L’attacco di Israele all’Iran correva sul filo dal 7 ottobre 2023 e a quanto pare Netanyahu ha avuto buon gioco con Trump, dal momento che gli USA attendevano da 45 anni di poter intervenire in Iran. All’aggressione illegale israeliana, si è aggiunto così uno dei più spettacolari bombardamenti che gli Stati Uniti hanno sferrato dalla fine della seconda guerra mondiale. Trump, che ci mostra il volto senza vergogna degli Stati Uniti, non ha cercato fake news di sostegno. L’IAEA, che in un primo momento aveva fatto intendere che l’arricchimento dell’uranio persiano superava il limite consentito, aveva già fatto precipitosa marcia indietro denunciando che non vi erano elementi che permettessero di credere che il Paese islamico stesse costruendo ordigni atomici.
Nessun motivo, perciò, di bombardare i siti nucleari di Fordow, Tanaz e Isfahan che, oltretutto, aderendo l’Iran al programma di non proliferazione nucleare, hanno permesso controlli, al contrario di Israele che non vi ha mai aderito. L’occasione è servita, comunque, agli USA per sperimentate la potenza delle nuove bombe GBU-57 e quella dei bombardieri (B-2) in grado di trasportarle e sganciarle.
L’esigenza di ritorsione da parte di Washington contro l’Iran risale al 4 novembre 1979 e precisamente all’assalto degli studenti coranici di Khomeini all’ambasciata statunitense di Teheran e al conseguente sequestro di cinquantadue diplomatici. Il presidente Carter impiegò 444 giorni per liberarli e si giocò la rielezione, benché la sua scelta di lasciare agire la diplomazia avesse garantito l’incolumità di tutti gli ostaggi, cosa non scontata in caso di intervento militare. Più volte, sia prima che durante gli attuali reciprochi bombardamenti, Netanyahu ha invitato gli iraniani a ribellarsi e a rovesciare il proprio teocratico governo in favore della democrazia di cui l’Occidente sarebbe il baluardo.
Se guardiamo al passato, tuttavia, la presenza occidentale in Iran è stata quanto di peggio la popolazione persiana potesse volere. La lotta per liberarsi dai nostri valori è costata sangue e se vi è qualcosa da temere per loro è il ritorno di un asse britannico-statunitense-israeliano. L’Iran ha resistito a otto anni di guerra (1980-1988) con l’Iraq, scatenatagli addosso dagli USA, ha resistito alle pesanti sanzioni che il nostro Occidente gli ha inflitto nel tentativo di isolarlo, impoverirlo e rovesciare il regime degli Ayatollah.

I motivi di tanto nostro accanimento contro una Persia che non si piega, ha ragioni economiche e politiche: petrolio e gas da un lato e la supremazia di Israele, quale propaggine occidentale nel Medio Oriente, dall’altro. Andando a ritroso troviamo nel 1921 i britannici compiere in Iran il primo colpo di Stato che depone la dinastia Qaiar e pone sul trono Reza Shah Pahlavi, sciita dei Mazanderani, che mette i ricchissimi giacimenti di petrolio nelle mani del Regno Unito. Nel 1951 la popolazione persiana riesce a ottenere una elezione democratica (nessun bisogno di una nostra esportazione della democrazia) e viene eletto come primo ministro Mohammad Mosaddegh che nazionalizza il petrolio iraniano nell’interesse del proprio popolo per contrattare condizioni più eque con Regno Unito e USA.
Questa democrazia però non piace né ai britannici né agli Stati Uniti che nel 1953 fanno un altro colpo di Stato, imprigionano l’onesto Mosaddegh (morirà miseramente in cattività) e mettono il Paese nelle mani del giovane Mohammed Reza Pahlavi che firma tutte le carte che gli sono sottoposte dalle compagnie petrolifere anglo-statunitensi. La situazione è perfetta. Gli anglo-statunitensi sfruttano i giacimenti, gli USA hanno in mano l’esercito, il Mossad israeliano i servizi segreti, mentre il popolo è in miseria. Nel gennaio 1979 la rivoluzione, montata dagli studenti coranici legati a Khomeini depone lo Shah. Non è mai stato chiarito se il rovesciamento del Trono del Pavone sia stato facilitato anche da israeliani e anglo-statunitensi nel momento in cui Mohammed Reza Pahlavi pensava di rivedere gli accordi con le compagnie petrolifere.
Di certo vi è che gli USA riconoscono senza soluzione di continuità il nuovo governo di Khomeini, senza rendersi conto che, questa volta, si trovano davanti ad un interlocutore che non è possibile piegare a piacimento e che è sostenuto da una popolazione che odia i soprusi e i valori occidentali che l’hanno soggiogata per oltre cinquant’anni. Seguono il sostegno dell’Iran ai palestinesi di Arafat contro Israele e la presa in ostaggio dei diplomatici e dipendenti dell’ambasciata statunitense. Queste sono piaghe che gli USA, umiliati, non dimenticano e che nel corso degli anni cercano di fare pagare a Teheran con tutti i mezzi a loro disposizione. Primo fra tutti le sanzioni. Pare che il nostro Occidente abbia una attrazione patologica per l’imposizione di sanzioni.
Le fa piovere addosso a qualsiasi Paese non si pieghi alle proprie logiche, usando doppi standard, nel tentativo di isolare, rovinare economicamente e rovesciare governi. Al 16 luglio 2024 i Paesi sotto sanzioni/embargo erano 29 tra cui Iraq, Afghanistan, Libia (per altro devastati da USA e NATO su fake news) per non parlare di Cuba, l’Isola che non ha voluto abbassare la testa, condannata dagli Stati Uniti alla fame a causa degli embarghi imposti per altro dichiarati ripetutamente e inutilmente illegittimi dall’ONU.
Attraverso gli anni, tuttavia, i Paesi sanzionati, diventando sempre più numerosi, si sono organizzati per trovare mezzi per aggirarle. I BRICS (47% del petrolio mondiale, 37% dell’economia mondiale, 41.5% della popolazione mondiale) sono diventati una realtà che sempre più insidia la supremazia del dollaro e, oltre a proteggersi reciprocamente, permettono transazioni tra i membri tramite le proprie monete e, dal 2015, anche un sistema BRICS Pay.

L’Iran, comunque, dal suo canto, nel corso degli anni ha cercato innumerevoli volte di avvicinarsi agli USA e trovare un accordo anche sul nucleare in cambio di una prospettiva di pace, ma gli States sono stati inamovibili. Quando il 30 ottobre 1991 è organizzata la conferenza di Pace di Madrid per creare progetti di collaborazione tra Israele e Paesi Arabi, l’Iran è il solo Paese dell’area medio orientale a non essere invitato anche se durante la guerra del Golfo aveva concesso agli statunitensi il proprio spazio aereo per bombardare l’Iraq.
Questo porta Teheran a creare l’Asse della Resistenza (formato da Hamas, Jihad islamico e Hizballah) che combatte la presenza occidentale in Medio Oriente rappresentata da Israele. L’11 settembre 2001 segna un riavvicinamento tra Stati Uniti e Teheran. Washington attacca l’Afghanistan e nuovamente gli interessi di Washington e Teheran sembrano confluire in un riavvicinamento. L’Iran nuovamente concede lo spazio aereo per bombardare il Paese dei Talebani e gli USA non disdegnano l’aiuto dell’Asse della Resistenza nel conflitto.
La conferenza internazionale di Bonn (dicembre 2001) in cui viene decisa la formazione del nuovo governo afgano è un altro importante momento di avvicinamento. L’Iran chiede a Washington un’apertura verso accordi di pace tramite l’ambasciatore svizzero e propone di disarmare Hamas, il Jihad islamico e Hizballah in cambio dell’annullamento delle sanzioni e del riconoscimento del proprio ruolo da protagonista nell’area. Ma Bush Jr., che ha al suo fianco Dick Cheney, Colin Power e Donald Rumsfel, fa cadere il tutto nel vuoto. Ancora una volta tale diniego è male vissuto. Considerati i colpi di Stato in Afghanistan e Iraq, quelli già subiti dall’Iran in passato e la facilità con cui gli USA, insuperabili Maestri del settore, rovesciano i regimi che ritengono ostili ai propri interessi, Teheran si preoccupa.
L’Ayatollah Khamenei, reagisce alla chiusura occidentale incentivando la corsa al nucleare. L’elezione di Obama permette una tregua con l’accordo sul nucleare stipulato a Vienna nel 2015, ma la successiva elezione di Trump vede gli USA inaspettatamente recedere unilateralmente. Intanto l’Iran si lega alla Russia e alla Cina, Paesi in cui i motivi di diffidenza, ostilità e paura nei confronti dell’Occidente sono altrettanto ben motivati che in Persia.
Se l’Iran è stato derubato per decenni e ha subito colpi di Stato e guerre sanguinose per l’avidità dell’Occidente, la Cina mantiene viva nella memoria del suo popolo quella che è stata la Guerra dell’oppio, la più oscena guerra che i britannici possano vantare, che ha asservito l’economia cinese e ha causato milioni di morti tra guerra di liberazione e guerra civile; la Russia, non da meno, ha alle sue spalle l’inaffidabilità degli Stati Uniti e l’estensione della NATO a Est in spregio degli accordi presi nel 1990, quando l’URSS si è dissolta. Molto è cambiato in tempi rapidissimi in Medio Oriente.
Impegnata la Russia nella guerra d’Ucraina, strangolata l’economia europea al servizio degli USA, cui l’UE non ha saputo opporsi, gli Stati Uniti si preparano da tempo a quella che è la loro più importante partita: la supremazia del Pacifico, insidiata dalla Cina. Dopo essersi coinvolti in primis in numerose sanguinose guerre che loro stessi hanno creato, ed averle perse tutte (Corea, Vietnam, Iraq, Libia, Afghanistan), gli States armano quelli che considerano loro alleati.
Il potere degli USA in Europa è più che consolidato: coinvolti dai britannici nelle due guerre mondiali, vi si sono radicati sia soli che come membri della NATO; il riarmo europeo imposto a cifre insostenibili è una realtà e non pare vi sia dubbio che, a un semplice cenno, l’UE si schiererebbe al fianco degli Stati Uniti anche all’altro capo del mondo. Il Giappone, disseminato di basi statunitensi, malgrado abbia nella sua carta costituzionale (scritta e imposta dagli americani) il disarmo perenne, è costretto ad armarsi al pari della Corea del Sud, anch’essa occupata e disseminata di basi statunitensi.
Per quanto riguarda giapponesi e sud coreani, che armati e addestrati potrebbero essere in prima fila per proteggere gli interessi americani nel Pacifico, tuttavia, forse gli Stati Uniti farebbero bene a non dare il loro asservimento per scontato. I giapponesi non dimenticano che su un Giappone già arreso, gli USA hanno sganciato le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki; e i coreani, tutti, sia del Nord che del Sud, non dimenticano che nella guerra di Corea gli statunitensi, non contenti di avere smembrato il loro Paese al 38° parallelo per paura di un comunismo che non li insidiava ai loro confini, ma aveva tanto di Oceano in mezzo, hanno sterminato circa tre milioni di loro fratelli nella più efferata macelleria del secondo dopo guerra.
La proposta (che sembra aleggiare) di alleggerire da parte degli USA le sanzioni (e magari anche sollevarle) con l’Iran potrebbe essere un primo passo verso un periodo di distensione in Medio Oriente non solo nell’interesse di Israele, ma anche della popolazione palestinese che subisce il costante efferato insopportabile massacro di cui il mondo intero è testimone e l’intero Occidente è complice. Lo scambio di interessi commerciali che sembra possa aprirsi tra USA e Cina permetterebbe di evitare nuove guerre dagli esiti incerti. L’imprevedibilità di Trump se da un lato non consente di fare previsioni, dall’altro non impedisce di sperare.
Fonti:
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