Italiani ricchi o poveri? Dipende. Tra vincoli e sfide l’Italia è ferma

Il “Manuale di sopravvivenza economica” di Bruchi e D’Ippoliti: viaggio in un Paese in ristagno che deve imparare a gestire e non subire i fenomeni

Ma gli italiani sono ricchi o poveri? A favore della prima ipotesi c’è qualità di vita ovvero benessere, risparmio privato, aspettativa di vita, buona salute. A favore della seconda, stipendi al palo, tasse alte, servizi pubblici inefficienti, evasione fiscale ed economia sommersa. Ma a differenza del meteo, in economia il dato reale non è quello percepito. Bisogna guardare al futuro, scegliere anziché subire. E stare attenti all’effetto farfalla: quello che si decide a Bruxelles, Francoforte o Washington ha conseguenze concrete per il nostro lavoro, la spesa al supermercato, il costo delle vacanze. Chi lo nega è un illuso.

Il libro

Ricchi o poveri. Manuale di sopravvivenza economica, scritto per RaiLibri da Annalisa Bruchi (giornalista del servizio pubblico che si è fatta le ossa con Giovanni Minoli, da cinque anni conduttrice di Restart su RaiTre) e Carlo D’Ippoliti (docente di Economia politica alla Sapienza di Roma) è una sorta di Manuale delle Giovani marmotte per adulti contemporanei in un mondo ostile in cui si susseguono le crisi. Con dati, diagrammi, tabelle, ma anche aneddoti e testimonianze, il libro attraversa trent’anni di storia economica e politica del nostro Paese – dall’euro alla caduta del governo Berlusconi per lo spread, dall’austerity di Mario Monti al Pnrr, dalla pandemia Covid alle due guerre in corso – lungo un filo rosso ineludibile: perché il resto del mondo cresce e l’Italia ristagna?

Gli errori

Ognuno ha una spiegazione diversa, e gli autori ne prendono nota. Gli errori della moneta unica, la denatalità, l’irripetibilità dell’accoppiata urbanizzazione e industrializzazione, adesso i dazi di Trump. La cruda realtà però non cambia, tante grandi industrie sono nel tempo o falliti o finiti in mani straniere: Indesit, Zanussi, Eridania, Alitalia, Olivetti, Parmalat, Pirelli, Peroni, Perugina, Galbani, Locatelli ma anche aziende del settore auto, chimico farmaceutico, e grandi marchi della moda e del lusso come Gucci, Bulgari, Fendi, Versace, Valentino, Brioni, Lamborghini, Ducati. L’elenco fa impressione. Insomma, ci siamo deindustrializzati a favore dei servizi, abbiamo delocalizzato rischiando di trasformarci da seconda o terza manifattura europea in Paese a vocazione turistica modello Maldive.

La classe media

Bruchi e D’Ippoliti passano in rassegna anche i problemi che affliggono la squeezed middle class, il ceto medio che dalla politica è coccolato a parole e tartassato nei fatti. I salari amari fermi da decenni, troppo bassi per incentivare i consumi, che favoriscono sì occupazione ma a bassa tecnologia. Altro punto interrogativo, taglio del cuneo e bonus rilanciano la crescita o la drogano?

La competitività

Ma a proposito di competitività, due sfide sono ineludibili: la transizione digitale e quella ecologica. Opportunità da cogliere, ma anche da gestire per evitare di esserne sommersi. L’AI è già tra noi. ChatGpt, i droni per le consegne di Amazon, le auto senza pilota, le smart factory, lo smart working. È una trasformazione che distrugge posti di lavoro (nelle fabbriche, negli uffici, nelle redazioni, negli studi legali) e ne crea di nuovi. Allora siamo pari? Non proprio. In primo luogo il Rapporto Draghi ha messo in evidenza come i nuovi posti nascano negli Usa più che in Ue. E poi sono nuovi lavori non nuovi posti. Significa che un lavoratore quaranta-cinquantenne deve formarsi, aggiornarsi, modernizzarsi. Le nostre politiche attive del lavoro sono in grado di sostenerli? E quanto inciderà il digital divide, la faglia geografica, anagrafica, sociale che separa gli informatizzati dagli analfabeti tecnologici?

Quale transizione?

Ma neppure la transizione green (tutti sogniamo prati verdi, cieli azzurri e città pulite) è esente da rischi. L’Europa, scrivono i due autori, finora ha stimolato più i consumi di energie alternative, dai pannelli solari alle pale eoliche, che la loro produzione. Dovremo sperare che grazie ai dazi trumpiani i cinesi verranno a produrre qui da noi le loro auto elettriche? Anche la sglobalizzazione, oltre a essere criticata, va governata. Le soluzioni esistono, promettono Bruchi e D’Ippoliti. Dagli eurobond al ruolo cruciale della Bce, fino a un’Agenzia europea del debito pubblico. E tuttavia, l’Europa appare un gigante dai piedi d’argilla, ricco di potenzialità e povero di energia. Lento a coordinarsi, restio ad abolire la regola dell’unanimità per le decisioni dei Ventisette, timoroso nell’agire contro i paradisi fiscali interni che fanno dumping agli altri Stati, diviso sulla risposta al bullismo economico del presidente Usa. Se saremo ricchi o poveri, alla fine, dipenderà dalle nostre singole scelte che collettivamente determineranno l’effetto farfalla decisivo.

Foto: RaiLibri

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