Ignazio Abrignani è stato deputato dal 2008 al 2018, eletto con Forza Italia e PdL, è poi passato al gruppo Ala di Denis Verdini che sostenne il referendum promosso dal governo di Matteo Renzi nel 2015. E’ uscito indenne da due procedimenti giudiziari: indagato per dissipazione post fallimentare nel crac della Compagnia Italiana Turismo, è stato prosciolto durante la fase istruttoria; poi in un filone dell’inchiesta Consip è stato condannato per turbativa d’asta in primo grado e successivamente assolto in appello. Oggi è tornato a fare l’avvocato, ma la politica è per sempre: “Sto dando una mano come tecnico ad amici della Lega – racconta a BeeMagazine – e dialogo con esponenti di FdI che stimo perché stanno facendo bene, a partire da Daniela Santanché”
Abrignani, dentro Forza Italia lei era vicino a Claudio Scajola, peso massimo di una lunga fase del partito. Poi ha seguito Verdini nella scissione di Ala, passando dall’opposizione alla maggioranza: col senno di poi è pentito?
Sono entrato in Fi nel ’94 e come responsabile elettorale nazionale fino al 2016 ho lavorato fianco a fianco con i vari coordinatori nazionali: non solo Scajola, Sandro Bondi, Fabrizio Cicchitto, Roberto Antonione, fino a Denis Verdini. Ma più che seguire lui ero molto convinto del referendum costituzionale voluto da Renzi. Sono da sempre impegnato nel turismo – prima come vicepresidente della commissione Attività Produttive di Montecitorio e poi come presidente dell’Osservatorio Parlamentare sul turismo – e tra i quesiti referendari c’era quello per restituire la promozione del turismo dalle Regioni allo Stato. Insomma, è stata anche una scelta di merito e di coerenza, poiché Fi era contraria al referendum.
Che ne pensa di Forza Italia oggi, miracolosamente sopravvissuta al suo fondatore? Antonio Tajani era la scelta successoria più logica o serve un congresso?
Sicuramente Fi sfrutta il momento favorevole per il moderatismo italiano, è l’unico partito che prende voti centristi. La sua fortuna è anche che a sinistra un centro non c’è, poiché i due potenziali leader Renzi e Carlo Calenda si sono auto-eliminati. Tajani rappresenta la continuità, è stato sempre vicino a Silvio Berlusconi. E nell’ottica del Ppe, chi più di lui ne incarna i valori? E’ stata la scelta più logica e oggi paga. Certo, può sempre scendere in campo qualcun altro, ritenendo di avere maggior consenso, ma oggi non vedo niente all’orizzonte che possa preoccupare Antonio.
Il primo procedimento a suo carico risale al 2008 – relativo alla bancarotta della CIT, storica agenzia di viaggi dello Stato – e per sua fortuna durò poco. Come andò?
Ci fu una perquisizione proprio durante la campagna elettorale del 2008 nell’ambito di quel fallimento, mi volevano imputare di aver arrecato nocumento all’azienda rinnovando delle polizze che andavano oltre il mio mandato. Andai dal pm e spiegai che senza quelle garanzie assicurative, che avevo rinnovato, sarebbero decaduti i contratti. Per risparmiare 300mila euro avremmo perso 300 milioni. Fui prosciolto nell’istruttoria.
Nella vicenda Consip alla condanna in primo grado è seguita l’assoluzione in appello “perché il fatto non sussiste”. Se lo aspettava?
E’ stato un processo senza senso. Ero coinvolto come legale di un consorzio che aveva partecipato a una gara e da due anni non riceveva notizie sull’esito. Presi un appuntamento con l’ad di Consip e andai a parlarci. Non sono mai stato indagato dai pm: ci fu un’imputazione coatta da parte del gip. In dibattimento, gli stessi pm chiesero l’assoluzione ma il giudice mi condannò a un anno e due mesi. Feci ovviamente appello e, due anni dopo, fui assolto perché “il fatto non sussiste”.
Secondo lei Consip è stata un’inchiesta politica?
Probabilmente il fatto di essere imputato con Verdini non aiutò: assolvere lui forse era più complicato. Poi Denis uscì di scena e in sede di appello le cose divennero più semplici.
Lei è tornato a fare l’avvocato. La politica le manca o le vicende giudiziarie hanno lasciato cicatrici troppo profonde?
Per fortuna sono tornato a fare questa professione a tempo pieno, perché nei dieci anni da parlamentare lo studio ne aveva sofferto. Mi considero comunque un uomo di centrodestra: il mio cuore batte per Fi, ma poiché tanti amici sono passati alla Lega sto dando loro una mano come tecnico. Nello stesso tempo dialogo con alcuni esponenti di FdI che stimo perché stanno facendo bene, a partire da Daniela Santanché




