della pubblica amministrazione, ricorrendo a una visione miope della stessa cultura delle aziende e che non corrisponde alla visione di quelle più avanzate e performanti.
Del resto, sono proprio le scelte necessarie agli sviluppi dell’intelligenza artificiale che pretendono una direzionalità anche etica dei comportamenti e del governo dei cambiamenti. Occorre superare i dualismi per un nuovo umanesimo, che integri e sviluppi saperi e metta al centro tutte le persone, accogliendo – a differenza dell’umanesimo tradizionale – tutti gli individui, nella propria diversità di uomini e di donne.
Edgar Morin ci ricorda che nei periodi complessi di cambiamento serve un pensiero altrettanto complesso che permetta di unire ciò che è separato. Le frammentazioni dello scientismo non aiutano nell’affrontare i problemi per le persone e per la Terra, se vogliamo accettare le sfide.
Occorre, dunque, non separare forzatamente conoscenze interconnesse, ma promuovere un umanesimo planetario, un umanesimo, lo sottolineiamo ancora, che riguardi non la metà dell’umanità ma tutti e tutte, uomini e donne. Michele Filiberto ha sottolineato che più il mondo è tecnologico più ha bisogno di filosofia e di etica. In effetti, i confini posti dall’etica all’intelligenza artificiale non ne compromettono lo sviluppo ma ne generano valorizzazione, ponendo l’intelligenza artificiale al servizio del miglioramento della condizione umana.
Del resto, non è questa la finalità degli strumenti? È in tale contesto che deve essere inquadrata la promozione, comunque importante e necessaria, delle materie stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Sono materie in cui si presenta in modo accentuato il gender gap. Le discipline stem sono tradizionalmente maschili. L’anacronistica visione che pretende di stabilire gerarchie tra saperi accentua la discriminazione nei confronti delle donne.
In realtà, le ragazze manifestano interesse per le materie stem, in Italia più che altrove, ma questo interesse tende a diminuire negli anni successivi della vita. Dopo la laurea, i risultati rispetto al lavoro per i laureati nelle materie stem sono molto buoni ma, purtroppo, con una profonda differenza di genere.
Il divario di genere, il linea di massima, nelle altre discipline diminuisce con il crescere del titolo di studio: più è alto il titolo di studio più si riduce il divario occupazionale di genere. Questo non corrisponde però a ciò che avviene nelle materie stem, nelle quali il divario aumenta per le donne anche dopo la laurea, non vengono assunte o guadagnano meno.
Condivido e ritengo utile l’obiettivo di incentivare e far appassionare le ragazze alle discipline stem, In parallelo, però, all’obiettivo di incidere nell’organizzazione del lavoro e di sviluppare una riflessione interna alle discipline stem.
Il minore interesse delle ragazze potrebbe essere il segnale di una difficoltà delle stesse discipline a comprendere i problemi del presente e a fornire soluzioni adeguate e convincenti.
Sono ovviamente positive le iniziative che hanno l’obiettivo di contrastare gli stereotipi di genere, i pregiudizi e che sono rivolte a promuovere l’interesse e la progressione in carriera nelle materie stem da parte delle ragazze, come stabilisce l’importante recente legge approvata dal Consiglio della Regione Lazio. È però ugualmente importante che tali iniziative si inseriscano in un contesto di interventi articolati, che non concorrano a svalutare anche nell’offerta e nella promozione culturale la cultura umanistica, che si rivolgano all’organizzazione del lavoro e ai meccanismi nei percorsi di carriera.
Una campagna rivolta semplicisticamente solo a incentivare le ragazze a interessarsi alle materie stem, se non ben impostata, costituirebbe un dubbio esito di una cultura scientista e contribuirebbe a costruire un nuovo stereotipo, differente da quello che si vuole giustamente contrastare ma ugualmente dannoso, come tutti gli stereotipi.
Daniela Carlà – Dirigente generale della Pubblica Amministrazione, co-promotrice i “Noi Rete donne”