Oltre il risiko, ecco il nuovo volto del sistema bancario italiano

Cosa sta succedendo davvero nel sistema creditizio italiano? Lo spiega a Beemagazine Andrea Monticini, professore di econometria finanziaria alla Cattolica di Milano

Andrea Monticini è professore ordinario di econometria finanziaria alla Università Cattolica di Milano. Senese, classe 1976, economista, esperto di finanza e di credito, è la persona giusta a cui rivolgersi per cercare di capire che sta succedendo in questa sempre più intricato – e incomprensibile ai più – risiko bancario.

Andrea Monticini

Professore, cominciamo dallo scenario generale. Ci aiuti a comprendere perché tanta agitazione.

È un processo che era nell’aria da vent’anni. Sempre meno banche medio-piccole, sempre più grandi gruppi. È un processo di concentrazione naturale: da un lato consente di assorbire meglio eventuali shock negativi, come una recessione o altro, grazie alla diversificazione; dall’altro risponde alla necessità degli istituti di credito di investire pesantemente, com’è obbligatorio, nelle nuove tecnologie. Un costo che solo strutture di dimensioni maggiori riescono a sostenere in una logica di economia di scala. C’è anche un altro aspetto: dal 2008 in poi il sistema bancario ha attraversato anni complicati, tra crisi e salvataggi. Poi, con l’inflazione e il conseguente rialzo dei tassi d’interesse dal 2020, la redditività delle banche è migliorata e il valore delle loro azioni in Borsa è salito. Oggi le banche si scambiano azioni — carta contro carta, di fatto — sempre in questa logica di crescita e di aggregazione, così da reggere meglio gli investimenti tecnologici che il mercato impone.

Questo è lo sfondo su cui, se capiamo bene, attraverso varie combinazioni si cerca di ridisegnare la mappa del sistema bancario italiano.

Sono tutti casi un po’ diversi e specifici. Unicredit, per esempio, punta a uno scambio di azioni con Banco BPM per rafforzarsi in Italia e avvicinarsi dimensionalmente a Intesa Sanpaolo, che è il vero colosso nazionale. MPS e Mediobanca invece sono un’altra storia: pur chiamandosi entrambe “banche”, in realtà operano su segmenti di mercato molto differenti, quindi in questo caso il discorso delle economie di scala regge meno. Mediobanca, soprattutto, è più una investment bank, e l’operazione con Banca Generali ha una sua logica perché principalmente si muovono entrambe nel mondo della gestione dei patrimoni. In ogni caso, il tema resta lo stesso: crescere di dimensione per avere più clienti, più forza, più economie di scala e più redditività. Soprattutto in vista di un futuro in cui i tassi torneranno a scendere e fare ricavi – e dunque profitti – sarà più difficile.

Dal punto di vista quindi del senso industriale, banalmente, l’operazione Montepaschi su Mediobanca lei dice sembra meno logica, mentre invece quella di Mediobanca su Banca Generali sembra più sensata.

Se devo guardarla dall’esterno, senza entrare nel merito della convenienza, l’operazione più lineare è quella tentata da Unicredit su Banco BPM. È il classico caso di due banche che operano sullo stesso segmento di mercato e cercano di fondersi — o almeno di integrarsi — per aumentare la dimensione e sfruttare al massimo i vantaggi delle economie di scala.

Ma a parte Banca Generali, il piatto forte è la società assicurativa di Generali…

Assicurazioni Generali puntano a spingere sempre di più verso il comparto della gestione del risparmio, che resta uno dei veri fiori all’occhiello del sistema finanziario italiano.

Ma se Mediobanca rinuncia alla sua quota di Assicurazioni Generali per acquisire Banca Generali, non sta rinunciando a una cosa che ha un valore maggiore? Perché lo sta facendo? 

C’è sicuramente un valore nella partecipazione che Mediobanca detiene in Generali: è un asset importante di per sé. Tuttavia, il punto centrale è che il core business di Mediobanca non consiste nell’avere una quota in una grande compagnia assicurativa. Dal punto di vista economico, quindi, è probabile che l’interesse sia quello di concentrarsi maggiormente sul proprio settore di riferimento, ampliando anche la propria base clienti. Certo, Mediobanca e Banca Generali non sono perfettamente sovrapponibili, ma sono comunque molto più affini rispetto a una semplice partecipazione in una grande compagnia assicurativa di dimensioni così importanti, che richiederebbe risorse e competenze specifiche per essere gestita.

Si può affermare che il tentativo di OPA di Montepaschi su Mediobanca a questo punto sia stato oggettivamente reso superato dall’OPS di Mediobanca su Banca Generali?

No, non credo che sia superato, In linea generale, direi di no. La partita è ancora aperta. La mia impressione è questa sia anche una mossa da parte di Mediobanca per cercare di aumentare il proprio valore.

Abbiamo visto che il governo è intervenuto con il golden power sulla proposta di Unicredit su Banco BPM. A parte le obiezioni di Unicredit, molti osservatori hanno definito questo intervento abbastanza strano o comunque inconsueto. Che ne pensa?

La situazione è complessa, e credo sia normale che le autorità vogliano prendersi tutto il tempo per valutare bene, perché qui parliamo di due grandi banche essenzialmente italiane che si muovono all’interno del mercato creditizio nazionale. Qualunque decisione su operazioni di questo tipo deve essere davvero ben motivata, perché l’impatto è significativo. Da quello che so, tra l’altro, le informazioni complete su questo intervento non sono state rese pubbliche completamente, ma sono state comunicate solo alle parti coinvolte, quindi si fatica a dare un giudizio preciso in questo momento.

Ma ragionando, visto che Unicredit si è molto lamentata di questo intervento, la logica sembra suggerire che il governo – o una parte del governo – l’operazione Unicredit-Banco BPM non la vuole, mentre invece è favorevole all’operazione Montepaschi-Mediobanca o a questa di Mediobanca su Generali. Fila?

L’operazione Mediobanca-Generali è appena stata annunciata, quindi ora bisognerà vedere se il governo deciderà di usare di nuovo il golden power. Al momento abbiamo solo indiscrezioni e niente di ufficiale, quindi è difficile sbilanciarsi: fino a che non ci sono elementi certi, ogni valutazione rischia di essere prematura. Di sicuro con l’intervento su Unicredit-BPM, l’Esecutivo ha posto una condizione di tutela dell’interesse nazionale che almeno a priori – visto che stiamo parlando di due banche italiane – non era scontata. È vero che i principali azionisti di Unicredit e Banco BPM non sono italiani, anche se entrambe le banche hanno sede in Italia, operano nel nostro Paese e sono considerate a tutti gli effetti grandi banche italiane. Tuttavia, l’aspetto fondamentale è che il giudizio più importante spetta ora a mio avviso alla Banca Centrale Europea, che ha il compito di supervisionare entrambe le banche, e possiede quindi gli strumenti più adeguati per valutare se questa operazione possa creare problemi di stabilità al sistema bancario.

Ma questo intervento di un governo nazionale su un’operazione bancaria non si è mai verificato finora…

Su due banche italiane no. Rappresenta di certo un precedente importante, e un po’ preoccupante: se ora l’Italia interviene in questo modo, anche altri Paesi dell’Unione Europea potrebbero iniziare a invocare il golden power in casi simili. Penso, ad esempio, a una possibile operazione tra Unicredit e Commerzbank in Germania. Insomma, si rischia di creare delle frammentazioni che vanno contro l’idea di mercato unico europeo verso cui invece dovremmo tendere.

 

Roberto Giovannini

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