Le due culture, il vangelo umanistico secondo Dacia

LE DUE CULTURE #8

Dacia Maraini, con la sua autorevolezza di scrittrice e intellettuale, sempre nutrita di passione civile e impegno sociale, attenta alle questioni della società, della scuola, alla questione femminile, interviene con questa intervista sul tema delle “due culture”. E ci fa entrare anche nella sua “officina di scrittrice” per raccontarci il suo metodo di lavoro e come dà vita ai suoi personaggi. Valore e funzione della memoria.

 

 

 

BeeMagazine ha avviato un dibattito raccogliendo contributi e interventi sul tema delle due culture, umanistica e scientifica. Una domanda preliminare di carattere generale: Secondo Lei che rapporto ci dovrebbe essere tra le due culture?

Secondo me l’intreccio dovrebbe essere strettissimo. La scienza ha bisogno di una visione storica e filosofica del mondo e la cultura umanistica ha bisogno di una conoscenza solida dei sistemi scientifici su cui cammina il mondo. Molti paesi l’hanno capito. Per esempio la Svizzera. A Zurigo, il Politecnico federale  internazionale dispone da anni di una cattedra umanistica, fra l’altro fondata da un italiano, Francesco De Sanctis , dove io ho insegnato per un semestre i rapporti fra letteratura italiana e mitologia greca…

Torno, per poi riavviare il discorso, su una sua frase che ha molto colpito, anche in una recente intervista proprio a questa rivista: la scuola è stata dissacrata. Ci può spiegare il come e il perché di questa dissacrazione di una delle istituzioni chiave della società?

 Il perché della dissacrazione credo stia nell’avere delegato feticisticamente ogni decisione alla  tecnologia. È bastato un invisibile virus per mandare all’aria questa ingannevole sicurezza. Si è capito che siamo fragili, che le macchine non possono risolvere le grandi questioni che ci riguardano e che a guidare i dispositivi ci deve essere una persona responsabile. La responsabilità però nasce dalla consapevolezza e la consapevolezza dalla conoscenza. L’ignoranza ci fa cascare nella prima trappola tesa da chi ci vuole privi di giudizio. Dall’ignoranza presuntuosa è nata per esempio l’idea che la scuola sia una azienda. Il preside l’hanno chiamato dirigente e si è pensato che gli studenti fossero dei prodotti da fornire alla società. Ma è un errore gravissimo. La scuola non produce, la scuola forma, il che è molto diverso. 

Secondo Lei, dato che ai temi della scuola si è sempre interessata, i programmi scolastici odierni favoriscono la sinergia tra le due culture o accentuano la loro distanza, fino a sfiorare l’incomunicabilità, in una sorta di pretesa egemonica o senso di superiorità dell’una verso l’altra?

È mancata e manca una progettualità culturale che riguardi la scuola come luogo dove si crea il futuro del paese. 

Avrà sentito parlare spesso di Nuovo Umanesimo. Perfino un ex presidente del Consiglio ne ha fatto quasi uno slogan senza mai peraltro spiegare che cosa intendesse dire. Secondo Lei un Nuovo Umanesimo, che si richiami idealmente all’Umanesimo storico, quali valori dovrebbe mettere al centro?

I valori dovrebbero essere universali, non legati alle religioni che si sono sempre fatti la guerra. Principali valori dell’umanesimo, secondo me, dovrebbero riguardare la sacralità dell’essere umano, ovvero partire dal principio che la persona non può essere torturata, ferita, sfruttata, umiliata. A corollario, dovrebbero seguire le libertà di pensiero, di parola, di movimento. E infine si dovrebbe  ribadire il diritto di ogni essere umano ad avere  una casa,  un lavoro,  cure sanitarie gratuite,  una scuola pubblica gratuita. Questi valori potrebbero essere il fondamento dei diritti umani, a cui tutti i popoli potrebbero aderire. 

Lei è una delle scrittrici italiane tra le più importanti e lette. Volendo trattare il tema delle due culture dal punto di vista del lavoro di uno scrittore: la scienza che posto ha nel suo lavoro? In altre parole, le scienze, la psicologia e la sociologia, quanto aiutano nel descrivere contesti narrativi, per collocare i personaggi, per descriverne la personalità, per far loro esprimere le emozioni e le idee (che spesso, si sa, sono dell’autore)?

Non si può prescindere da una certa quantità di conoscenze scientifiche. Avere letto Freud, Jung, come è successo a me, avere appreso tante cose da Margareth Mead, Claude Levi- Strauss, Bronislaw Malinowski  Ernesto De Martino, tanto per citarne alcuni, credo che abbia qualche importanza per uno scrittore. Per me ne ha avuta molta.

C’è qualche personaggio dei suoi romanzi a cui ha prestato un discorso o idee scientifiche? O che le è stato ispirato da qualche tema scientifico?

Più che un personaggio preciso, direi un clima, un modo di guardare il mondo.

Entriamo con discrezione  nella sua officina di scrittrice: nel creare i suoi personaggi e nel delinearne i caratteri, quale metodo usa? Ricorre a ricerche storiche, psicologiche, sociali?

Per farmi capire meglio uso una metafora: il personaggio di solito viene a bussare alla mia porta. Io apro, offro un caffè e dei biscotti. Il personaggio mi racconta la sua storia e poi se ne va. Quando invece di andare via, mi chiede la cena e poi un letto per dormire, capisco che si è accampato nella casa della mia immaginazione e so che finirò per scriverne. 

Le faccio alcuni esempi di artisti e scrittori che hanno inserito nella loro persona la convivenza sinergica tra  le due culture. Celine era un medico,  Musil un ingegnere meccanico, Quasimodo  un geometra, Gadda era ingegnere, Svevo un esperto di vernici,  Mario Tobino  uno psichiatra, Sinopoli era un direttore d’orchestra e anche un medico e archeologo. Per non parlare di Galileo che era un elegante prosatore, e di medici che erano grandi umanisti. Quali considerazioni le suggeriscono questi esempi? 

Non si tratta di avere  praticato un mestiere, ma di avere fatto delle esperienze emotive ed intellettive attorno a dei sistemi di pensiero.

La cultura quindi può essere scissa o dovrebbe tendere all’unità, dato che è sempre all’uomo che si rapporta, in una visione unitaria che Terenzio ci potrebbe suggerire  con la famosa frase “Nihil humani a me alienum puto”?

Sì, penso che Terenzio avesse ragione. Anche se oggi è più difficile mantenere questa complessità di conoscenze perché il mondo della scienza si è tanto ampliato e finiamo sempre per approfondire un piccolo spazio di terreno per costruirci una competenza. 

Lei si interessa dei problemi sociali, in particolare della scuola, delle donne, dei problemi della cultura. Qual è la responsabilità dell’intellettuale nell’orientare verso modelli culturali alternativi a quelli dominanti?

Più che orientare, l’intellettuale dovrebbe sollecitare la voglia di apprendere, di capire, di indagare.

C’è stato un momento preciso della sua vita in cui si è detta: voglio fare la scrittrice?

Ho cominciato a scrivere a 13 anni sul giornale della scuola, il Garibaldi di Palermo. Da allora ho sempre scritto. Ho avuto la fortuna di venire da una famiglia di scrittori. La mia bisnonna Cornelia Berkeley scriveva libri per bambini. Mia nonna, Yoi Crosse Pawloska scriveva romanzi di viaggio, mio padre, antropologo, ha sempre scritto libri di viaggio e di memorie.  A casa mia mancava la carne,, ma non mancavano i libri e di quelli mi sono nutrita. 

Una domanda riferita ai giovani: Deve contare la vocazione nelle scelte professionali? O si deve dare ascolto ad altre valutazioni?

Sempre seguire le proprie passioni.

Quanto la sua biografia ha influito sulla sua opera?

Tanto. I dolori, le paure, le sofferenze possono trasformarti in uno zombi oppure stimolare la voglia di crescere e capire.

Se dovesse indicare ai giovani, che di solito poco leggono, tre libri imprescindibili per la loro formazione, quali segnalerebbe?

Non esistono i libri isolati da una cultura letteraria. Si salva la tragedia greca, si salva la storiografia latina, si salva la poesia provenzale, si salva la poesia mistica italiana e così via, non il singolo libro.

Chi ama leggere di solito ha un suo livre de chevet . Ci può dire qual è il suo?

Non ho livre de chevet. Ho fatto dei lunghi viaggi meravigliosi dentro l’immaginazione di autori e autrici che mi hanno innamorata, accudita, stupita, nutrita, emozionata, arricchita.

Com’è scandita la sua giornata di scrittrice e intellettuale?

Mi alzo alle sei. Mi lavo, mi vesto, e mi metto al computer. Scrivo fino alle 11,30, quando esco per fare una camminata e prendere un caffè. Alle 12,30 pranzo, poi mi metto a leggere i giornali sdraiata sul letto. Alle tre mi rimetto a scrivere e scrivo fino alle otto. A meno che non abbia, come in questo periodo in cui ho appena pubblicato un libro, appuntamenti con scuole, biblioteche, librerie, ecc..

Dopo oltre 70 anni di pace, è caduta l’illusione che non ci sarebbero state più guerre in Europa. Invece ne è scoppiata una nel cuore del Continente. La storia non insegna nulla? Per lei la storia è magistra vitae o, come dice Montale, “non è magistra di nulla che ci riguardi”?

La memoria è la nostra coscienza, come diceva Bergson. Ora noi viviamo in una cultura che scoraggia la memoria. C’è stato perfino qualcuno che avrebbe voluto eliminare lo studio della storia nelle scuole. È la cultura del mercato che non ama la memoria, pensando che un buon compratore deve cancellare la memoria, fonte di giudizio, e diventare un fervido assuntore di mode. Quindi insisto: in questo periodo di amnesie estese, la memoria è una forma egregia di resistenza psicologica e culturale.

Per concludere con il tema delle due culture, dal quale abbiamo preso le mosse: quali valori dovrebbero essere ripristinati per costruire una nuova società autenticamente ispirata ai principi dell’umanesimo?

Ho già risposto. Non credo di volere aggiungere altro.

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

 

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