Il teatro della crudeltà, antidoto alla crudeltà degli uomini. Intervista (impossibile) ad Antonin Artaud

Incontro Antonin Artaud a Parigi, nella sede della radio francese. L’editore Neri Pozza ha pubblicato in italiano un’antologia dei quaderni che ha scritto nel manicomio di Rodez e nella casa di cura del dott. Delmas a Ivry: Questo corpo è un uomo.

Incontro Antonin Artaud a Parigi, nella sede della radio francese. L’editore Neri Pozza ha pubblicato in italiano un’antologia dei quaderni che ha scritto nel manicomio di Rodez e nella casa di cura del dott. Delmas a Ivry: Questo corpo è un uomo. Quaderni 1945-1948 (2024, traduzione di Lucia Amara). Intanto l’attore Roger Blin sta registrando da 5 giorni Per farla finita col giudizio di dio, che Artaud ha scritto appositamente per la Radiodiffusion., Artaud partecipa alla registrazione anche con la voce e come rumorista, nonostante le sue condizioni fisiche: è macilento e fragile per una lesione permanente alla spina dorsale causata da 51 elettroshock in 3 anni. Lo sguardo incendiario con cui ha reso leggendari al cinema il monaco Jean Massieau in La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer e Marat in Napoléon di Gance è solo un ricordo tramandato dalle pellicole e dai ritratti fotografici precedenti le torture manicomiali. Riconosco Artaud perché ho visto i ritratti che gli ha scattato di recente Denise Colomb.

Denise Colomb, Antonin Artaud, 1947
Il 13 gennaio c’ero anche io al Théătre du Vieux-Colombier. Desideravo vederla recitare di nuovo 12 anni dopo sul palcoscenico dove allestì I Cenci: quella tragedia fu il manifesto del suo “Teatro della crudeltà” e anche il primo testo suo che lessi a 16 anni, insieme alle sue note di regia. A metà della lettura di Histoire vécue d’Artaud-Mômo, però, ha abbandonato la sala. Ora questa registrazione per la radio sarà la sua seconda uscita pubblica, dopo la fine del ricovero. Artisti e intellettuali la sostengono: sente di nuovo garantita la sua attività di autore?

Sono io, Artaud, a fare le cose, e nulla mi garantirà. La mia idea è che non c’è nulla da aspettarsi dagli esseri, dalle anime, dalle coscienze né da nessuno, e che io sono solo, senza nessuno attorno a me, che vivo solo, mi vesto da solo e ciò non può avvenire senza un capovolgimento completo dell’evidenza e dell’idea. Sono i gesti a fare l’anima e non l’anima a fare i gesti.

Anaïs Nin su Artaud per la rivista brasiliana «Senhor», Número 10, Ottobre 1971
Quando eravate entrambi vicini allo psicanalista René Allendy, Anaïs Nin ha avuto una breve relazione anche con lei, che era ormai sempre più danneggiato da droghe e farmaci. Come sua consuetudine, Nin ha messo a frutto l’esperienza nel suo Diario e in un racconto poetico, Je suis les plus malade de le surréalistes, da poco ripubblicato a Londra nella raccolta Under a glass bell, and other stories. Fin dal titolo, Nin le attribuisce due caratteristiche: la follia e l’aderenza al surrealismo, di cui lei è uno dei fondatori. Si riconosce in questo ritratto?

C’è una storia del surrealismo, e io la conosco molto bene in effetti, ma non è quello che si pensa. Per tutti il surrealismo è solo un ismo in più in aggiunta a tutti gli ismi che marciscono nei libri vecchi e che si fanno farfugliare nelle aule scolastiche a tutti gli organismi di uomini in erba, buoni a fiorire e a morire, con un ismo in più per farli marcire nella tomba. Classicismo, romanticismo, simbolismo, futurismo, cubismo: qual è il morto che si ricorda ancora dei vostri ismi e che cosa ne avete fatto di tutti i vostri morti: libri! Tutti gli spiriti nati morti si riempiono la bocca di rivoluzione e di anarchia, e sognano un’insurrezione per le strade, quando non hanno saputo neanche insorgere in sé stessi, contro l’eterna stupidità dello spirito: chi ha mai saputo sommuovere il suo io fino a cavargli il sangue di una lacrima in pittura o in poesia?

Non salva nessuna creazione tra Ottocento e Novecento?

A: Per trovare una poesia che mi abbia fatto piangere, risalgo fino al Medioevo e vi incontro François Villon. Fare surrealismo non significa portare il surreale nel reale, dove finirà per marcire e dormire, ma innalzare materialmente il reale fino al punto in cui l’anima deve uscire nel corpo senza smettere di spingere il corpo alla rivolta. È quello che il mondo non ha ancora conosciuto e ciò che il surrealismo non ha potuto fare perché l’anima dell’uomo attuale è prigioniera di un corpo malvagio che gli vieta ogni poesia e lo costringe a vivere sotto il giogo inesorabile delle leggi, che siano di esercito, di polizia, di chiesa, di giustizia, o di governo. E per lo più sono di chiesa.

Ha risposto sul surrealismo. Non ha risposto sulla follia.

È nel 1918 che io ho sentito i primi morsi di quelle ondate interne dell’anima che ci tormentano per prendere corpo. Musica, teatro, pittura, poesia: io capivo che non bastavano più simili concretizzazioni e che il fuoco che bruciava in me aveva bisogno di ben altre corporizzazioni. Ma come urtare il reale fino a pervenire a quella incarnazione maggiore? Io non ho mai studiato nulla, ma tutto vissuto e questo mi ha insegnato qualcosa. È ciò che mi sono detto nel 1918 davanti al disastro del mio io, perché se la guerra era finita per tutti non era finita per me, e la questione che si poneva per me era di essere o non essere e non di sapere che cosa è l’essere, ma di sapere che cosa ero io.

Dunque, la guerra, e una precoce autoconsapevolezza amletica.

Sapevo di aver sempre sofferto dell’essere e di essere perché non ho mai voluto essere un rassegnato come gli altri. Mi ricordo dall’età di 8 anni, e anche prima, di essermi sempre domandato chi ero, ciò che ero e perché vivere; mi ricordo che all’età di 6 anni in una casa di Bd de la Blancarde a Marsiglia (n. 59 esattamente) di essermi domandato all’ora della merenda – pane al cioccolato che mi dava una certa donna chiamata madre – che cosa significava essere e vivere, che cosa significava vedersi respirare e di aver voluto respirarmi per provare il fatto, vivere, e vedere se mi si addiceva.

Artaud con Renée Falconetti (Giovanna d’Arco) in La passione di Giovanna d’Arco
Metodi che la medicina autorizza ma che la ragione aborrisce hanno segnato irrimediabilmente il suo corpo.

Quando tutto del corpo è abiettato allora la vera battaglia comincia, perché il corpo comincia dove finisce la sensibilità. Sì, il male, il peccato, l’odio, l’abiezione e la maledizione sono passati in me insieme al dolore. Il dolore è passato per primo e sono passato anch’io in me con il dolore e il male, ma il dolore è restato indietro. Ed è la mia vita da 50 anni di cui nel dettaglio dei fatti mi ricorderò eternamente.

Circa un anno dopo le dimissioni dal manicomio di Rodez ha organizzato una mostra di suoi disegni, ai quali ha affiancato dei quaderni nella vetrina della Galleria Pierre Loeb. A un quaderno ha affidato la versione quasi definitiva di Le visage humain, dettato a Colette Thomas che lo ha interpretato durante letture pubbliche in galleria. Il suo collega Rainer Maria Rilke, pensando a un’attrice con cui lei non ha fatto in tempo a lavorare, Eleonora Duse, usò l’immagine del volto come metafora del palcoscenico: «Un sé poteva essere colto solo sommando le entrate in scena, sul palcoscenico del volto, di tutta la vita». Del suo volto disfatto d’attore lei continua a disegnare autoritratti.

Il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia e sta al pittore procurargliela. E io non conosco un pittore nella storia dell’arte, da Holbein a Ingres, che questo volto d’uomo sia riuscito a farlo parlare. Soltanto Van Gogh ha saputo trarre da una testa umana un ritratto che sia il detonatore esplosivo del battito di un cuore scoppiato. Il suo. È per questo che nei ritratti che ho disegnato ho evitato di dimenticare il naso, la bocca, gli occhi, le orecchie o i capelli, ma ho cercato di far dire al volto che mi parlava.

Artaud interpreta Marat in Napoléon. Regia: Abel Gance (Francia 1927)
Ha sufficiente esperienza al cinema, dove ha recitato per grandi registi, e in teatro, per cesellare una definizione dell’attore.

L’attore è un atleta del cuore.

Artaud in I Cenci (1935). Le scene erano di Balthus
In manicomio aveva matita e carta razionate e gli internati le rovesciavano sulla carta e sui libri quel poco di inchiostro di cui disponeva. Eppure ha continuato ad abbozzare testi teorici e per gli attori. Il pensiero che ogni esperienza della vita entra nel teatro l’ha tenuta in sé. Cos’è e che funzione ha il teatro fuori da lì?

Il teatro è questo effervescente e inestirpabile incanto che ha la rivolta e la guerra per ispirazione e per soggetto. Il teatro a venire sarà ciò che la medicina futura avrà cessato d’essere: un rifugio per alienati.

Denise Colomb, Antonin Artaud, 1947

P. S. Per farla finita col giudizio di dio subì la censura prima della messa in onda prevista il 2 febbraio 1948. Artaud morì il 4 marzo: fu trovato con una scarpa in una mano e un flacone di sedativo nell’altra. Dopo ricoveri alterni, dal 1937 al 1946 era stato recluso come schizofrenico. Le risposte sono attinte da Questo corpo è un uomo, ad eccezione di una da Il teatro e il suo doppio (Einaudi 2000). Le domande sono scritte da me.

 

Floriana Conte Professoressa di Storia dell’arte  a UniFoggia (floriana.conte@unifg.it;Twitter:@FlConte; Instagram: floriana 240877) e Socia dell’Accademia dell’Arcadia

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